Venezia 62 - 2005

La mostra in pillole
a cura della Redazione

"Izo" di Miike Takashi

 
  ^ i Segreti di Brokeback Mountain

L’elemento maggiormente caratterizzante di questa 62° Mostra del Cinema di Venezia è stato senza dubbio l’evidente cesura tra due modi di intendere il cinema: quello che ha fallito in maniera piuttosto evidente è stato il cosiddetto “cinema d’autore” - termine ormai improprio che racchiude in questo caso una molteplicità di idee e soprattutto di aree geografiche -, legato ad una presunta schiera di cineasti che hanno voluto imporre allo spettatore la loro idea estetica e la loro poetica, piuttosto che tentare di rispettare le minime esigenze di fruizione del pubblico: in questa rassegna quasi tutte le opere che hanno proposto delle visioni più personali e dall’identità filmica maggiormente elaborata hanno mostrato di avere il fiato corto, e questo è dovuto soprattutto alla mancanza di uno sviluppo narrativo equilibrato e funzionale: ciò si è notato soprattutto nei più importanti nomi del cinema asiatico; ma se i film di Park Chan-Wook e Tsui Hark hanno evidenziato soltanto uno squilibrio drammaturgico alla base di un prodotto comunque interessante, Takeshi Kitano invece è naufragato in un opera autoreferenziale e gratuita, un polpettone “felliniano” di insensata bruttezza.

Il rovescio di questa medaglia è stato per fortuna il cinema americano, che mai come quest’anno si è presentato sul lido con una schiera di pellicole accomunate dalla stessa logica: fare spettacolo attraverso la linearità - sia narrativa che estetica - il che significa fondamentalmente raccontare storie. Dalle produzioni indipendenti a quelle hollywoodiane, il comune denominatore è stato quello di una costante ricerca rivolta all’attenzione dello spettatore, confortato da un cinema come sempre in grado di utilizzare al massimo le proprie potenzialità. Ma se dalle opere mainstream era impossibile non aspettarsi questa tendenza, la vera sorpresa sono stati i cosiddetti indies: Bubble di Soderbergh e soprattutto il divertentissimo Brick di Ryan Johnson hanno adoperato nella maniera migliore l’impianto narrativo dei generi americani per sviluppare a modo loro, secondo cioè le proprie esigenze produttive, due film assolutamente intriganti.

E il cinema italiano? Nella mediocrità quasi assoluta delle nostre opere presentate al lido, con il picco verso il basso raggiunto da Battiato e Paravidino, si salva soltanto – ed a sorpresa - il film della Comencini, che guarda caso basa la propria forza sulla propulsione di una narrazione precisa e facilmente identificabile: niente fronzoli autoriali, nessuna parabola esistenziale, non un’idea di regia che prevarichi tutto il resto. Una storia da raccontare, che è sempre il miglior punto di partenza.


Bubble
the Constant Gardener
the Descent
Elizabethtown
the Exorcism of Emily Rose
Four brothers
i Fratelli Grimm e l'incantevole strega
Good night, and good luck
Lady vendetta

Mary
Ogni cosa è illuminata
Romance & cigarettes
i Segreti di Brokeback Mountain
la Sposa cadavere

 

Venezia 62 in pillole
di Adriano Ercolani

Top 5

i Segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee
La capacità e la volontà di costruire un melodramma secondo uno degli autori più sensibili del panorama americano, che ancora una volta poggia il suo cinema sulla suadenza della narrazione intimista. Elegante e poderoso, il film ha il coraggio e la modernità di non volersi sottrarre alle regole precise del genere, ma le sfrutta in tutta la loro efficacia paradigmatica per arrivare al cuore degli spettatori. Leone d’oro strameritato.

Elizabethtown di Cameron Crowe
Ecco il film “imperfetto” che non puoi non amare, perché dietro ci vedi la volontà di un grande sceneggiatore di provare nuove strade, cercare nuove soluzioni narrative, continuando a scrivere i copioni come si faceva un tempo, e cioè in maniera perfetta. Strabordante esempio di cinema-contenitore, “Elizabethtown” racchiude tanti dei discorsi cari a Crowe da rischiare di scoppiargli addosso; un film sincero, emozionante, pieno di trovate drammaturgiche e di continui cambiamenti di ritmo. Anche se grezzo, un piccolo diamante.

La sposa cadavere di Tim Burton e Mike Johnson
Il vertice dell’animazione in stop-motion al servizio del ritorno del genio di Burbank alla favola “dark”. Ritmo indiavolato, momenti musicali sfavillanti, un’atmosfera che rimanda in pieno a Beetlejuice: cosa volere di più da Burton? La storia non raggiunge forse l’originalità di Nightmare Before Christmas, ma per il resto siamo di fronte ad un lavoro assolutamente degno del precedente.

Cinderella Man di Ron Howard
Uno dei migliori esempi di cinema “popolare” degli ultimi anni, sorretto da un impianto visivo e da una struttura narrativa di grande qualità. Per due ore e un quarto ti appassioni ad una storia tanto risaputa quanto implacabile nella sua cadenza drammatica. Ron Howard si dimostra uno dei più grandi narratori populisti – nel senso buono del termine – del cinema americano. La coppia Crowe/Zellweger funziona, e Giamatti è da applausi.

Good Night, and Good Luck di George Clooney
Lucido, stringato, preciso atto di denuncia non solo contro il maccartismo (la superficie), ma soprattutto contro chi, oggi, non adopera i media come veicolo di informazione libera ed equilibrata (l’anima del film). Dietro l’impeccabile confezione retrò in bianco e nero Clooney nasconde un film tagliente ed estremamente attuale. L’intelligenza di una star lungimirante al servizio del pubblico, con in più un attore di razza come David Strathairn.

Promossi


i Fratelli Grimm e l'incantevole strega di Terry Gilliam

Brick di Ryan Johnson

Ogni cosa è illuminata di Liev Schreiber

The Descent di Neil Marshall

The Costant Gardener di Fernando Meirelles

La bestia nel cuore di Cristina Comencini

Bubble di S.Soderbergh


Rimandati



Mary di Abel Ferrara

Garpastum di Alex German Jr.

Seven swords di Tsui Hark

La seconda notte di nozze di Pupi Avati

Verso il sud di Laurent Cantet

Proof di John Madden

The Wild Blue Yonder di Werner Herzog

Lady vendetta di park Chan-Wook

The Exorcism of Emily Rose di Scott Derrickson


Bocciati


Fragile di Jaume Balaguéro

Takeshi’s di Takeshi Kitano

Musikanten di Franco Battiato

I giorni dell’abbandono di Roberto Faenza

Gabrielle di Patrice Chereau

Romance & Cigarettes di John Turturro

Texas di Fausto Paravidino

Before It Had a Name di Giada Colagrande