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Highscores
The Bourne Ultimatum
John Powell, Decca Records
È la tenuta del carattere compositivo di John Powell a fare la
differenza in un mare di colleghi contemporanei dallemulazione
facile e dal tratto opaco: il musicista inglese continua a sfoggiare
una forma che da sola reclama la paternità di buona parte del
manifesto di scoring post-moderno maggiormente opzionato dal mainstream,
con unidea di ritmo che ha avuto unascendente su almeno
metà dei compagni zimmeriani di scuola Media Ventures/Remote
Control (e non solo). Ma la scrittura si dimensiona anche in profondità
e struttura, su percorsi tematici e melodici che non sanno mai di posticcio
e sommario. Powell pare insomma lalfiere di una modernità
dapproccio storicamente coscienziosa, in grado di accogliere la
responsabilità narrativa della tradizione cine-musicale allinterno
del linguaggio attuale, programmando scenari che si muovono tra techno,
club e concretismo su unimpalcatura significativamente funzionale
al racconto per immagini. Si prenda lesperienza nelladattamento
cinematografico delle avventure di Jason Bourne, la saga che senzaltro
ha imposto ufficialmente la personalità del compositore e che
trova in questo Ultimatum una risoluzione esemplare. Il carattere cool
del miglior Roy Budd e leleganza del John Barry spionistico anni
60 convivono in una partitura che li aggiorna allidioma
post-moderno senza tradirne lefficacia narrativa. Powell ancora
una volta mette mano ad un sincretismo tra elettronica e acustica che
innerva magnificamente le occorrenze action e le aperture intimiste,
queste ultime preponderanti nel terzo episodio e risultanti in due rimarchevoli
composizioni per archi: Thinking of Marie e Faces
Without Names. Nonostante la partitura si applichi stavolta alle
immagini con maggiore invadenza sonora, resta efficace la ricercatezza
di unorganicità tra colonna rumori e commento originale:
il tema del protagonista eseguito dal fagotto è ancora lo stendardo
di una simile economia, affidato al legno già dal primo episodio
per farsi strada tra le soniche dirompenti del missaggio ad alto impatto,
come espressamente dichiarato dal musicista. Fanno la loro parte anche
le ritmiche selvagge articolate nelle taglienti scritture per violini
e le immancabili, scroscianti parti per percussioni esotiche assurte
ormai a inconfondibile marca stilistica dellautore e del franchise.
Una miscela ad alto voltaggio che questo disco, pur rimanendo un passo
indietro rispetto a The Bourne Supremacy, porta al
compimento sperato.
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto
Ennio Morricone, Cinevox
Nellanno del 25esimo anniversario della morte di Elio Petri arriva
una nuova edizione del consacratissimo score di Ennio Morricone per
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Se è vero,
come spesso notato, che il regista romano stimolò Morricone nella
stesura di alcune delle sue partiture più definite sotto il profilo
sperimentale e avanguardistico (la concretezza de La classe
operaia va in paradiso e lidentificazione cromatica in Un tranquillo
posto di campagna, più volte citato dal musicista tra i suoi
lavori preferiti) lapparente normalità compositiva non
allontana il lavoro del 1970 da un simile frangente. Lanomalia
è spostata stavolta sul piano contenutistico e si manifesta nellinsistenza
di un tema portante esacerbato dalla reiterazione variata, praticamente
incessante. Morricone, in uno degli assolutismi bitematici più
funzionali, sdoganava una delle immortali forme musicali del proprio
tratto: un incrocio tra tango e marcia sardonica il cui genuino mordente
descrittivo è cristallizzato in una ritmica obliqua, che infine
evidenzia il basilare modulo di due note ripetute come vera cellula
motivica dellimpalcatura musicale (anche nel secondo tema, il
sensuale Miraggio). Lidea è sintonizza alla
tensione masochista dellispettore di polizia interpretato da Volontè,
figurazione musicale di una cieca ossessione e di una lucida determinazione.
Unostinazione rievocata anche nellascolto di questa riedizione
digipack della Cinevox, grazie allaggiunta di materiale inedito
monoaurale (alterantives e tracce inutilizzate) e di sette registrazioni
stereo, anchesse finora mai pubblicate.
On Screen
Per il trittico di Die
Hard John McTiernan e Renny Harlin ottennero da Michael Kamen
tre score perfetti; una vetrina impeccabile della grande competenza
action del compositore di Brazil, già ampiamente
esplicitata ai tempi di Arma letale. Il quarto capitolo,
scomparso Kamen nel 2003, abbisognava di un talento altrettanto scaltro
e capace in quanto a musicalità testosteronica, e sulla carta
Marco Beltrami sembrava scelta condivisibile. Ai fatti però il
compositore italoamericano ne esce alquanto incolore, con una prova
(Varèse Sarabande / Audioglobe) che rasola il manierismo vertendo
quasi esclusivamente sulla routine della sua comprovata spigliatezza
orchestrale (mentre nelle sale si ascolta il ben più interessante
contributo a Quel treno per Yuma di Mangold). Non è da escludere che le difficoltà
incontrate dallo stesso Kamen per il terzo Duri a morire, generate dalle
limitazioni espressive di un film fin troppo costringente, abbiano attanagliato
anche Beltrami in Die Hard
- Vivere o morire, presumibilmente accresciute da un sequel ancor
più serrato. Congetture che comunque si esauriscono di fronte
alla stanca prova con cui Beltrami esce sconfitto dal paragone.
