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Highscores
la Promessa dell'assassino
Howard Shore (Sony Classical)
In un frangente alle volte così sconfortante come quello della
musica da film contemporanea, un compositore come Howard Shore se non
ci fosse bisognerebbe inventarlo. Sorpassato senza chiassose rivalse
lo scioglimento artistico con Peter Jackson dopo il
Signore degli anelli (causato dalle divergenze artistiche per King
Kong), contornato a ritmo di tango lo scontro tra bene e male in
the Departed e vergato uno score
per il fantasy the Last Mimzy, già tributato
di promettenti recensioni oltreoceano, lartista canadese ha ritrovato
David Cronenberg con la
Promessa dell'assassino, facendo ritorno agli stilemi più
viscerali della sua grafia. La filigrana orchestrale dalla trattenuta
emotività che tanto ha caratterizzato lopera del regista
canadese reagisce nuovamente alle immagini con tutta lintensità
di un tratto espressivo sempre in bilico tra epos operistico e scandaglio
sottocutaneo della materia umana. Liniziale Eastern Promises
svela le inclinazioni fortemente etniche della partitura, che attinge
alla tradizione armonico-melodica russa in ottemperanza alle origini
dei protagonisti, ma licenzia anche subito alcune delle scritture spiccatamente
shoriane (il trattamento dei bassi registri degli archi, che, su tutti,
rimandano a Il silenzio degli innocenti). A farsi carico della narrativa
un afflitto tema per violino, strumento che simpone sullorchestra
per tutto larco dello score e che, nelle mani della scozzese Nicola
Benedetti, ne sancisce la forma di sinfonia concertante. Si aggiunge,
di rilievo nella strumentazione, la balalaica, anchessa funzionale
ad una tessitura sovietica che va ben oltre la semplice coloritura:
in Tatiana la svolta danzante delladagio dapertura;
in Slavery and Suffering linno intonato dal coro maschile.
Solo un ergersi teutonico degli ottoni riporta momentaneamente alle
sonorità della Terra di Mezzo in Trans-Siberian Diary,
per poi cedere nuovamente il passo alla linea violinistica, che chiude
un lavoro di rimarchevole misura significativa. Il dodicesimo dellancora
straordinaria collaborazione tra Shore e Cronenberg.
The Lord of the Rings:
The Return of the King - The Complete Recordings
Howard Shore (Reprise)
La pubblicazione integrale dello score per il terzo e conclusivo capitolo
cinematografico della saga de Il Signore
degli Anelli chiude una delle operazioni discografiche che hanno
già fatto la storia del medium cine-musicale. Dal 2001 al 2003,
contestualmente alluscita nelle sale dei tre lungometraggi di
Peter Jackson ispirati alla saga di Tolkien, la Warner/Reprise pubblica
diligentemente tre album con un sunto degli eccezionali score composti
da Howard Shore. Sullonda degli apprezzamenti riscontrati dai
film e dalle colonne sonore (tre Oscar tributati allavventura
shoriana nella Terra di Mezzo), letichetta non interrompe la sua
affiliazione con il franchise e nel 2005 manda alle stampe le Complete
Recordings de La compagnia dellanello presentando un piano dellopera
coraggiosissimo: tre sontuosi cofanetti, uno per ogni score della trilogia,
scadenzati annualmente, contenenti in tre cd (più un dvd-audio
dagli stessi contenuti ma in Dolby Surround) ogni brano composto per
il film, per le rispettive scene aggiunte nelle extended version e le
tracce non utilizzate. Ad avvalorare il già prezioso progetto,
le dettagliate note analitiche alle partiture di Doug Adams, anche autore
di una puntale guida allascolto traccia per traccia, disponibile
on-line sul sito della Reprise. Con lultimo box-set de Il ritorno
del re ora disponibile (il volume del materiale musicale ha reso necessaria
laggiunta di un quarto cd), non si può che attestare quanto
necessario sia stato limpegno profuso a favore di una commento
che reclama lascolto completo, che sa vivere autonomamente anche
al di fuori delle immagini (lo dimostra anche la Sinfonia che Shore
ha tratto dallopera e che sta riscuotendo interesse da più
parti nel mondo), che insomma incarna massimamente il modello di poema
sinfonico primordialmente affine alla narrazione epica cinematografica.
