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Quel treno per Yuma
è una pellicola che torna al cuore del Western e di esso recupera
un taglio di stile che si stava lentamente perdendo nelle moderne rielaborazioni.
La qualità della recitazione e lambientazione studiata
alla perfezione ci hanno regalato un lungometraggio che sembra essere
stato realizzato ex novo, un inganno in cui sarebbe facile cadere se
non ci si ricordasse in maniera talmente vivida che lo splendido originale
di Delmer Daves ha appena compiuto 50 anni. La storia si ispira a un
breve scritto di Elmore Leonard, dove si racconta come un giovane uomo
di nome Dan Evans (Christian Bale) che ha perso la gamba nella Guerra
di Secessione Americana (1861-1865), si diriga in Arizona per cercare
fortuna, dedicandosi alla vita di fattoria. Purtroppo i suoi sogni non
si realizzano e, oltre ad una insufficiente produzione, deve combattere
contro il suo vicino che lo vuole forzare a lasciare la terra. Il territorio
americano respira ancora le scorrerie degli indiani, ma ciò che
è più temuto è una banda capeggiata da Ben Wade
(Russell Crowe), fuorilegge che semina panico con rapine, omicidi e
furti di ogni genere. Una serie di eventi porteranno Dan Evans a scortare
Wade, catturato e ammanettato, alla vicina città di Contention,
dove alle 3:10 del pomeriggio un treno porterà il malvivente
al carcere di Yuma.
Russell Crowe, che ultimamente ha evidenziato un rallentamento nei successi
cinematografici, mostra sempre quel carattere che lo contraddistingue
da il Gladiatore. È tra i pochi che riesce a
nobilitare la rabbia ed apportare saggezza in colui che dovrebbe rappresentare
lanti-eroe. È proprio questuomo solenne e deciso,
determinato e crudele, freddo e concreto, a catalizzare lattenzione
dello spettatore. Per chi è più addentro nella letteratura
filosofica forse non sembra esagerato paragonarlo con alcuni personaggi
di Nietzsche, ma questo è un accostamento analogico, in quanto
non risulta infatti che Elmore Leonard abbia avuto tale intento.
Il regista James Mangold ha realizzato un eccellente prodotto, superando
anche lombra della precedente versione del 1957; il risultato
è dovuto soprattutto alla qualità decisamente elevata
dei suoi attori. Christian Bale recita il non facile ruolo per un eroe,
che in verità è un uomo che scelto di non correre rischi
e ora si trova quasi in difficoltà a dover spiegare perché
porta un omicida alla giustizia. Tornando al regista, è doveroso
sottolineare come James Mangold raggiunge la vetta parabola emotiva
del suo film nella scena in cui i due protagonisti sono loro malgrado
chiusi nella camera di hotel, circondati dalla morte che li aspetta
entrambi: è in questo momento che uomini così diversi
e così lontani iniziano a parlare. Non ci sono barriere, sembra
che Wade per la prima volta si trovi a confrontarsi con uno del suo
rango; il dialogo è così ben cadenzato che non rivela
la sua funzione primaria: aprire un contatto, una finestra di accesso
sullaltro.
Il film ha ricevuto diverse lodi sia dalla critica che dal pubblico;
Michael Phillips del Chicago Tribune il 6 settembre 2007
ha poeticamente commentato il film: porta un vagone di nuove
munizioni e una nervosa inquietudine a un territorio picchettato da
un originale (film) di mezzo secolo fa. Guardando alle reazioni
di oltre oceano, la domanda più scontata vedendo questo lungometraggio
non potrà non essere: si tratta di un grande film o più
semplicemente di un bel remake?
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