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Curiosa la costruzione, prima di
tutto narrativa, che anima questo nuovo lavoro di Robert Redford, e
che esplica in pieno la doppia anima del cineasta. Quella che sembra
prevalere quasi a scapito dellaltra è la versione politica
del grande liberal, che con estrema coerenza tiene ben presente
la visione di cinema che a partire dagli anni 70 lo ha reso unicona
inarrivabile di impegno prima civile e conseguentemente politico (è
probabile che Richard Nixon non fosse poi tanto meglio di George W.
Bush, no?). La voglia di indagare e spiegare al pubblico le ragioni
che spingono - o meglio, dovrebbero spingere - il cittadino a ribellarsi
alla strategia colonialista degli Stati Uniti ed alla loro insensata
strategia di guerra in Medio Oriente hanno di certo a meglio sulle esigenze
puramente cinematografiche della pellicola, che comunque esistono e
sono ben presenti, altrimenti difficilmente vedremmo star del calibro
di Cruise e della Streep dentro un tale prodotto. Ed anche Redford,
che è sempre e comunque uno che il cinema lo conosce, ha costruito
questa storia come un thriller psicologico di finezza forse non troppo
cesellata, ma di sicuro impatto.
Il messaggio è semplice e viene ribadito con una didascalia che
ricalca quella dei tempi andati: la democrazia americana è in
pericolo non fuori dai confini, ma dentro di essi, perché la
vera battaglia deve essere combattuta per la libertà prima di
tutto di pensiero, e quindi anche di informazione. Le tre storie che
vengono narrate in maniera tanto teatrale, accentuando in maniera ostentata
ma funzionale lunità di luogo e tempo, in molti momenti
superano la linea sempre pericolosa del didascalismo, ma la sincerità
e la potenza espressiva della messa in scena di Redford ovviano a questo
inconveniente intrinseco. Il resto lo fanno il carisma degli interpreti,
su cui svettano proprio il duetto Streep/Cruise che danno vita ad un
duello dialettico di rara finezza recitativa.
La critica più severa che è stata mossa a Leoni
per agnelli, e forse non a torto, è stata quella di
essere unoperazione troppo smaccatamente programmatica, talmente
esplicita da non convincere fino in fondo. Un film quindi didascalico.
Noi ribaltiamo il dubbio: non è forse il pubblico contemporaneo,
e con esso anche la critica, a non essere più abituato alla lettura
di un messaggio forte e deciso come questo? Forse Redford
è rimasto incollato ad un periodo di cinema ormai passato, ma
rimane comunque il fatto che lo slancio democratico e fortemente analitico
nei confronti della politica e della società degli anni 70
nel cinema hollywoodiano di oggi è andato quasi totalmente perduto.
Voler continuare a mostrare con chiarezza e coerenza cosa non va è
un qualcosa che va sempre e comunque preservato, e che noi continueremo
a guardare con ammirazione.
Leoni per agnelli offre un dibattito molto robusto
sulle guerre che osserviamo ogni giorno e quelle che in un domani possiamo
incontrare. Leggendo tra le righe, è una vera e propria denuncia
verso il compiacimento dei media nella gestione del caso Iraq e verso
la gioventù contemporanea vista nella sua apatia in ciò
che li circonda.
La trama è abbastanza semplice. Un senatore, Jasper Irving (Tom
Cruise), annuncia una nuova strategia di guerra per lAfghanistan
ad una veterana reporter, Janine Roth (Meryl Streep). Due soldati (Michael
Peña e Derek Luke) perfezionano quegli ordini nuovi in un assalto
aerotrasportato. Ed un professore di Scienze Politiche della West Coast
University, il dott. Stephen Malley (Robert Redford), tenta di motivare
un giovane studente (Andrew Garfield) a prendere parte in classe al
dibattito. Due terzi del film, possiamo dire che è un discorso
puro: il professore Stephen Malley non ama allontanarsi dalla cattedra;
il reporter ed il Senatore hanno un'intervista secondo il cliché
previsto per loccasione; anche i soldati sono uniti da uno spazio
molto ristretto. Invece di un film potrebbe dare lidea di essere
studiato e realizzato come un dramma scenico.
Il giovane sceneggiatore Matthew Michael Carnahan parlando della sua
ispirazione a realizzare il copione ha detto: l'inspirazione
per Leoni per Agnelli cominciò originalmente con un colpo secco
dellinconscio mentre usavo il mio telecomando. Mentre guardando
comodo la mia tv via cavo cambiai canale da una storia straziante sull'Iraq
per cercare sport e poi mi chiesi il perché. Gli Stati
Uniti si stanno seriamente interrogando, soprattutto dal basso, sul
senso e le strategie usate nel giustificare le guerre che si sono scatenate
in questi ultimi anni, questa pellicola ne è un esempio.
Qual è il merito di questo film? Diciamo che il cinema liberale
tende a far seguire il principio di Mary Poppins: Basta un
podi zucchero è la pillola va giù. Qui
invece notiamo che cè solo la medicina, amara, che non
tenta di nascondere il fatto. Leoni per agnelli sono
degli squarci di società, ma che viene presentata come qualche
cosa al di fuori del bagliore del crepuscolo grigio delletà
delloro che vive la televisione. La sceneggiatura di Carnahan
infiamma problemi familiari con vigore e impeto; c'è audacia
nel suo tentativo di afferrare lo spettatore con una guerra di retorica.
Forse Leoni per agnelli non sembrerebbe come tale follia
in una cultura di film che ha rischiato realizzazioni più folli
della sua.
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