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Highscores E venne il giorno James Newton Howard (Varèse Sarabande/Audioglobe) Repetita iuvant. Lo sanno bene M. Night Shyamalan e James Newton Howard, che dal 1999, con il Sesto senso, sono tornati negli anni ad una mirabile collaborazione artistica, replicando di volta in volta un inusuale e distintivo approccio al racconto per immagini: sincresi larga, massimo rispetto per lintegrazione del segno musicale alla traguardazione significante del testo filmico, rinnovata dignità alle retoriche dello scoring descrittivo. Raggiungendo solitamente livelli prossimi, se non allineati, alleccellenza. E lo sa bene soprattutto Howard, come dimostra in questo commento per linfelice the Happening, reiterando unattenzione compositiva e una padronanza sintattica ancora sublimi, anziché cedere alle debolezze di una sceneggiatura maldestra - pur evitando protagonistiche sproporzioni narrative. Lavora nuovamente sullespressività strumentale il compositore che dal connubio con il regista indiano ha ricavato buona parte dei suoi migliori lavori nellindustria, indirizzando stavolta il suo lirismo al violoncello della solista Maya Beiser. Lo score prende le mosse da unimpalcatura misteriosa di stampo "Ai confini della realtà", su cui trovano poi spazio gli stilemi significativi della partnership: impianti coloristici, dilatazioni orchestrali, un pathos melodico in continuità con il precedente Lady in the water e soprattutto una propensione alla circolarità sempre evidente nelle parti pianistiche. Elegante, preciso e mai pressappochista nella scrittura, Howard persegue più che mai la lezione williamsiana di bellezza espositiva, ma non è completamente immune alle falle risolutive del film. La partitura sovente finisce svilita anche nelle composizioni di maggior rilievo drammatico (Be With You) a cui lalbum Varèse restituisce giusta rilevanza. Ribadendo peraltro limportanza della collaborazione nellattuale firmamento delle coppie regista / compositore, nonostante levidente incompletezza di questultimo cimento. Massacro al grande Canyon Gianni Ferrio (GDM) Molto più che a numerosi degli instancabili musicatori del western allitaliana adoperatisi, nelle stagioni doro del genere, in un fittissimo lavoro di personalizzazione del filone - dagli epigoni morriconiani più devoti agli occasionali emuli di un linguaggio decisamente archetipico - è al lavoro di Gianni Ferrio che spetta unattenzione troppe volte venuta meno, anche a causa di unesposizione minore rispetto a molti colleghi del sound spaghetti. Non fossaltro perché, in primo luogo, è proprio dalle convenzioni stringenti di questo sound autoctono che il compositore ha saputo affrancarsi con elasticità. Ferrio agisce in consonanza con le aspettative fruitive ma lascia aperti vividi squarci al vocabolario musicale originario, poi stilizzato e finanche rovesciato dalla scuola italiana: il classicismo americano di frontiera. Il commento di Massacro al grande Canyon (1964), recuperato dalla GDM e integrato di 12 tracce inedite rispetto alle altrettante presenti nelloriginario vinile CAM, vale per molti. Lapertura di Cow Boy è esemplare: una tradizionale cavatina per chitarra (che potrebbe appartenere tanto a Steiner quanto a Tiomkin) anticipa uno svolgimento per archi dalla melodia già di per sé inedita rispetto al virilismo degli spartiti originati nel medesimo contesto. Linnesto scalpitante del galop per la ballata intonata da Road Dana sanziona poi la definitiva derivazione hollywoodiana - in seguito ribadita in Wess e Giustizia è fatta. Ed evidenti sono da subito anche la portata dellorchestrazione, limbastitura tematica e la puntualità descrittiva (preferita alla composizione a metraggio tanto frequente allepoca), che avrebbero trovato massima statura nellimprescindibile Tex e il signore degli abissi. On Screen Del Toro abbandona Beltrami e sceglie per Hellboy II (Varèse Sarabande/Audioglobe) lhabitué del genere Danny Elfman, invero invocato sporadicamente anche nel primo spartito. Loutsider dello scoring moderno (in piena omologazione allo standard postmoderno con the Kingdom e Wanted), dal canto suo, non sembra fare altro: ricicla se stesso, concedendosi in uno sterile rispolvero della sua cifra barocca e carnevalesca. Plasma ambientazioni a là Cabal e reitera scenari armonici degni del miglior operato burtoniano, senza lesinare in quanto a melodismo elfmaniano. Ma lautoemulazione, soprattutto se abbandonata al puro mestiere, paga poco sulle immagini e molto meno allascolto disgiunto: cè la forma ma non il contenuto. E soprattutto lanima sagace di una personalità attualmente in vacanza dal vigore narrativo di un tempo. Tipica duttilità firmata John Powell. Per un film incostante, volubile e in bilico tra vecchio e nuovo come Hancock (Varèse), il compositore di The Italian Job conferma la sua capacità di armonizzare tradizione e innovazione cinemusicale, smalto sinfonico e idioma contemporaneo. Leroe suo malgrado Will Smith imperversa su tappeti dorgano jazz fusion, riff blues e ritmici schioccar di dita. Quando