Io non ho paura
I bambini ci guardano...
di Adriano Ercolani

 
  Italia, 2002
di Gabriele Salvatores, con Giuseppe Cristiano, Mattia Di Pierro, Dino Abbrescia, Diego Abatantuono, Aitana Sanchez Gijon

Quando si pensa a pellicole che hanno avuto come protagonisti i bambini, non si può non pensare ad alcune tra le opere più belle di Francois Truffaut e Steven Spielberg, due autori che hanno segnato la storia del cinema contemporaneo. Tanto il primo ha affrontato il tema della gioventù con l’intensità e la pudica delicatezza del suo miglior cinema in opere come I quattrocento colpi o Gli anni in tasca, tanto l’altro ci ha regalato poderose e problematiche visioni dell’essere bambino in un mondo allo sfascio, con lungometraggi come L’impero del sole o Il colore viola.
Dovendo accostare quest’ultimo Io non ho paura di Gabriele Salvatores ad uno dei due cineasti sopra menzionati, e soprattutto al loro modo di mettere in scena l’universo dell’infanzia, sicuramente sarebbe più appropriato paragonarlo ad un’opera di Spielberg. L’autore di Mediterraneo e Turnè infatti confeziona un film che punta tutto sull’importanza della messa in scena, per raggiungere attraverso di essa momenti di poesia cinematografica; la maggiore qualità del film è quella infatti di saper arrivare all’intimismo proprio attraverso la bellezza delle immagini che, accostata all’innocente semplicità dei dialoghi, riesce a costruire un quadro perfettamente plausibile ed allo stesso tempo prezioso nella sua estetica. Io non ho paura è perciò, prima di tutto, un lungometraggio bello da vedere, e questo è principalmente dovuto alla regia di Salvatores ed alla fotografia di Italo Petriccione; in secondo luogo è una storia ben raccontata, che alterna un ritmo narrativo molto fluido e preciso a delle scene preziose, che raccontano alla perfezione l’essere bambini ed insieme complici, compagni, amici. Un altro grosso pregio del film è quello di saper raccontare l’infanzia del piccolo protagonista in tutta la sua complessità: per almeno metà del racconto il giovane Michele non riesce a mettere a fuoco esattamente cosa sta succedendo, e vive la sua avventura come un bambino: agisce d’impulso, spinto più dall’istinto che dalla razionalità propria degli adulti. Michele osserva confuso gli eventi che accadono nonostante tutto, diviso tra ciò che sente giusto e l’amore per quelli che gli sono accanto. Il film, più che raccontarci esplicitamente cosa accade dentro la testa (ed il cuore) del protagonista, ce lo suggerisce, ed è probabilmente questa la carta vincente, in quanto ciò che percepisce ed elabora un bambino non può essere spiegato razionalmente, ma soltanto compreso nel profondo ed eventualmente assecondato. Per Michele non ci sono buoni o cattivi, ma c’è soltanto quello che lui crede giusto o sbagliato; c’è l’amore per il padre che non vede mai, la sfiducia nei confronti dei nuovi amici del babbo, ma soprattutto c’è la paura e poi la speranza della nuova amicizia. Per lui il bimbo nel buco significa terrore, novità, possibilità di evadere dal mondo che lo circonda: l’innocenza della loro amicizia viene mirabilmente esplicata nella corsa attraverso le spighe del grano, che si conclude con Michele che alla fine riporta Filippo nel buco, perché non sa cos’altro fare e perché è un bambino, ed i bambini non possono (e non devono) essere eroi. La sceneggiatura di Francesca Marciano e Niccolò Ammaniti (autore del romanzo da cui il film è tratto) è dunque un esempio calibratissimo di script che riesce a coniugare senso dello spettacolo, racconto cinematografico e storia d’introspezione psicologica. Da parte sua poi Salvatores asseconda al meglio la storia con una regia ariosa ed ispirata, che sfrutta al meglio sia la bellezza degli scenari naturali che quella del paesino semi-abbandonato.
Grazie dunque alla capacità di arrivare al cuore dello spettatore passando attraverso lo specifico cinematografico (l’immagine), ed anche attraverso la costruzione di una storia tanto interessante quanto efficace a livello emotivo, Io non ho paura si pone immediatamente come uno dei film italiani più importanti di questo ultimo scorcio di stagione cinematografica: prezioso sia nella confezione che nel contenuto, l’ultimo lavoro di Salvatores deve essere considerato forse l’opera più riuscita del regista, tornato nuovamente ispirato come non gli accadeva da tempo.