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Goodbye, Lenin!,
Ger, 2003 di Wolfgang Becker, con Daniel Brühl,
Katrin Saß, Maria Simon, Chulpan Khamatova, Florian Lukas, Alexander
Beyer, Burghart Klaußner, Michael Gwisdek
Decretato miglior film europeo all'ultimo festival di Berlino, Goodbye,
Lenin è quello che a pieno titolo potremmo definire
un'ottima occasione mancata.
Lo spunto è interessante. Una donna, socialista militante che,
dopo essere stata abbandonata dal marito, ha fatto della patria la sua
ragione di vita, entra in coma pochi giorni prima della caduta del muro
di Berlino. Trascorre otto mesi in una stanza d'ospedale ed al suo risveglio
nulla è più come prima. Berlino è vittima di una
schiacciante occidentalizzazione: i manifesti pubblicitari della Coca-Cola
tappezzano le sue pareti come quelle di una qualunque altra città
europea e americana, i fast- food e gli hamburger imperano, nei supermercati
non v'è più traccia dei prodotti di marchio tedesco, alla
televisione non vengono più trasmesse gloriose manifestazioni
celebrative di orgoglio patrio. La donna è molto debole ed i
medici consigliano ai figli di evitarle per un primo periodo qualsiasi
sorta di trauma. Come metterla al corrente dunque della nuova realtà?
Impossibile! Ed ecco che il figlio minore decide, contro la volontà
della più pratica sorella, già appieno integrata nel nuovo
consumistico ordine sociale, di creare alla madre un anacronistico mondo
parallelo fatto di telegiornali falsi montati con immagini di repertorio
grazie all'aiuto di un amico aspirante regista, di cibi in scatola passati
dalle moderne confezioni di marchi americani a quelle vecchie e recuperate
fortuitamente di produzione tedesca, di finti cori patriottici ottenuti
pagando venti marchi ragazzetti delle scuole.
Fin qui tutto bene. Fino a questo punto Wolfgang Becker è riuscito
a costruire una divertente, anche se a tratti ripetitiva, dignitosa
commedia amara che ben fotografa, con un fine sorriso sulle labbra,
lo spaesamento di un popolo protagonista di una rivoluzione epocale
anelata per anni, ma arrivata tanto repentinamente da non lasciare ai
diretti interessati il tempo di adeguarsi al nuovo stato delle cose.
I problemi nascono quando, con un improvviso quanto infelice cambio
di segno, il giovane regista decide di cambiare strada: abbandona la
via della commedia per svoltare in quella del dramma familiare. Ed ecco
riaffiorare la fin qui solo accennata figura del padre che accorre lesto,
trascinato dal figlio, vero protagonista della storia, al capezzale
della donna morente facendo emergere la verità nascosta: lui
non ha mai abbandonato la famiglia, anzi ha implorato la moglie di seguirlo
al di là del muro ed ha scritto decine di lettere ai figli, ma
questi non hanno mai potuto leggerle a causa dell'egoismo e dell'inadeguatezza
della madre, che, per paura di perderli, ha preferito farli crescere
senza un padre. Accozzaglia di sentimenti poveri e fuori luogo perché
non preparati in alcun modo nel corso della prima di ora di film. Si
potrebbe quasi avere l'impressione che il regista, che firma anche la
sceneggiatura, ad un certo punto non avesse la benché minima
idea di dove andare a parare per chiudere il film. Ed infatti il finale,
deludente, porta a pieno compimento la tendenza tragica.
Peccato! Wolgang Becker è un regista sicuramente capace. E' uno
dei membri del collettivo di lavoro berlinese chiamato X-Filme Creative
Pool al quale prendono parte autori interessanti quali Tom Tykwer (Lola
corre) e Dany Levy. Se avesse avuto il coraggio di osare di
più, questa pellicola, per certi versi sicuramente interessante,
si sarebbe a pieno titolo inserita nella grande tradizione tedesca dei
Fassbinder, Herzog, Wenders, anche se di certo con temi un bel po' più
leggeri! |