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Leoni per agnelli
Lions for Lambs, Usa, 2007
di Robert Redford, con Robert Redford, Tom Cruise, Meryl Streep

La battaglia per la democrazia
recensione di Adriano Ercolani e Vittorio Castagna



Curiosa la costruzione, prima di tutto narrativa, che anima questo nuovo lavoro di Robert Redford, e che esplica in pieno la doppia anima del cineasta. Quella che sembra prevalere quasi a scapito dell’altra è la versione politica del grande “liberal”, che con estrema coerenza tiene ben presente la visione di cinema che a partire dagli anni ’70 lo ha reso un’icona inarrivabile di impegno prima civile e conseguentemente politico (è probabile che Richard Nixon non fosse poi tanto meglio di George W. Bush, no?). La voglia di indagare e spiegare al pubblico le ragioni che spingono - o meglio, dovrebbero spingere - il cittadino a ribellarsi alla strategia colonialista degli Stati Uniti ed alla loro insensata strategia di guerra in Medio Oriente hanno di certo a meglio sulle esigenze puramente cinematografiche della pellicola, che comunque esistono e sono ben presenti, altrimenti difficilmente vedremmo star del calibro di Cruise e della Streep dentro un tale prodotto. Ed anche Redford, che è sempre e comunque uno che il cinema lo conosce, ha costruito questa storia come un thriller psicologico di finezza forse non troppo cesellata, ma di sicuro impatto.
Il messaggio è semplice e viene ribadito con una didascalia che ricalca quella dei tempi andati: la democrazia americana è in pericolo non fuori dai confini, ma dentro di essi, perché la vera battaglia deve essere combattuta per la libertà prima di tutto di pensiero, e quindi anche di informazione. Le tre storie che vengono narrate in maniera tanto teatrale, accentuando in maniera ostentata ma funzionale l’unità di luogo e tempo, in molti momenti superano la linea sempre pericolosa del didascalismo, ma la sincerità e la potenza espressiva della messa in scena di Redford ovviano a questo inconveniente intrinseco. Il resto lo fanno il carisma degli interpreti, su cui svettano proprio il duetto Streep/Cruise che danno vita ad un duello dialettico di rara finezza recitativa.
La critica più severa che è stata mossa a Leoni per agnelli, e forse non a torto, è stata quella di essere un’operazione troppo smaccatamente programmatica, talmente esplicita da non convincere fino in fondo. Un film quindi didascalico. Noi ribaltiamo il dubbio: non è forse il pubblico contemporaneo, e con esso anche la critica, a non essere più abituato alla lettura di un messaggio “forte” e deciso come questo? Forse Redford è rimasto incollato ad un periodo di cinema ormai passato, ma rimane comunque il fatto che lo slancio democratico e fortemente analitico nei confronti della politica e della società degli anni ’70 nel cinema hollywoodiano di oggi è andato quasi totalmente perduto. Voler continuare a mostrare con chiarezza e coerenza cosa non va è un qualcosa che va sempre e comunque preservato, e che noi continueremo a guardare con ammirazione.

Leoni per agnelli offre un dibattito molto robusto sulle guerre che osserviamo ogni giorno e quelle che in un domani possiamo incontrare. Leggendo tra le righe, è una vera e propria denuncia verso il compiacimento dei media nella gestione del caso Iraq e verso la gioventù contemporanea vista nella sua apatia in ciò che li circonda.
La trama è abbastanza semplice. Un senatore, Jasper Irving (Tom Cruise), annuncia una nuova strategia di guerra per l’Afghanistan ad una veterana reporter, Janine Roth (Meryl Streep). Due soldati (Michael Peña e Derek Luke) perfezionano quegli ordini nuovi in un assalto aerotrasportato. Ed un professore di Scienze Politiche della West Coast University, il dott. Stephen Malley (Robert Redford), tenta di motivare un giovane studente (Andrew Garfield) a prendere parte in classe al dibattito. Due terzi del film, possiamo dire che è un discorso puro: il professore Stephen Malley non ama allontanarsi dalla cattedra; il reporter ed il Senatore hanno un'intervista secondo il cliché previsto per l’occasione; anche i soldati sono uniti da uno spazio molto ristretto. Invece di un film potrebbe dare l’idea di essere studiato e realizzato come un dramma scenico.
Il giovane sceneggiatore Matthew Michael Carnahan parlando della sua ispirazione a realizzare il copione ha detto: “l'inspirazione per Leoni per Agnelli cominciò originalmente con un colpo secco dell’inconscio mentre usavo il mio telecomando. Mentre guardando comodo la mia tv via cavo cambiai canale da una storia straziante sull'Iraq per cercare sport e poi mi chiesi il perché”. Gli Stati Uniti si stanno seriamente interrogando, soprattutto dal basso, sul senso e le strategie usate nel giustificare le guerre che si sono scatenate in questi ultimi anni, questa pellicola ne è un esempio.
Qual è il merito di questo film? Diciamo che il cinema “liberale” tende a far seguire il principio di Mary Poppins: “Basta un po’di zucchero è la pillola va giù”. Qui invece notiamo che c’è solo la medicina, amara, che non tenta di nascondere il fatto. Leoni per agnelli sono degli squarci di società, ma che viene presentata come qualche cosa al di fuori del bagliore del crepuscolo grigio dell’età dell’oro che vive la televisione. La sceneggiatura di Carnahan infiamma problemi familiari con vigore e impeto; c'è audacia nel suo tentativo di afferrare lo spettatore con una guerra di retorica. Forse Leoni per agnelli non sembrerebbe come tale follia in una cultura di film che ha rischiato realizzazioni più folli della sua.