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Dirty pretty things,
UK 2002 di Stephen Frears, con Chjwetel Ejiofor, Sergi Lopez, Audrey Tautou Fotografato da Chris Menges, scritto da Steve Knight e primo sforzo cinematografico della produzione televisiva inglese Celador (responsabile con Knight del format del programma televisivo Who Wants to Be a Millionaire? - Chi vuol esser milliardario?), Piccoli affari sporchi intreccia con maestria ed esplora con compiutezza diversi livelli narrativi: l'amicizia e l'amore di due protagonisti completamente differenti, la vita quotidiana degli immigrati in Europa e il mondo sotterraneao e spietato del traffico d'organi. L'utopia di un cinema che illustrasse il melting pot multietnico della società moderna con efficacia sociale e forza drammatica è sempre stato il pallino di Stephen Frears. E in Piccoli affari sporchi questo tipo di idea narrativa sembra funzionare al meglio, trovando insieme una ficcante posizione in un genere dalle buone potenzialità di pubblico, il melò-noir in questo caso, e contemporaneamente affermando con forza il suo assunto sociale e la sua netta visione dell'immigrazione e della convivenza. Piccoli affari sporchi mette in scena un'Inghilterra quasi priva di inglesi, una Londra sotterranea e priva del glamour turistico, dove le passioni e la vita sono vissute attraverso gli immigrati e la loro clandestinità. Clandestinità che limita e modula i movimenti delle persone in questa specie di nazione-contenitore che sfrutta e si fa - limitatamente - sfruttare, ad un prezzo umano altissimo. Oltre al lavoro nero, dequalificato e privo di ogni garanzia, c'è l'ultima frontiera dell'utilizzo del materiale umano: il traffico di organi. Il protagonista Okwe, clandestino nigeriano, medico fuggito dall'Africa e dalla famiglia per motivi misteriosi, è portiere di albergo, taxista e occasionalmente medico per altri clandestini che non possono utilizzare le vie "normali" per curarsi. La sua vita sembra fatta solo di lavoro, la cui cupa necessità non lascia spazio all'umanità e si trasforma in uno strumento di tortura sociale ineludibile. Divide, chiaramente in modo illegale, l'appartamento con Senay, ragazza turca che lavora come cameriera nello stesso albergo di Okwe. La loro capacità di sopravvivenza è tutta in una disperata arte di arrangiarsi con uno spirito pragmatico estremo, dipinto da Frears con un secco e accorato realismo, definito perfettamente dalla fotografia di Menges. I protagonisti annaspano nella indifferente West London costretti dal mondo spietato in cui si muovono ad essere più vigili e razionali e contemporaneamente a vivere tutte le emozioni in modo esponenzialmente più forte e intenso di chi è "regolare". Il film assume proprio questo lacerante punto di vista impossibile: un'amplificazione emotiva unita alla necessità di uno sguardo lucido sulla realtà, creando una modulazione narrativa di grande originalità e efficacia, in cui gli assunti su immigrazione, rapporti interpersonali e sopravvivenza diventano riflessioni provocatorie e intense. Il medico Okwe vede concretizzarsi sotto gli occhi il valore monetario della persona clandestina quando suo malgrado scivola nel mondo del traffico d'organi, dove il corpo, o meglio alcune delle sue parti, ha un prezzo preciso. L'individuo è completamente sfruttabile in qualsiasi momento, e a questa inoppugnabile consapevolezza Okwe e Senay non possono che rispondere tentando di mantenere alta la qualità dei loro sentimenti e puro il loro percorso di vita. Il tutto in una cornice narrativa di rara intensità, supportata da un preciso lavoro sugli attori, tutti non inglesi, fra cui spicca il valore di una Tautou che dimostra di avere molto da dire una volta liberatasi della pesante e schematica maschera di Amelie. Piccoli affari sporchi riesce a giocare tutti i suoi elementi con estrema duttilità ed efficacia, mettendo a segno anche un discorso sul genere di grande freschezza: Frears e Knight passano con scioltezza e plausibilità dal dramma sociale, alla storia d'amore, al thriller, alla commedia, fino a spingersi a toccare le propaggini del racconto gotico dell'orrore, incastonato fra le pareti ricoperte di plastica di una camera d'albergo che diventa improvvisata sala operatoria e simbolo di morte dopo essere stata luogo di incontri sessuali a pagamento, violenze e ricatti. E, paradossalmente, non è mai rifugio o abitazione, ciò per cui dovrebbe essere stata concepita: così come la Londra di Okwe e Senay è il simbolo schiacciante di una società i cui presupposti di base di convivenza e rispetto sono rovesciati per diventare paura e lotta per la sopravvivenza. |