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id., Usa, 1979-2001
di Francis Ford Coppola, con Martin Sheen, Marlon
Brando, Robert Duvall, Dennis Hopper
Conrad, Coppola, Kurtz: nel cuore dell'apocalisse.
Tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, John Milius
scrive una sceneggiatura su un gruppo di marines che viaggia verso la
Cambogia durante la guerra in Vietnam. Il film in principio deve essere
diretto dall'allora sconosciuto George Lucas, che agli esordi gravita
sotto l'ala protettiva di Francis Ford Coppola. Quest'ultimo, dopo aver
letto il testo, suggerisce ai due di integrarlo con un romanzo breve
di Joseph Conrad, Cuore di Tenebra, adattandolo al momento storico
in cui hanno deciso di ambientare la vicenda. Il titolo della sceneggiatura
è Apocalypse Now. Se si confronta la struttura del testo
di Conrad con quella della sceneggiatura di Milius e Coppola, ci si
accorge immediatamente che esse coincidono quasi completamente. Le tappe
che il protagonista deve attraversare per raggiungere il suo obiettivo
si equivalgono: il percorso narrativo dunque aderisce alla storia originaria.
Eppure, allo steso tempo, si avverte l'esigenza di un testo libero,
aperto alla revisione e alla modifica. Il talento registico di Coppola
produce in una sintesi quasi incredibile di rigore e improvvisazione,
di esigenze produttivo-organizzative (dettate dall'enorme budget) e
libertà di ripresa. L'intento del regista è quello di
costruire un'impalcatura talmente salda da potersi permettere di smentirla
senza che il progetto generale ne risenta. Cuore di Tenebra è
dunque un appoggio fondamentale, una specie di contenitore che fornisce
stabilità al tutto, ma in cui Coppola ha potuto tranquillamente
immettere tutte le sue idee e la sua poetica. E' un esperienza-limite
di integrazione dell'originale letterario con i propri modelli, pratica
che il regista in seguito adotterà con coerenza nella sua poetica
realizzativa, ma senza raggiungere più la fluidità e i
risultati ottenuti con questo film. E questa capacità di sintesi,
che accetta apparenti compromessi trasformandoli in visionarie scelte
estetiche, si esplica anche nel rapporto creativo e culturale fra i
due continenti - Europa e Stati Uniti -, tra cui è sospesa la
volontà espressiva del regista. Nella filmografia di Coppola
le opere in cui l'autore ha forse espresso la propria poetica con maggiore
libertà e creatività corrispondono a quelle che inevitabilmente
si rifanno agli stilemi del cinema europeo, sia nella composizione della
sceneggiatura che nella susseguente messa in scena. Senza il disagio
del vincolo assoluto alle regole della grammatica del cinema hollywoodiano,
Coppola è riuscito ad introdurre nei meccanismi della grande
industria un modo di fare cinema estraneo, che in passato era guardato
con ammirazione ma mai era stato accettato al proprio interno.D'altra
parte Apocalypse Now non è affatto un film "europeo".
Non è neppure un film "americano", almeno nel senso
tradizionale del termine. E' un'opera talmente a sé stante che
inquadrarla secondo una qualsiasi concezione di cinema o modello estetico
precostituito, significa relegare ingiustamente lo sforzo coppoliano
in uno spazio a dir poco riduttivo. E' questo film che si pone come
modello, non sono altri film che glielo impongono. Ciò che accomuna
il capolavoro di Coppola al migliore cinema europeo è il concetto
di "autore", un concetto che nell'industria hollywoodiana
non viene sicuramente richiesto come credito di bravura o di successo.
Non è un caso se la prima mondiale del film si tiene a Cannes,
dove il regista mostra due finali diversi: operazione inaudita per le
Majors hollywoodiane, che si vedono ufficialmente tolta la paternità
del film. Il doppio finale rappresenta anche (forse furbescamente) il
dubbio "autoriale" di Coppola, che così rivendica il
possesso assoluto dell'opera e dei suoi contenuti. Nel secondo ending
il napalm brucia la foresta, i suoi abitanti e il delirante sogno kurtziano,
immerso in un orrore intimo e grandioso, spaventando l'industria mentre
la sta, paradossalmente, rivivificando. Dunque Apocalypse Now
è forse il primo film della storia del cinema americano in cui
la figura dell'autore viene imposta con tale categorica forza. E "autore"
in questo caso sta per regista, sceneggiatore e produttore. Probabilmente
neanche un Griffith, un De Mille o l'Orson Welles di Citizen Kane
avevano così chiaro il progetto di auto-deificazione che invece
Coppola porta avanti senza alcuna esitazione. Da questa imposizione
così personale e perentoria, l'establishment viene disorientato,
e la contrapposizione tra l'assenso e il rifiuto diventa una delle costanti
del rapporto fra hollywood e Coppola, personaggio imprescindibile ma
spesso scomodo. Alla cerimonia della consegna dei premi Oscar, Apocalypse
Now - riempito di candidature - vince soltanto per gli effetti sonori
e per la fotografia di Vittorio Storaro. La giuria degli Academy Awards
gli preferisce il più consolatorio e "familiare" Kramer
vs. Kramer (Kramer contro Kramer, 1979).