Non è un caso, dopotutto, che il trittico jacksoniano segua,
discograficamente e musicalmente, le orme di Star Wars (le partiture
di John Williams sono state ristampate nella loro completezza dalla
Sony proprio lo scorso mese), evidenziando inoltre limportante
sensibilità maturata per la musica da film in ambito di pubblicazioni:
lopera di Williams ha atteso ventanni prima della completa
edizione discografica, quella di Shore poco più di uno.
On Screen
Più si ritorna al
soundtrack di Across the Universe,
viaggio in musical attraverso luniverso dei Beatles, più
la sensazione che il risultato finale avrebbe potuto offrire maggior
soddisfazione resta immutata. Complessivamente lalbum (Interscope),
nelle sue 16 cover dei Fab Four, offre un viaggio nella memoria sicuramente
godibile. Julie Taymor non ha lesinato sulle forze da mettere in campo:
Elliot Goldenthal - fedele collaboratore della regista per Titus
e Frida (che gli valse lOscar),
responsabile ovviamente anche dello score originale - e T Bone Burnett,
già dietro il progetto di rivisitazione del repertorio clashiano
in Walk the Line - Quando
lamore brucia lanima) di Mangold, sono responsabili
degli adattamenti dei brani per i membri del cast e dei nuovi arrangiamenti,
non sempre allaltezza delle stesure originali e con frequenti
perdite dellanima beat congenita alla band di Liverpool. Alcune
volte si rimane affascinati e sorpresi (come dalla virata ballad di
I Want To Hold Your Hand), altre molto meno. Anche le guest
star coinvolte, Bono (I Am the Walrus, Lucy in the
Sky With Diamonds) e Joe Cocker (Come Together), non
vanno oltre il risaputo con un punto a favore per il bluesman.
Lassenza di un quid davvero caratterizzante, forse svanito nellinseguire
uneccessiva eterogeneità tra una rivisitazione e laltra,
privano il soundtrack di quel temperamento che invece nobilitava il
soundtrack beatlesiano di Mi chiamo
Sam. O, per restare allattualità, che brilla nella
Here come the sun proposta da Sheryl Crow in Bee
Movie.
Non
è mai passato inosservato agli ascoltatori più attenti
e raffinati, così come alla Hollywood moderna che ha continuato
ad approvare il suo approccio alla musica da film, anche quando lontano
dallo standard orchestrale tout-court e più conforme al piglio
elegantemente disadorno del personale stile trombettistico. Senza dubbio
però Mark Isham sta vivendo dal 2004 una grande ribalta: lapprezzamento
riscosso dai suoi score per Crash di Paul Haggis e
the Black Dalia di De Palma lo
hanno portato ad unattenzione e ad una produttività notevoli.
Mentre è nelle sale il suo ultimo contributo allimportante
collaborazione con Robert Redford (Leoni
per agnelli), eccolo alle prese con una partitura rarefatta fino
allestremo, secondo connubio con Haggis. La musica di Nella
valle di Elah (Varèse Sarabande / Audioglobe) fotografa lo
sviluppo odierno della scrittura ishmaniana per il cinema (e non solo):
sicuramente influenzata dallarchitettura newmaniana, essenziale
nel tratto armonico-melodico, scrupolosissima nella scelta strumentale
e assai calibrata nella miscela tra acustica ed elettronica. Sempre
alla periferia della significazione narrativa di ricalco alle immagini,
intesa piuttosto ad una sublimazione dello stato psicologico, il commento
condivide la retorica predominante della musica per il seriale televisivo
postmoderno. E con essa la conseguente, marcatissima difficoltà
di un ascolto disgiunto dal fotografico.
