|
||||||||||||||||||
Id., Usa, 2002 di Sam Raimi, con Tobey Maguire, Willem Dafoe, Kristen Dunst, James Franco La scena più emblematica del film è probabilmente quella del Giorno del Ringraziamento: i protagonisti si riuniscono intorno al tacchino componendo per un attimo uno straniante quadro familiare, capace di inghiottire tutte le tensioni narrative messe in campo e congelarle in una dimensione terribilmente domestica. La trovata compendia la caratura sostanzialmente melodrammatica che Raimi sceglie di dare al suo Spider-Man, marcando con forza i nessi emotivi tra i personaggi (e la loro disperata fragilità) e prestando una notevole attenzione al ruolo della famiglia nella loro storia personale: Peter Parker senza genitori e affidato ai nonni, il teso rapporto a due tra Norman Osborn-Goblin e suo figlio Harry (oltre al fatto che Osborn si pone all’inizio verso Peter come un padre putativo), la famiglia turbolenta di Mary Jane; la prima impresa di Spider-Man sarà compiuta per vendicare il nonno ucciso da un rapinatore, Harry giura che un giorno vendicherà la morte di suo padre. Premesso che tale impostazione già si ritrova nel fumetto di Stan Lee e che il tema della famiglia, disgregata o riaggregata, è uno dei temi più sentiti del cinema americano degli ultimi anni (basterebbe pensare a Paul Thomas Anderson, ma anche allo stesso Raimi di Soldi sporchi e The Gift), colpisce il coraggio con cui viene sottratto potenziale alla qualità mitica e bifronte dello scontro fumettistico tra bene e male per tracciarne le rischiose intersezioni e per precipitarne la statura in un angusto interno domestico: intorno a quel tavolo e a quel tacchino prende forma una famiglia vicaria di diverse famiglie perdute, ma la famiglia, per sua natura, produce automaticamente conflitti e condanna se stessa a una nuova dispersione. Sconfitto il padre-Goblin, Peter non potrà essere amico-fratello di Harry, né l’amante-marito di Mary Jane. Proprio partendo da questa prospettiva intimista e implosiva, non è un caso che la sfida finale tra i due protagonisti sia decisamente sottotono, quasi un’affrettata conclusione di partita incapace di catalizzare verso di sé la narrazione: i momenti migliori del film risultano piuttosto nella costruzione “domestica” dei due contendenti, quella del divertente apprendistato di Peter (e del suo costume artigianale, letteralmente “fatto in casa”), e quella del drammatico sdoppiamento di Osborn, eroe del male che non vive in un antro eccentrico e fumoso, ma in un appartamento monumentalmente borghese, in cui si aggira nella più classica vestaglia. Gli inevitabili voli di Spider-Man tra i grattacieli newyorkesi hanno insomma un impatto di gran lunga inferiore alla celebre scena della goccia di sangue, che costringe i due antagonisti nella stessa stanza inchiodando il Nostro al soffitto. Come già in The Gift, a Raimi non interessa il potere eccezionale dell’eroe in sé, quanto le sue conseguenze umane in termini di responsabilità morale e di rapporti interpersonali; come allo stesso modo, da un punto di vista produttivo, si potrebbe dire che non gli interessa più di tanto il grado di sfarzosità del suo blockbuster, dal momento che lavora in una prospettiva evidentemente debitrice dell’ingegnoso artigianato low-budget da cui proviene. Le passioni degli uomini e i loro fragili legami sono ancora (fortunatamente) il tessuto connettivo di tutti i bagliori che attraversano lo schermo. |