il Signore degli anelli

La musica delle anomalie
di Giuliano Tomassacci

 
  Colonna sonora originale di
Lord of the rings Trilogy, USA, 2002-2003
un film di Peter Jackson, musica di Howard Shore

E’ ormai un fatto innegabile, oltremodo accreditato dallo strabordante elogio tributatogli dall’Academy, che l’opera di Peter Jackson votata al capolavoro fantasy tolkieniano abbia a suo modo meritato una posizione di spicco nell’incedere storico-cinematografico contemporaneo, e la sua natura fortemente innovativa – evidente sul versante tecnico ed estetico quanto, e soprattutto, nel ridimensionamento concettuale e produttivo legato all’idea di serialità ed unicità dell’opera – risulta determinante nel favorirlo quale migliore apripista di un nascente millennio cinematografico tecnologicamente scalpitante. Forse più per le sue stimolanti anomalie che per i suoi interessanti meriti. L’effettivo sviluppo di un personaggio interamente ricostruito in digitale, la singolare pianificazione delle riprese e il consecutivo sforzo profuso nell’esecuzione, senza tralasciare la singolare logistica di distribuzione mediatica (l’home video diventa parte integrante della completa fruizione attraverso le expanded version) sono irregolarità tutt’altro che marginali ai fini del successo commerciale – particolarità fascinose fondamentalmente caratterizzanti le strategie di un sorprendente fenomeno.
Anche il retroscena musicale del film e la sua pregevole, importantissima resa finale restituiscono la fisionomia di un approccio al film-scoring a dir poco anomalo e, proprio in funzione di questo, meritevole di un valore aggiunto e di un posto di rilievo nella giovane storia cine-musicale. Una colonna sonora, quella per la trilogia dell’Anello, che si espone in quanto a singolarità già dal nome del suo compositore Howard Shore, complice di aver alimentato non poche perplessità da parte della stampa di settore nel momento in cui Peter Jackson, reduce insieme agli sceneggiatori da un intenso lavoro di temp-tracking sul fresco premontato, lo sceglieva per donare il migliore afflato musicale alla saga. E infatti Shore, musicista di provata raffinatezza, responsabile musicale delle introspezioni cronenberghiane e delle allucinazioni urbane di David Fincher, era l’uomo responsabile di aver reinventato, con Il Silenzio degli Innocenti, il commento sonoro del thriller psicologico. Ma certo non si era mai confrontato con l’epica del fantasy e l’estetica del blockbuster movie, anche perché dotato di un’impronta compositiva tanto particolare quanto difficilmente accostabile – frutto mirabile di austerità melodica e complessità strutturale. Eppure, già dal primo trailer de La Compagnia dell’Anello presentato in anteprima al festival di Cannes, la scelta del regista risultava più che ragionevole e oggi, con il compimento della sua monumentale visione e l’ascolto complessivo dei tre score, risulterebbe difficile non considerare l’intuizione del regista assolutamente vincente. E senza dubbio la migliore.
Per quanto non totalmente impreparato all’ambito storico (Riccardo III, Un Uomo un Re, 1996, di A. Pacino) e avvezzo alla composizione magniloquente (Dogma, 1999, di K. Smith), la fondamentale verginità rispetto al materiale narrativo è servita da ulteriore sprono al compositore nel concepimento del suo capolavoro, la cui stesura è iniziata solo dopo quattro mesi di ricerche e approfondite analisi del testo tolkeniano, nell’intenzione di restituire alle immagini la più aderente traduzione musicale della letteratura d’origine. Principale conseguenza di un tale approccio, la scelta di limitare l’esecuzione delle partiture a un organico esclusivamente orchestrale (di nuovo un’anomalia, vista la crescente inclinazione all’uso dell’elettronica delle nuove leve hollywoodiane), affidandosi alle esclusive interpretazioni della New Zeland Symphony Orchestra (solo per il primo episodio) e della London Philharmonic. Relegando lo svolgimento del commento a un tematismo tutt’altro che scontato e meccanicistico, Shore ha oltremodo dotato le esecuzioni di un valore aggiunto grazie al suo personalissimo tratto melodico e al trattamento strumentale. Il primo, con la regalità dei materiali tematici, docile ai più eleganti richiami wagneriani di altisonanza e continua tensione verso aperture di saturazione