Novembre 2003
a
cura di Stefano Finesi
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domenica
30 novembre
Tra i tagli, dichiarati e sotterranei, ai finanziamenti per lo spettacolo,
ne viene segnalato uno particolarmente grave, che interrompe a metà
un’opera già in stadio avanzato. L’Archivio Informatico
del Cinema Italiano dell’Anica, ideato e diretto dal 1987
da Aldo Bernardini, ha visto infatti la sospensione dei fondi a
partire dal 2002: dopo che per un anno l’archivio ha continuato
a marciare con i soldi dell’Anica, ora si è fermato,
arrestando l’enorme database agli anni sessanta. “Se
questa situazione – sostiene accorato Bernardini - dovesse
prolungarsi anche nel 2004, la ripresa del lavoro nell'Archivio
diventerebbe dunque praticamente impossibile, vanificando tutto
l’edificio che, giorno dopo giorno, mattone dopo mattone,
eravamo riusciti a costruire e che stavamo ormai per consegnare
a quanti si occupano oggi (e si occuperanno domani) del nostro cinema.Una
richiesta di ripristino del contributo, inviata il 17 u.s. al ministro
Giuliano Urbani, e una sollecitazione indirizzata alla Direzione
dell'ANICA alla stessa data, non hanno a tutt’oggi avuto esito,
non hanno ottenuto risposta”. |
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domenica
30 novembre
Ci ha negato per anni una sua fotografia, nonché una copertina
del suo capolavoro che non sia rigorosamente bianca, ora Salinger
ci impedirà anche di vedere un possibile volto del suo Holden
Caulfield, protagonista di The Catcher in the Rye, uno dei romanzi
più amati e venduti della letteratura americana. Jaime Clarke,
impiegato della Harold Ober Associates, l’agenzia letteraria
che cura gli interessi dello scrittore, ha infatti rivelato in un
libro di memorie come Salinger abbia respinto a più riprese
le profferte di Spielberg e della Dreamworks nonché le avances
della Miramax per ottenere i diritti e trarre un film dal suo capolavoro.
Il che, per il povero e intransigente J.D., equivarrebbe probabilmente
a una indecente proposta di interpretare se stesso in un film biografico.
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sabato
29 novembre
Variety, bibbia del cinema Usa, incorona i dieci maestri europei
del cinema contemporaneo, stilando una lista con poche sorprese
e qualche incongruenza e confermando ancora una volta la scarsa
attenzione rivolta da oltreoceano a quello che accade nel vecchio
continente. Et voila: Pedro Almodovar per la Spagna, Lars von Trier
per la Danimarca, l'inglese Micheal Winterbottom, il francese Jean-Pierre
Jeunet, il bosniaco Emir Kusturica, l’austriaco Michael Haneke,
i fratelli belgi Luc e Jean-Pierre Dardenne, il finlandese Aki Kaurismaki
e l'ungherese Bela Tarr. Per l’Italia, inevitabile, Nanni
Moretti. |
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venerdì
28 novembre
Le Giornate Professionali del Cinema a Sorrento confermano un dato
già percepito da tutti: l’82% degli italiani ama andare
al cinema e vedere i film in sala, ma il 56% non ci va da 3 mesi.
Dall’America potrebbe però arrivare un antidoto miracoloso:
qualcuno sostiene sia imminente l’avvento del film con finale
a scelta (!). Si tratterà di pellicole commissionate dalla
Miramax, soprattutto thriller, e proiettate in sale cinematografiche
adeguatamente attrezzate, in cui attraverso centraline elettroniche
lo spettatore potrà decidere in un dato momento la scelta
del finale: il computer della sala farà la media dei voti
in una frazione di secondo proponendo il finale vincitore.
Facendo la somma con l’ossessione collettiva per gli extra
e le versioni parallele delle edizioni in dvd, l’equazione
tra cinema e videogame è sempre più vicina.
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giovedì
27 novembre
Sulle pagine del Corriere della Sera si tirano le somme del cinema
italiano attualmente sugli schermi con un’implacabile sentenza:
“Troppa fiction dietro i flop del cinema italiano”.