Redux.
Cosa rappresenta adesso Apocalypse Now Redux? Prima di tutto,
quasi ovviamente, rappresenta la nuova affermazione dell'autore del
suo capolavoro: le quattro sequenze aggiunte, a dire il vero non tutte
determinanti per una nuova significazione estetica e concettuale del
film, danno senza dubbio alla pellicola una scorrevolezza ed un senso
della narrazione ancora più maestoso e fluente. Se la versione
che abbiamo visto fino ad oggi manteneva, in un certo senso, una sua
personale ed originale stringatezza di racconto, Redux - soprattutto
grazie alla lunga sequenza dell'incontro con la colonia francese isolatasi
in Cambogia - sembra davvero concedersi un ritmo del tutto autoriale,
scegliendo a proprio piacimento accelerazioni e soprattutto rallentamenti
nello svolgersi della vicenda. Proprio la parte appena citata rappresenta
l'inserto meno riuscito, troppo macchiettistico nel presentare i personaggi
volontariamente segregati nel decadente palazzo della piantagione. La
sua enorme importanza, però, risiede nell'essere abile pausa
narrativa che prepara alla perfezione l'arrivo di Willard nel regno
di Kurtz. Molto più interessanti in generale sono invece gli
altri tre inserti: il primo è una coda alla sequenza in cui Kilgore/Duvall
rade al suolo il villaggio vietnamita a suon di napalm e di Wagner.
Willard, appena il colonnello gli volta le spalle, gli ruba la tavola
da surf personale e scappa via con la sua vedetta; quest'aggiunta comica
al parossistico (e paradossale) attacco degli elicotteri, carica ancor
di più l'intera sequenza di un senso del grottesco e dell'assurdo.
Grazie anche a questi tocchi più leggeri Apocalypse Now Redux
diventa ancor di più "opera totale", in cui è
contenuto tutto ed il contrario di tutto. Esplicitamente più
"politica", e perciò carica di valenze più profonde,
è invece la scena in cui Kurtz legge al prigioniero Willard alcune
pagine del Time Magazine in cui si parla della guerra del Vietnam. Ma
la più importante tra le nuove proposte è senz'altro il
nuovo incontro del gruppo di protagonisti con le playmates, che si trovano
abbandonate in un campo di rifornimento ormai allo sbando: non c'è
più un capitano a comandare, e tutte le strutture sono in completo
disfacimento sotto la pioggia battente. Willard scambia del carburante
in cambio di poche ore in compagnia delle ragazze, ed allora ecco Chef
e gli altri che cercano un po' di conforto e di intimità con
le conigliette. Il tutto però e calato in un'atmosfera funerea
e di completo abbandono fisico e morale; la messa in scena è
volutamente una grandiosa rappresentazione della decadenza umana in
condizioni di invivibilità, e perciò anche la ricerca
di calore e di rapporti interpersonali, per quanto elementari ed istintivi,
diventa impossibile. Non ci sarà amore né comprensione,
ed il tutto rimane sospeso in uno stato di tetro ed onirico disagio.
Il tono tristissimo e fortemente pessimista di questa scena è
di sicuro un qualcosa che nell'altra versione mancava. Qualunque sia
comunque la versione che vedrete, o che avete visto, di Apocalypse
Now, impossibile sarà scinderla dal progetto del suo creatore,
che attraverso quest'opera ha cercato una vera e propria rifondazione
del cinema americano. Qual è, ancora oggi, il fascino maggiore
del film? La sua grande forza emotiva? Il suo devastante impatto visivo?
Si possono citare molti elementi, sicuramente evocativi della qualità
ipnotica dell'opera. Ma ciò che li accomuna è che in ogni
scena, in ogni sequenza, in ogni immagine, noi vediamo trasparire l'idea
sterminata, la visione di cinema assoluto e totalizzante di Coppola.
E questo è un qualcosa che va oltre il film stesso. E' un progetto
espressivo che scavalca il momento, per diventare il simbolo della tensione
di "un'invenzione senza futuro" che marca indelebilmente la
cultura. Con un impeto che negli anni si stacca sempre più dagli
episodi realizzativi e sembra acquistare vita autonoma.
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