Qualche
nota dentro il soundtrack di The Kingdom
(Varèse) e ci si chiede: questo è Danny Elfman? Lontanissimo
dallimmaginifico barocchismo della sua esclusiva vena, il compositore
caro a Tim Burton svicola dal pathos di Batman, Edward
mani di forbice e la
Fabbrica di cioccolato per spingersi agli estremi del moderno sound
ad alto impatto. Basso e chitarra elettrica abrasivi, synth-loop imperversanti,
impalcature percussionistiche di stampo zimmeriano stile Black
Hawk Down. Saltuariamente spuntano riflessi da Hulk
e Men in Black, ma il cambio di registro è inaspettatamente
radicale e lesito fondamentalmente anonimo. Elfman esprimeva da
tempo la volontà di affrancarsi dai generi in cui era stato lungamente
confinato, e forse quel grazie per aver avuto fede rivolto
al regista Peter Berg nelle note di copertina del cd certifica la riconoscenza
per una possibilità a lungo agognata.
A descrivere lambizioso commento di John Ottman per the
Invasion (Varèse) come una fusione degli score di The
Bourne Ultimatum e The Kingdom
non si sbaglierebbe più di tanto. La commistione formale approntata
dal compositore di Superman Returns è in effetti
al crocevia dellelettronica radicale e dellessenzialità
orchestrale. Lapprossimazione della definizione fallirebbe forse
nel suggerire lidea di unibridazione marcata, invero rintracciabile
solo nella notevole Life Goes On / Dance Of The Cells (architettonicamente
affine allElfman più genuino, in particolare quello di
Mars Attacks!), apripista di un disco difficile e a
tratti affascinante nonostante lincompiutezza generale. Da apprezzare
soprattutto per il coraggio di tornare a rischiare in un genere che
dopo aver funzionato da laboratorio sperimentale fino a qualche decennio
fa, si è negli ultimi anni seduto fin troppo comodamente sul
sinfonismo tout court. Impossibile tacere, in questo senso, dei riflussi
avanguardistici rispolverati da Michael Giacchino in Lost,
serpeggianti a più riprese nel commento.
Lultima conquista musicale di Francis Ford Coppola è largentino
Osvaldo Golijov, al debutto cinematografico autonomo con unAltra
giovinezza (Deutsche Grammophon) ma già forte di una discografica
molto apprezzata. Coppola è daltronde tra i pochi esponenti
della New Hollywood a non aver stretto negli anni una relazione continuativa
con un compositore specializzato. Da Rota a Shire, da Barry a Kamen
passando per le prestazioni del padre Carmine - mentre Spielberg e Lucas
eleggevano Williams a loro mentore sinfonico, Milius si alleava vigorosamente
con Poledouris, Scorsese riconosceva in Elmer Bernstein il preferenziale
sublimatore dei propri tormenti filmici e De Palma faceva la spola tra
Donaggio e Morricone. Resta però nellopera coppoliana una
precisa identità musicale, sottesa anche al lavoro di Golijov,
che nelletnicità dellimpasto e nel folklore melodico
sovente richiama alla memoria assonanze con il tema rotiano de il
Padrino. Sicuramente ispirato, il musicista dipinge su larga
tela con pennellate di melodrammatico sentimentalismo (e qualche picco
morriconiano) capace però di aprirsi a parentesi più sottili
e stranianti (su tutte la ripresa onomatopeica del ticchettare temporale).
Off Screen
La
Cinevox rimanda alle stampe due classici evergreen del suo catalogo,
Profondo rosso e Giù
la testa, entrambi espansi in edizione de luxe con materiali inediti
e sottoposti in occasione delluscita a doppio disco ad un restyling
in digipack. Sebbene le aggiunte al leggendario soundtrack di Goblin/Gaslini
per lhorror di Dario Argento non manchino (da sottolineare 8 tracce
jazz di musica di scena) la ristampa troverà degna accoglienza
soprattutto tra i completisti e gli irriducibili del film, mentre ledizione
del 1996 resta ancora più che soddisfacente come versione di
riferimento.
Maggiormente allettanti invece gli addendum allo score di Morricone
per Giù la testa: alla selezione
dellalbum originale è affiancato un disco con 15 brani,
versioni cinematografiche e alternative tra cui trovano spazio variazioni
su Mesa verde, Marcia degli accattoni e Giù
la testa, per un totale complessivo di più di 100 minuti
di musica rimasterizzata.
Lo zoo di Talos (rejected score fuori dalloblio)
Cè
da esser grati alla Intrada per la pubblicazione nella sua Special Collection
della colonna sonora di The Seven-Ups (Squadra speciale),
sfortunato spin-off da Il
braccio violento della legge licenziato nel 1973 prima del seguito
ufficiale firmato Frankenheimer. Non solo per lattraente ascolto
delladusto score del jazzista Don Ellis - partitura allinsegna
della dissonanza e della coloritura timbrica rigorosamente retta da
archi e percussioni - e per la scoperta del (non troppo) antitetico
score inizialmente proposto da Johnny Mandel, poi rifiutato dalla produzione,
ma soprattutto per loccasione di godere finalmente del mirabile
commento firmato da questultimo per il Verdetto
di Sidney Lumet - incastonato tra le due versioni musicali del poliziesco
di Philip DAntoni.
Datato
1982, con la ripresa della sinfonia hollywoodiana già innestata
e largamente metabolizzata, il trend del synth-scoring high concept
in rapida ascesa, lo spartito di Mandel per il Verdetto
trasuda scrupolo dingerenza (gli interventi limitati ad un pugno
di brani), funzionale discrezionalità e una rigorosità
formale ineccepibile. Riuscendo oltretutto a rifrangere la deriva psicologica
e morale del protagonista Paul Newman con serpentina efficacia, nel
rispetto di un testo votato allunderstatement e ai mezzi toni.
Un caposaldo della prassi cine-musciale moderna da annoverare tra gli
imprescindibili del medium.
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