Lunico dubbio che si accompagna allascolto della colonna
sonora (Rai Trade) composta ed interpretata da Miriam Meghnagi per Rosso
Malpelo di Pasquale Scimeca riguarda il bisogno di accompagnare
una storia radicalmente italiana come quella verghiana con influenze
arabe ed africane. Una risposta sta forse nelle conseguenze fatalistiche
che il trend della world-music nella musica da film sta generando da
qualche tempo. Detto questo, va dato merito alla Meghnagi di aver elaborato
egregiamente le influenze in questione, contornando il film, oltre che
della sua fondamentale voce, di atmosfere spiccatamente terrene e popolari
capaci di amalgamarsi alla storia. Non mancano i momenti di astrattezza
lirica (Stars and dreams), anche questi ben posizionati
e di sicura efficacia. Non ultima, una cura musicale degna di nota,
con arrangiamenti in cui gli eccellenti solisti trovano il giusto spazio.
Lincalzante Keep in mind è poi un saggio particolarmente
esemplare dellelevata qualità profusa nel confezionamento
sonoro.
Off Screen
Durante
un certo periodo carrieristico Ennio Morricone portò ad una sovrapposizione
pressoché totale le sue due anime professionali, concertistica
e cinematografica, agevolando alle inclinazioni formali della prima
la preminenza nella grammatica della seconda. Fertile terreno per lattecchimento
delle soluzioni sperimentali stimolate da un simile trattamento musicale
furono in larga parte gli score per la "trilogia degli animali"
di Dario Argento. La Cinevox celebra lultima colonna sonora del
trittico, 4 mosche di velluto grigio (1971), con una
lussuosa edizione digipack rimasterizzata. Mentre una sola composizione
dai vividi contorni tardo romantici, Come una madrigale,
espleta le occorrenze melodiche, lintero corpus orchestrale della
partitura è sospeso in un procedimento aleatorio, fuori dagli
schemi tonali. Una atteggiamento ricco di dissonanze e scritture disagevoli
che accoglie anche un uso sorprendente degli idiomi e della strumentazione
rock progressive (Titoli), quattro anni prima dello sdoganamento
nel filone operato dai Goblin con Profondo Rosso. Le
tre tracce inedite del disco comprendono la suite V, un
saggio di improvvisazione controllata per batteria che merita
menzione.
Due gemme del leggendario trascorso di Max Steiner nel genere monstrous
degli anni 30 tornano nella collana economica della Naxos, dopo
la prima apparizione nelledizione Marco Polo. La registrazione
è ancora quella, impeccabile, ad opera del duo John Morgan e
William Stromberg, rispettivamente restauratore delle partiture e direttore
dorchestra a capo della Sinfonica di Mosca. Si parte con il commento
al non indispensabile sequel di King Kong, il
Figlio di Kong (the Son of Kong, 1933). Steiner, usufruendo
anche dei consacrati materiali tematici stesi per il primo film, dimostrò
particolare simpatia per le immagini redigendo uno score ben al di sopra
del girato, caratterizzato da un motivo blues sopravvissuto - non a
caso - alla memoria del lungometraggio. Anche per il secondo lavoro
proposto, la Pericolosa partita (the Most Dangerous
Game, 1932), il compositore austriaco scrisse un tema memorabile, un
valzer di sinistra efficacia per il protagonista. I motivi della comprovata
immortalità dello spartito sono però da ricondurre alle
scritture action (The Chase), rimaste, anche a distanza
di generazioni, un topos contagioso per i musicisti hollywoodiani.
Un insolito evento segnò la storia della 20th Century Fox nel
1954: due autorità della musica da film, già consacrate
dal successo e adulate da registi e produttori, unirono le forze in
un connubio rimasto ancora oggi senza degni eguali. Neanche laccoppiata
Hans Zimmer/James Newton Howard recentemente assemblata da Chris Nolan
per il suo Batman Begins può
vantare laurea di straordinarietà che la collaborazione
tra Alfred Newman e Bernard Herrmann conferirono a Sinuhe legiziano
(The Egyptian). Ancor più insolito poi che uno dei poli del connubio
fosse incarnato da un musicista notoriamente difficile, dal temperamento
scostante e dalla genialità non corruttibile come Herrmann, che
anzi si dimostrò soprendentemente aperto alla richiesta di aiuto
di un Newman particolarmente indaffarato. Tanto da arrivare a lavorare
su temi già stesi dellamico. La generale tenuta dei differenti
stili allinterno del contesto drammatico della prova segnalano
la comprensione comune per lopera dei due artisti, al punto che
in alcune occasioni lomogeneità della partitura - se non
fosse per le specificazioni offerte dal cd con la reincisione di Williams
Stromberg per Naxos - renderebbe difficile indicare le rispettive paternità
dei brani.
