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Il caso Greengrass è
davvero uno dei più interessanti - cinematograficamente parlando
- dellultimo periodo. Risulta evidente a tutti gli addetti ai
lavori come il regista britannico si sia trasferito ad Hollywood per
girare la serie di Bourne soltanto per acquistare potenza contrattuale
da spendere per progetti maggiormente personali, vedi ad esempio il
piccolo grande gioiello di United 93. Il
fatto è che la sua impostazione estetica è ormai talmente
consolidata e precisa che, anche quando applicata a lavori destinati
allintrattenimento spettacolare, riesce a nobilitarne la fattura,
ad innalzarli a livello di opere che vanno studiate per la loro resa
estetica. E già stato il caso di the Bourne supremacy,
che in qualche modo sconvolgeva le regole dettate dalla elegante compostezza
di Doug Liman, regista del primo episodio. Luso ossessivo da non
invadente della macchina a mano, accompagnata da un montaggio vorticoso,
sono le costanti adoperate da Greengrass per ricostruire la sua visione
di Jason Bourne: ebbene, queste due semplici scritture cinematografiche
trovano la loro più potente espressione in questo terzo capitolo,
che se possibile accentua ancor di più il discorso di Greengrass
fino a farlo diventare un processo di stilizzazione di raro fascino
e presa sul pubblico (non per niente la serie in America è andata
in nettissimo crescendo come incassi). Se <the Bourne Identity>
doveva forzatamente introdurre la storia del protagonista e si prestava
ad una narrazione più funzionale e complessa, già il primo
episodio diretto da Greengrass mostrava un diverso approccio alla materia:
storia ridotta allosso, spesso mera macchina per far procedere
lazione, ma in nessun caso ridotta a canovaccio strapazzato ed
incoerente. Lo stesso avviene in the Bourne ultimatum,
anzi forse il meccanismo viene addirittura portato alle estreme conseguenze;
il ritorno della spia senza passato in suolo americano è un susseguirsi
di adrenalina sparata direttamente in vena, orchestrata da una regia
perfettamente riconoscibile e disposta a seguire le proprie idee filmiche
fino a portarle ad un livello di sintesi quasi sconcertante per un simile
prodotto. Non ci troviamo di fronte ad un tripudio di effetti speciali
roboanti e declamatori come ad esempio di Die
hard vivere o morire, ma in un congegno ad orologeria dove
lo spettacolo è dato più dal modo di riprendere che forse
da ciò che avviene davanti la macchina da presa. Lazione
contenuta nella trilogia dedicata a Jason Bourne possiede una dose di
realismo e di drammaticità che gli altri blockbuster dedicati
allaction non hanno, e questo è dovuto prima di tutto allintelligenza
ed alla coerenza stilistica di chi vi ha lavorato. Merito quindi a Liman,
e poi anche a Paul Greengrass, che ha inserito nella serie un lavoro
di sottrazione del non necessario incredibilmente efficace, estremizzata
fino al punto da rendere the Bourne ultimatum una macchina
da adrenalina quasi perfetta.
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