Nel centro del (legittimo) mirino sono Al cuore si comanda
e Gli angeli di Borsellino, con l’epica coppia
Boccoli-Insegno, entrambi penalizzati pesantemente al box-office,
senza dimenticare i tonfi di L’acqua, il fuoco
di Emmer (anche questo con tanto di Ferilli in odore di cinema di
qualità), Il fuggiasco e il tragico esordio
della Giorgi dietro la cinepresa. Chiude lo sfacelo al botteghino
Vecchie di Segre, con i suoi 100 spettatori romani,
che tolti i parenti del regista sono la metà (per un altro
titolo non c’era bisogno di un master in marketing). Chiude
invece lo sfacelo morale Paolo Virzì, che, malgrado i buoni
risultati del suo Caterina
va in città, si lamenta di come Matrix
Revolutions gli abbia scippato le sale (ma guarda un po’…)
e ricorda un po’ a tutti che anche I compagni
di Monicelli incassò poco ai tempi… |
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martedì
25 novembre
Continua il calvario di Mel Gibson e del suo Passion:
il regista/attore australiano ha infatti citato in giudizio il New
York Post, reo di aver mostrato una copia pirata del film a un gruppo
di leader religiosi appositamente convocati. Obiettivo della inquietante
iniziativa, un articolo che registrasse le reazioni a caldo sul
film dedicato agli ultimi giorni della vita di Cristo, già
boicottato ampiamente dalla distribuzione, ma comunque destinato
alle sale non prima di febbraio. Come se non bastasse l’anteprima
a tradimento, i commenti degli invitati (un prete, un rabbino, un
professore di religione e via salmodiando) sono risultati alquanto
negativi. Gibson incassa la solidarietà di Hollywood, il
Post nicchia. Magari potrebbe funzionare come manovra pubblicitaria.
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domenica
23 novembre
Dopo il primo, contestatissimo, viaggio a Bagdad prebombardamento,
Sean Penn ci riprova, stavolta escogitando una copertura e un modo
per non pagare il biglietto aereo: sarà corrispondente per
il San Francisco Chronicle, diretto peraltro da Phil Bronstein,
ex-marito di Sharon Stone, e a sua detta scriverà “delle
persone che ho incontrato nel primo viaggio, vedendo come se la
passano ora che presumibilmente Saddam Hussein non controlla più
il paese”. Bronstein schiva i commenti e conferma di aver
già assegnato un accredito al divo. |
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sabato
22 novembre
Esce in libreria, ma è già destinata a trasformarsi
in un documentario, l’ultima crociata di Michael Moore contro
George W. Bush: “Ma come hai ridotto questo paese?”.
Il grido di dolore, tragico e divertente al tempo stesso, riguarda
soprattutto i rapporti che la famiglia Bush ha intrattenuto per
anni con i Bin Laden, rapporti squisitamente economici interrotti
solo dopo due mesi dall’11 settembre. Alcuni stralci sono
già da antologia: “Caro George, nel 1977, quando
papà ti ha detto che era ora di trovarti un lavoro come si
deve, ti è stata regalata la tua prima compagnia petrolifera,
che tu hai chiamato con il nome spagnolo di Arbusto. Un anno dopo
hai ricevuto un finanziamento da un tale chiamato James A. Bath.
(…) Ora, Bath era stato incaricato da Salem Bin Laden,
fratello di Osama, di investire il denaro dei Bin Laden in alcune
speculazioni in Texas. (…) A fine mandato, tuo padre
è diventato uno dei consulenti di spicco meglio pagati di
una società chiamata Calyle. Uno degli azionisti principali
della Carlyle era nientemeno che la famiglia Bin Laden, che ha investito
in tale società un minimo di due milioni di dollari”.
Il tutto fino alla fuga in aereo (con consenso dell’Fbi) della
famiglia saudita dagli Stati Uniti dopo l’attacco alle torri,
senza che nessuno rivolgesse loro neanche una domanda.
Se Moore dimagrisse qualche chilo, più che un documentario
si prospetta un nuovo capitolo di Die Hard.