spicca il volo lorchestra lo asseconda in perfetta modalità da supereroe, come insegna la scuola anni 80 (che Powell ha già avuto modo di sviscerare in X-Men 3 - Conflitto finale), ma senza venir meno ai tratti connotativi di uno degli autori più influenti del nuovo millennio: archi funambolici e assalti percussivi variegati. Plauso, ancora una volta, alla capacità di svecchiare nel massimo rispetto del passato. Di fronte ad una replica quasi perfetta del primo commento proposto per Batman begins, in evidente rottura con lo standard dello scoring fumettistico (ad iniziare dalla voluta mancanza di un tema eroico a tutto tondo), il ritorno della coppia Hans Zimmer-James Newton Howard in il Cavaliere oscuro (the Dark knight, Warner) calamita tutta lattenzione sullinterazione / conflitto della musica con la colonna rumori. Con il suo andamento ondivago e fluttuante, reiterativo ed ossessivo, crescente e catartico, il lavoro del duo è una forma donda continua che sovente raggiunge i limiti di saturazione dellimpianto sonoro, sviluppando un addensamento sonico con picchi prossimi al muro del suono in quel tema punk (così lo ha definito lo stesso Zimmer) profuso per il Joker (Why So Serious?), dove il già labile ed ambiguo confine tra i due livelli auditivi sinfrange in una zona di indeterminatezza semantica. Senzaltro, uno score inscindibile dal film. Off Screen La Beat Records inaugura una nuova collana (Limited Edition Series) con un connubio senzaltro inedito e accattivante: Gianfranco Plenizio ed Enrico Pieranunzi, che nel 1976 per Liberi, armati, pericolosi di Romolo Guerrieri unirono gli sforzi in un commento a quattro mani in piena osservanza degli italici canoni polizieschi. Le scorribande criminose di un terzetto di giovani rapinatori si contornano di una giusta controparte musicale fusion, dove gli interventi solistici del pianista jazz si integrano con eleganza al mestiere compostivo del famoso direttore dorchestra cinematografico. Ottoni melodici, armoniche a bocca, chitarre acustiche e flauti dalle digressioni soul-funk, che interrompono saltuariamente latmosfera generalmente solare dello score ritmico, ribadiscono linfluenza di Schifrin sul filone - anche oltreoceano. Lenhanced cd confezionato in digipack include, oltre ad un booklet formato poster, unintervista video a Plenizio realizzata da Daniele De Gemini, notevole per la lucidità di sguardo del musicista sul settore e la chiarezza espositiva (extra non comune cui si rimprovera esclusivamente lestrema compressione video). La seconda emissione della Beat per la nuova collana presenta unulteriore esempio di scoring urbano anni 70, stavolta vergato da Carlo Rustichelli per Milano rovente di Umberto Lenzi (1973). Ma se liniziale From Sicily to Milan apre efficacemente alle suggestioni del polar francese (nel cast unallora gettonatissimo Philippe Leroy) piuttosto che alle ritmiche jazz americane del precedente connubio, la successiva Dramatic Discover segna anche la connotazione maggiormente discorsiva della partitura. Connotazione utile al Maestro carpigiano per una ripresa dellamato colore locale, attraverso un canto siculo già adottato ventanni prima per Il cammino della speranza di Germi. Il filmato extra è stavolta un altrettanto interessante intervista a Lenzi. Prima edizione digitale (Cinevox) della colonna per il premiatissimo Mimì metallurgico ferito nellonore, che nel 1972 unì sullo schermo Giancarlo Giannini e Mariangela Melato e dietro la macchina da presa Lina Wertmuller e Piero Piccioni. Tutti destinati, due anni dopo, al felice esito collaborativo di Travolti da un insolito destino nellazzurro mare dagosto. Piccioni è lontano dallavanguradia jazzistica della sua prima era cinematografica (e dal languido abbandono swinging elargito per Sordi) ma il suo sarcasmo popolare non manca di efficacia. Tra sipari di colore siciliano, caricature esotiche e ampio respiro pianistico (la bella Mimì, il lavoro, la fabbrica), lo score, come ricorda Claudio Fuiano nelle note di copertina, non sopravvisse integro al montaggio finale e venne spodestato in più parti dal repertorio classico e canzonistico. Alla selezione dellLp originale si aggiungono 11 brani inediti in stereofonia. Robusta e non priva di momenti rilevanti, la relazione artistica tra Ennio Morricone e Giuliano Montaldo torna allattenzione con questa ristampa Cinevox de il Giocattolo (1979). Difficilmente incorniciabile tra le migliori prove del musicista, la partitura offre comunque degne rappresentazioni dellinteresse timbrico morriconiano (Il giocattolo) e un ennesimo saggio della predilezione per i ritmici passaggi del pianoforte in staccato. In Miraggio e agguato si esprime ad esempio un topos stilistico che sarà consacrato alla memoria collettiva grazie allinclusione tematica in gli Intoccabili di De Palma. Destinata a molte delle esperienze americane anche la fisiologica elaborazione modulare e poliritmica di Telefonata minacciosa. Cinque le tracce integrate al materiale già edito su etichetta Ciak CD, queste ultime ulteriormente restaurate nel remastering. |