Lo zoo di Talos (rejected score fuori dalloblio)
Non
è proprio un rejected in senso tipico: le considerevoli porzioni
della magistrale partitura concepita da Jerry Goldsmith per Alien
che non convinsero Ridley Scott, notoriamente poco sintonizzato con
il compositore, furono riviste (in alcuni casi completamente riscritte
o rimpiazzate dal suo commento per Freud) dallo stesso
autore. Né si può parlare di una pubblicazione inedita,
perché sin dai tempi della prima edizione dvd il travagliato
lavoro di Goldsmith figurava, su traccia isolata, sia nella forma finale
che in quella originariamente pensata dal compositore - da cui una serie
di riversamenti discografici al di fuori dellufficialità.
Ciononostante ledizione a due dischi licenziata da Intrada - a
stretto giro dalla già apprezzatissima edizione estesa de Il
vento e il leone - deve essere salutata come un evento davvero straordinario.
Forse lopera del catalogo goldsmithiano maggiormente necessitante
di una riedizione (lalbum edito dalla Silva Screen apparve subito
insufficiente), la partitura del primo lungometraggio ad impostare le
disavventure cosmiche di Ripley / Sigourney Weaver è lepitome
della musicalità fanta-orrorifica adulta. Che nel 1979 Goldsmith
coniò ad usufrutto dellintero genere venturo (declinandone,
nello stesso anno, una variante lussureggiante ed eroica, ma non meno
interessante, per Star Trek - The Motion Picture).
I vocabolari di Ives, della scuola di Vienna e di Bartók al servizio
del genio goldsmithiano più lucido echeggiano il suono della
musica nello spazio profondo, nei meandri sospesi dellastronave
Nostromo, negli recessi siderali dellumana e gelida paura. La
scrittura orchestrale distillata avanguardisticamente risuona oggi più
moderna di ogni approccio allhorror sintetizzato elettronicamente.
La sublime retorica narrativa del commento offre ancora momenti di genuino
terrore. Da tempo dovrebbe figurare tra i fondamentali della musica
applicata tanto quanto della classica del novecento, e anche per questo
ci si rallegra che lIntrada non abbia limitato ledizione
ad una ristretto numero di copie da collezione.
25 fotogrammi
Si
diceva a proposito del lavoro di Isham per Nella
valle di Elah della fattiva difficoltà di ascolto lontano
dalle immagini dappartenenza, come per buona parte delle musicazioni
televisive contemporanee. Eccone un esempio quantomai calzante. 63 minuti
del soundtrack di Prison Break composto dal sempre
più impegnato Ramin Djawadi guadagnano la pubblicazione su Varèse.
Ma il prodigarsi plaudibile delletichetta di Robert Townson per
portare allattenzione lo scoring catodico odierno non sempre corrisponde
ad una vera ragion dessere di simili antologie. Già dopo
una manciata di tracce delle 31 selezionate per loccasione, ci
si ritrova in balia del deja entendu, con loop ritmici che ricordano
lappartenenza del musicista tedesco alla fucina zimmeriana, sbozzi
melodici fragilissimi e un senso di inconsistenza sovente insostenibile.
Il problema, paradossalmente, sta nella validità della prova
nel suo contesto originale, derivante dalla massima organicità
con il corpus sonoro e con le dinamiche discorsive del testo televisivo.
Non tutto lo scoring seriale postmoderno, al di là della qualità
intrinseca (in questo caso non proprio entusiasmante) può vivere
di vita propria.
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