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giovedì
20 novembre
23.956: questo il numero delle firme raccolto dai tolkeniani per
reinserire Christopher Lee/Saruman nell’ultimo capitolo della
saga del Signore degli Anelli, dopo l’annuncio
di Peter Jackson di voler tagliare le scene che lo riguardano in
sede di montaggio. “La sequenza – si giustifica
il regista neozelandese - è stata girata originariamente
per Le Due Torri come
è nel libro; dal momento che nel film non si potevano inserire
altri sette minuti dopo la battaglia del Fosso di Helm, ci è
parsa una buona idea spostare la scena all’inizio de
Il Ritorno del Re. Però,
in queste ultime settimane, dopo aver visionato svariati spezzoni
del nuovo film ci siamo resi conto che le sequenze erano troppo
legate al film dell'anno scorso e non era possibile usarle come
scene d'apertura”. Lee, nel frattempo, sembra essersela
presa, rinunciando alla prima mondiale del film a dicembre: digiuno
di business, non sa che probabilmente verrà ripescato nella
probabilmente fluviale edizione dvd, che sulla carta già
può contare su 23.956 acquirenti |
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martedì
18 novembre
Si è spento all’età di 55 anni il compositore
statunitense Michael Kamen.
Nato a New York e formatosi presso la Julliard School, il musicista,
specializzato in musica da film, aveva ufficializzato lo scorso
mese le voci trapelate a inizio settembre riguardanti le sue allarmanti
condizioni fisiche, dichiarando che la sclerosi multipla diagnosticatagli
nel ’96 non aveva rallentato il suo intenso lavoro compositivo.
Kamen, infatti, lascia dietro di sé una scintillante carriera
cinematografica, in cui spiccano le prove per La Zona Morta
di Cronenberg, Brazil di Gilliam, Die Hard
di McTiernan, Robin Hood – Principe dei ladri
di Reynolds e il primo capitolo degli X-Men. Più
recentemente, il compositore aveva completato le partiture per l’ultima
esperienza registica di Kevin Costner (Open Range)
e per l’imminente commedia Against the Ropes
di Charles Dutton.
Artista di rara completezza e poliedricità, Kamen rimarrà
un eccellente esempio di duttilità musicale, soprattutto
vista la sua costante ed entusiastica capacità di innestarsi
ai percorsi e ai generi più diversi, stringendo e nobilitando
collaborazioni con esponenti caratterizzanti il panorama pop e rock
di almeno tre generazioni: dalle storiche orchestrazioni per i Pink
Floyd alle cooperazioni con i Queen (per Highlander
di Mulcahy) ed Eric Clapton (la saga di Arma Letale),
fino ai numerosi arrangiamenti per Bryan Adams, alla direzione d’orchestra
per gli esordi del Pavarotti and Friends e all’adattamento
sinfonico per il repertorio dei Metallica. Affine anche al media
televisivo (suoi i temi per Band of Brothers), l’autore
lascia una moglie e due figli nella residenza londinese in cui risiedeva
da lungo tempo, oltre ad un vuoto incolmabile nel firmamento musicale
hollywoodiana.
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lunedì
17 novembre
Alcuni dettagli possono essere rivelatori dello spessore culturale
del paese in cui vivi. Apprendiamo, cercando di mantenere la calma,
che Leonardo Pieraccioni ha ricevuto per i suoi film il premio Agiscuola
2003, incassato durante un convegno dal mirabolante titolo: “Cinema,
teatro, televisione, circo e scuola: insieme per promuovere l’autonomia
culturale della mente”. Sulle modalità e odierne possibilità
di promuovere l’autonomia della mente si potrebbe discutere
a lungo, alzi la mano (anche un dodicenne) chi vorrebbe farlo con
Pieraccioni. Per i più esigenti, comunque, il dibattito ha
preso quota quando il microfono è passato, tra gli altri,
a Tiberio Timperi, prodigatosi nel rievocare i tempi in cui era
speaker radiofonico. Con mente culturalmente autonoma, senza dubbio.
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venerdì
14 novembre
Il Giornale dello Spettacolo denuncia un singolare caso di cinecannibalismo:
dal 19 novembre è infatti disponibile nelle videoteche Tomb
Raider 2 – La culla della vita, ancora in programmazione
nelle sale, dove era uscito neanche un mese prima. Stessa storia,
più o meno, per Hulk, anch’esso
atterrato sugli scaffali home video con un rapidissimo balzo. Le
vecchie regole distributive sui tempi di sfruttamento cominciano
a fare acqua, ma soprattutto si fa strada una dolorosa consapevolezza:
che la sala cinematografica stia diventando l’ultimo posto
dove ci si aspetta di vedere un film.