sinfonica ma anche parallelamente sensibile alle definizioni emotive più intense e sommesse, si somma al fotografico, permeando di leggendaria baldanza i guerrieri di Rohan (The Riders of Rohan, The King of the Golden Hall) e accrescendo l’epica crociata della Compagnia (The Ring Goes South, The Uruk-hai) con un tema che per capacità d’evocazione e linearità di scrittura ha in breve concentrato su di sè l’onere di motivo portante dei tre soundtrack (anche se i numerosi materiali tematici di Shore risultano dotati di un’autonomia narrativa talmente soddisfacente da rendere assolutamente arbitrario e schematico un tale riconoscimento), senza ignorare gli elementi più drammaticamente cupi delle pellicole, spesso risolti da una calligrafia scurissima in ampi periodi di tonalità minore eccezionali, per esempio, nella resa della insinuante tentazione sprigionata dall’anello (The Prophecy, Foundations Of Stone) o nei frangenti maggiormente pessimistici dell’avventura degli hobbit (The Shadow Of The Past, The Forbidden Pool, Shelob’s Liar, Hope Fails). Il secondo, contraddistinto da un’attenzione per l’orchestrazione fuori della norma, in grado di lavorare atipicamente sulle timbriche degli ottoni e degli archi, evita magistralmente l’appesantimento con ingombranti pastiche strumentali tipicamente associati ai momenti ritmici più incalzanti, che invece risplendono, in brani quali A Knife In The Dark, The Bridge Of Khazad Dum, Helm’s Deep e Minas Tirith, di un’essenzialità penetrante, oltremodo beneficiati dal fondamentale utilizzo della compagine corale, a seconda delle esigenze recitative, vocalizzante, eteree (Evenstar), spinto fino a fiancheggiamenti ligetiani (Flight To The Ford). Considerando l’interazione dei due reparti (orchestra e coro) impegnati nella narrazione musicale, sarebbe impossibile evitare il riferimento al modulo lirico, al quale, dopotutto, è lo stesso Shore ad avere paragonato più volte la natura del lavoro.
Altro merito del compositore è stato poi quello di lavorare con estrema dovizia alla traduzione sonora dei linguaggi tolkeniani, intarsiando le tre partiture con strofe rispettosamente intonate nelle lingue delle varie razze protagoniste, dall’inglese arcaico per gli uomini fino al doppio dialetto elfico. Questa scrupolosità nel ritrarre la multirazzialità della Terra di Mezzo, ha contagiato anche il trattamento orchestrale dell’opera. In questo senso Shore ha optato per l’impiego di strumenti caratteristici e poco ortodossi: efficaci sono a tal proposito il rhaita (per il tema di Mordor), le tablas (per gli uomini albero) e il dilruba indiano (per i cavalieri di Rohan). Solisti d’eccezione come Elizabeth Fraser, Ben Del Maestro, Emiliana Torrini, James Galway, Renée Fleming e Enya hanno inoltre contribuito alla risonanza internazionale del progetto e alla necessaria dose di commerciabilità del prodotto discografico, lavorando però a stretto contatto e in unità d’intenti con il compositore canadese, allontanandosi in tal modo dall’esasperante routine di title track posticce affibbiate a score separatamente completati.
Infine, nell’individuazione delle anomalie caratterizzanti il lavoro di Shore, è d’obbligo il riferimento alla ripercussione operata dalle tre colonne sonore nell’ambito della comunità cinematografica: se è vero infatti che la premiazione delle musiche originali di un sequel rappresenti rarità assoluta, è ancora più stupefacente come il regolamento dell’Academy, da sempre discriminante nei confronti di materiali musicali mutuati da film precedenti, sia stato rivisto proprio a causa dei sentiti dissensi derivati dalla negazione della nomination alla partitura del secondo episodio. Il doppio Oscar di Howard Shore (per il primo e terzo capitolo), alla luce di tali considerazioni, assume i connotati di una svolta cine-musicale da tempo agognata, ispiratrice, si spera, di un accostamento sempre più interessato e nobilmente motivato ai territori della musica da film.

Discografia relativa
The Lord of the Rings: The Fellowship of the Ring, Original Motion Picture Soundtrack – Reprise Records 9362-48110-2
The Lord of the Rings: The Two Towers, Original Motion Picture Sountrack – Reprise Records 9362-48379-2
The Lord of the Rings: The Return of the King, Original Motion Picture Soundtrack – Reprise Records 9362-48521-2