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Id.,
USA, 2005
di John Turturro, con James Gandolfini, Susan Sarandon,
Kate Winslet, Christopher Walken

Era mattina al Lido, quando c’imbattemmo nel terzo film da regista
di John Turturro. E ricordiamo chiaramente che fu un bell’inizio
di giornata: se non altro, era valsa la levataccia, una delle tante
tipiche dei giorni della Mostra, con ancora negli occhi le immagini
dell’ultima proiezione della sera precedente, e la vaga sensazione
di non aver dormito affatto. Perché Romance & Cigarettes
è un film allegro, scanzonato, incredibilmente divertito e divertente;
pur non essendo - ed è fuor di dubbio - un’opera memorabile.
Turturro racconta di aver avuto l’idea in testa per anni, fin dall’epoca
del Barton Fink degli amici Coen, e del suo successivo
esordio alla regia, con Mac; era il 1992. E vedendo
il film, si capisce subito quanto di autobiografico dev’esserci
in quella storia, non tanto per ciò che concerne l’esile
plot, ma piuttosto per quell’aria di famiglia che pervade l’ambientazione
popolare, oltre che per lo sfegatato affetto che l’autore denuncia
per le assortite figure che la animano. Tutto è reso ancor più
leggibile dal nostalgico “cotè” musicale che innerva
la vicenda, di primaria importanza; sì, perché Romance
& Cigarettes è praticamente un “musical proletario”
- anche se Turturro parla piuttosto di “commedia umana” -
che si snoda sulla travolgente onda dei “tunes” che hanno
evidentemente segnato la giovinezza dell’autore: e quindi Tom Jones,
Janis Joplin, James Brown, Engelbert Humperdinck (la sua celebre “A
Man Without Love” apre il racconto).
La storia, si diceva, è poca cosa: un’impagabile Susan Sarandon
scopre per caso il tradimento del marito, l’operaio James Gandolfini;
la crisi familiare è immediata, ma la vicenda riserverà
più di una sorpresa. E, a conti fatti, le “sigarette”
del titolo avranno la medesima rilevanza del “romance”.
Trattandosi, pur con tutte le specifiche del caso e checchè ne
dica l’autore, di un film musicale - i personaggi cantano continuamente,
e le loro canzoni di fatto “narrano” la storia - va da sé
che proprio l’aspetto scenografico e coreografico rivesta un’importanza
assoluta, intendendo la qualifica in senso etimologico: ed in questo
l’opera riesce, e di gran lunga, complice il pregevole lavoro di
Donna Zakowska e di Tricia Brouk, addette alle competenze di cui sopra;
e senza dimenticare il prezioso contributo del sempre più bravo
Tom Stern, direttore della fotografia del “nuovo corso” eastwoodiano,
e qui perfetto complemento tecnico delle idee di Turturro, con quella
sua ariosa inquadratura larga che fa tanto “musical” anni
Cinquanta, e che ben si sposa con un lavoro sulla luce rigorosamente
antinaturalista, proprio - ovviamente - nelle sequenze canore.
Dove il film vince ancora - lo anticipavamo in apertura - è nel
“viscerale” approccio a personaggi irrimediabilmente simpatici,
ai quali è impossibile non tributare lo stesso affetto di cui
deve averli investiti il suo creatore; e lo si fa volentieri, anche
a dispetto di un disegno assolutamente frettoloso e macchiettistico
degli stessi, in particolar modo per ciò che riguarda i caratteri
di contorno. Peccato, perché lo sceneggiatore Turturro avrebbe
potuto assumere un distacco maggiore dalla materia e dare più
peso narrativo alla vicenda e a chi la interpreta; invece tutto rimane
in superficie, e traspare il compiacimento del regista nello sbozzare
i “profili” dei suoi straordinari ballerini; dato che tali
rimangono, laddove sarebbero probabilmente diventati, in mano agli stessi
Coen - qui produttori esecutivi - una galleria di figure memorabili.
Ma il film, a livello primario e quindi puramente “entertaining”,
gira che è una meraviglia, servito da un cast azzecatissimo.
E alla fine non si può non rimanere travolti dalla scatenata
verve di questa storia di amori e tradimenti, specialmente se si è
tra coloro che pensano che un numero musicale giovi a qualunque tipo
di film. Noi, in tutta sincerità, iniziamo a crederlo.
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