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venerdì
14 novembre
Dopo qualche braccio di ferro sotterraneo e un po’ di polverone
mediatico, il Consiglio dei Ministri approva il decreto Urbani sul
riassetto della Biennale, guidata da Franco Bernabè. Tra
le novità scottanti e temute, l’apertura ai privati
(chi abbia provveduto a finanziare almeno il 20% del patrimonio
della Fondazione può arrivare a sedere nel cda) e l’apertura
ad altri enti dello spettacolo, dall’Eti alla Scuola Nazionale
di Cinema, dalla Fenice a Cinecittà Holding, che potranno
esprimere un “parere” su programmi e indirizzi della
Biennale. In sostanza, i beneamati chairmen di Cinecittà
e Snc avranno la possibilità di mettere bocca (resta da vedere
in che misura) sulla Mostra del Cinema, peraltro già alquanto
incasinata di per sé. |
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martedì
11 novembre
Un sogno lungo vent’anni: sulla scia del successo di riedizioni
come L’Esorcista e lo stesso Apocalypse
Now, Francis Ford Coppola intende riportare sugli schermi americani
il suo Un sogno lungo un giorno, con la differenza
che quest’ultimo alla sua uscita non fece una lira, venne
smontato dai cinema dopo 10 giorni, fu fatto a pezzi dalla critica
e, infine, fece fallire gli Zoetrope Studios, casa di produzione
del regista. Meritoria, comunque, la riscoperta di questo costosissimo
musical sperimentale, che mescola la fotografia di Storaro alle
musiche di Tom Waits, la Hollywood classica e il New American Cinema,
e che, a quanto sembra, godrà in futuro di una versione Dvd
comprendente ben otto documentari sulla sua travagliata realizzazione.
Sempre, ovviamente, che non mandi Coppola di nuovo in bancarotta.
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martedì
11 novembre
La comunità hollywoodiana presenta il conto al governatore
Schwarzenegger, con un appello pubblico di vari tycoon lanciato
a pagamento sulle pagine di Daily Variety: oggetto dell’accorata
richiesta, la permanenza dell’industria del cinema in California,
visto il progressivo decentramento che ha spostato sempre più
il business nelle regioni limitrofe, infrangendo un inossidabile
monopolio. Il finale della “lettera aperta” sembra scritto
da uno sceneggiatore: “As a member of this vibrant, vital
industry, we urge you please to exert your utmost, through the California
legislature, the Governor's office of the federal government to
enact legislation ensuring that the entertainment production business
remains, for now and ever (!!!), in California”.
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sabato
8 novembre
Uno pensa di andarsi a vedere Keanu Reeves che schiva i proiettili
col bullet time e malmena l’agente Smith, invece si ritrova
Gesù Cristo in persona. Non contenta di appestare la vita
della gente solo con l’elettrosmog, ecco quanto sentenzia
Radio Vaticana a proposito di Matrix
Revolutions: “Neo è l’eletto, il Messia
acquista per se stesso e per la razza umana la salvezza attraverso
una via gnostica e conquista il simulacro della pace non con l’eroismo
delle Beatitudini, ma con la fatica ed il sangue di vorticosi e
violenti duelli in stile orientale, quelli che oggi vanno così
di moda al cinema. Alla fine Neo s’imprime sul suo corpo il
segno fiammeggiante della croce, descrivendo un sacrificio personale
che non ha nulla a che fare col Golgota e con la via cristiana della
redenzione”. Perché dovrebbe non si capisce bene,
resta il fatto che quello che salta fuori è ovviamente una
stroncatura, per incomprensibilmente lesa fedeltà alla bibbia:
“Matrix Revolutions
saccheggia in modo ancor più scoperto l’immaginario
mitologico ed il racconto cristiano, asportandone però solo
i nomi ed i contenuti più superficiali ed usandoli in una
direzione opposta a quella originaria, per mercificarli”.
