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Lord of the rings:
the two towers, Nuova Zelanda / Usa / Germania, 2002 di Peter Jackson, con Ian McKellen, Christopher Lee, Elija Wood, Viggo Mortensen, Liv Tyler, Cate Blanchett, Orlando Bloom, Hugo Weaving Se già il Signore degli Anelli - la Compagnia dellAnello (Lord of the Rings - The Fellowship of the Ring, 2001) lo scorso anno aveva sotto molti punti di vista ridisegnato le coordinate del fantasy, svincolandosi dalla gabbia del genere con lintroduzione di forzature stilistiche ed estetiche ben definite, con lavvento di ll Signore degli Anelli - le Due Torri (Lord of the Rings The Two Towers, 2002) il discordo proposto da Peter Jackson si radicalizza ulteriormente, arrivando a dei risultati che ci hanno lasciato sinceramente esterrefatti ed ammirati; procediamo con ordine, e tentiamo di spiegare perché questa seconda puntata della saga tratta dallepopea di Tolkien si pone ai nostri occhi come opera-spartiacque, vera e propria summa di tutto un tipo di cinema fatto finora, ed al tempo stesso contenitore in grado di racchiudere al suo interno sperimentazioni linguistiche di inaudita audacia. La Compagnia dellAnello possedeva degli elementi estetici che lo rendevano altro rispetto alla maggior parte dei blockbuster visti in precedenza: certamente aiutato dal testo di partenza, a cui è rimasto piuttosto fedele, Jackson ha potuto imprimere unaccelerazione di ritmo alla storia ed agli eventi tale da renderli a tratti vertiginosi, quasi insostenibili. Il film si era trasformato così in un inseguimento di quasi tre ore, dove scene di battaglia e momenti di raccordo si fondevano e compenetravano dando origine ad un equilibrio dinamico quasi totale. Alla fine non si seguivano più situazioni, personaggi o trama, ma ci si lasciava avvolgere dalla frenesia, dalla corsa, dal ritmo scalpitante della messa in scena fangosa ed accaldata scelta dallautore, capace di imprimere ad un blockbuster da 100 milioni di dollari unestetica sottile e viscerale, fatta di inquadrature taglienti e di ambienti cupi, ferrigni, polverosi: niente a che vedere con le immagini solari e magniloquenti proposte dai vari kolossal fantasy prodotti dallindustria hollywoodiana (Tim Burton a parte,ovviamente). Con questa seconda puntata Jackson, forse perché costretto proprio dal testo a cui ha voluto rimanere il più possibile attaccato, ha forzato ancor di più la mano sugli elementi linguistici ed estetici che hanno fatto la fortuna del primo episodio, ed in più ha osato sbriciolare la già labile compattezza narrativa del precedente: tutta la frammentazione della storia, che viene ricomposta attraverso il ritmo e la messa in scena, in le Due Torri esplode addirittura in tre diverse segmentazioni che tra loro non hanno alcun punto di contatto; le vicende di Aragorn, di Frodo e dei due hobbit rapiti dagli orchi alla fine de la Compagnia dellAnello non si incrociano mai per tutto il film; il lungometraggio si trasforma dunque nella sovrapposizione di tre mediometraggi (di cui soltanto due hanno una vera e propria conclusione), mescolati tra loro da un montaggio di incredibile equilibrio, che rende a nostro avviso la pellicola una vera e propria opera di cinema sperimentale, almeno per questo tipo di produzione. Tre ore di film, divise in tre storie tra loro eterogenee sia sotto il punto di vista estetico che narrativo, danno origine ad unopera inaspettatamente lineare, scorrevole, mai ridondante o scontata. Oltre a questo miracolo di compenetrazione tra sceneggiatura e montaggio, il film possiede anche la devastante bellezza dei personaggi che rispetto al primo episodio vengono accresciuti, spiegati, drammaticizzati: pensiamo ad Aragorn ed al suo amore per Arwen prima e poi Eowyn; pensiamo a Frodo e Sam, sempre più incatenati e schiavi del male sprigionato dallanello; pensiamo soprattutto alla new entry Gollum, figura interamente ricostruita al computer (sui movimenti dellattore Andy Serkis) eppure umanissima e straziante, degna dei migliori personaggi tragici degli ultimi anni. In più sia la storia che la messa in scena si incupiscono decisamente rispetto al precedente: in le Due Torri latmosfera più tetra ed un sotterraneo pessimismo di fondo rendono loperazione ancora più azzardata, affascinante; tutta la preparazione alla battaglia finale nel fosso di Helm, lunga ed emotivamente estenuante, è unaddizione di particolari insieme quotidiani e tragici che danno uno spessore drammatico inusitato per una pellicola comunque progettata per sbancare i botteghini di mezzo mondo. Se dunque sommiamo la messa in scena fragorosa e personalissima che contraddistingue lo stile di Peter Jackson a quelle che osiamo definire le sperimentazioni a livello narrativo e di introspezione dei personaggi effettuate in questa seconda puntata della saga, ecco che non possiamo non vedere le Due Torri come unoperazione che tenta di racchiudere in sé molto del discorso cinematografico che si è venuto a maturare negli ultimi anni a proposito di produzione mainstream: film-contenitore, come abbiamo già scritto, ed in più consapevole di esserlo ed in grado di supportare con la propria folgorante estetica le novità in esso contenute. Anche se sicuramente con un ben altro livello di audacia, e soprattutto di consapevolezza di uso del mezzo cinematografico inteso nella sua accezione totale, Le Due Torri potrebbe somigliare a nostro avviso a quello che Apocalypse Now ha rappresentato più di ventanni fa: un film che vuole spostare i confini del mezzo-cinema, ridisegnare le linee direttive di un certo tipo di produzione, pur rimanendo allinterno di schemi già fissati ed intoccabili, ma sfruttabili con coraggio e sfrontatezza. Ovviamente questo paragone azzardato va equilibrato con le giuste proporzioni: il film di Coppola ha spostato i confini del cinema americano ed anche mondiale, questo ultimo capolavoro di Jackson soltanto quelli del genere a cui appartiene; a noi non sembra comunque cosa da poco, soprattutto se inquadriamo loperazione di Jackson (e anche di altri autori, a dire il vero) come un tentativo di andare contro un possibile di omologazione estetica e culturale che potrebbe coinvolgere la produzione mainstream ad Hollywood, sempre più costosa e perciò sempre più rivolta allincasso... |