Ascoltaci, o Signore. |
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venerdì
7 novembre
Puzza un po’ di trovata pubblicitaria dell’instacabile
Medusa, ma sembra che a Roma vadano letteralmente a ruba i manifesti
di Dogville, strappati per le
strade dai fan della Kidman che vorrebbero tenersi in camera il
faccione in bianco e nero della loro beniamina. Il precedente più
immediato è probabilmente la Monica Bellucci di Malena
e Ricordati di me, anche
lei trafugata a volontà dai (tanti?) maniaci di turno, o
forse da qualche stagista molto solerte degli uffici stampa.
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venerdì
7 novembre
Rese note le nomination agli European Film Awards, l’Oscar
nostrano che non conta quasi nulla ma riempie d’orgoglio l’Unione:
tra gli italiani batte tutti La
meglio gioventù, con tre nomination per regia, miglior
attore (Lo Cascio), e sceneggiatura, mentre Io
non ho paura concorre per la miglior fotografia. Good
Bye Lenin! Si accaparra intanto 5 candidature, Dogville
e Piccoli affari sporchi
si piazzano con 4, mentre a disputarsi il premio (con le unghie
e con i denti?) come migliori extracomunitari ritroviamo Eastwood,
Tarantino e Kitano |
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mercoledì
5 novembre
Matrix Revolutions invade
il mondo con la bellezza di 18.013 copie (18 Imax) in 96 paesi,
nell’uscita “sincronizzata” più spettacolare
della storia del cinema. Non ci sono dati per i primi incassi, ma
già Matrix Reloaded
si era attestato al terzo posto del single-day boxoffice, con 37,5
milioni di dollari, dietro i due record di Spider-Man,
imbattibile con i suoi 39,4 milioni nel primo giorno e ben 43,6
nel secondo. Il super-eroe di Sam raini perde però il confronto
sull’home video con l’inattaccabile Disney: cassetta
e Dvd di Alla ricerca di
Nemo hanno registrato 8 milioni di vendite il primo giorno in
commercio, contro i soli 7 del povero uomo ragno… |
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martedì
4 novembre
In una delle ultime, puntuali lamentazioni che ormai con cadenza
quindicinale Anec e Agis esprimono sulle pagine del Giornale dello
Spettacolo, salta fuori che rispetto al 2002 le presenze in sala
sono calate del 22%, mentre gli schermi sono aumentati del 10%.
A fornire la ricetta di turno per la rimonta è il solito
Walter Vacchino, che stavolta chiama in causa la televisione: “Il
sistema televisivo italiano ha preso troppo dal cinema ed è
il momento di cominciare a dare, anche nel proprio interesse. In
primo luogo trovando gli spazi e il modo di far conoscere al grande
pubblico tutto il fermento di personaggi e di idee che si muove
all’interno del nostro cinema. Non possiamo sapere che i film
italiani piacciono perché lo dicono in Canada o a New York”.
Non ci sono spiegazioni razionali per quest’ultima frase,
a meno che Vacchino abbia una vecchi zia rimbambita a Manhattan
che rimpiange al telefono i bei tempi de La dolce vita.
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domenica
2 novembre
La Biennale grida al ladro. Il Ministero dei Beni Culturali, con
il pretesto di riformare lo statuto della Società di Cultura
più importante d’Italia, tenta lo scippo della Mostra
del Cinema, piazzando nella bozza presentata a Bernabè una
sostanziale novità: le nomine dei direttori dovrebbero essere
concordate anche con altre istituzioni, prime fra tutte Cinecittà
Holding e Scuola Nazionale di Cinema, già abbondantemente
colonizzate dal governo di turno (con personaggi della levatura
di Francesco Alberoni…). L’obiettivo? Secondo gli inorriditi
funzionari della Biennale una forma di controllo su una Società
fondata per essere (più o meno) indipendente.
Urbani getta acqua sul fuoco, ma pochi giorni dopo salta comunque
fuori una dichiarazione su La Nuova Venezia in cui il Nostro propone
alla guida della mostra nientemeno che Giancarlo Giannini, al posto
del compassato De Hadeln: “Non ne so niente –
dichiara l’interessato -, non ho mai sentito prima queste
voci. Se la notizia è vera mi chiameranno”. Ricordiamo
ai più sprovveduti che Giannini già siede nel Cda
della Scuola Nazionale di Cinema.
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