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the Invasion
id., Usa, 2007
di Oliver Hirschbiegel, con Nicole Kidman, Daniel Craig, Jeremy Northam, Jeffrey Wright

L’invasione della propaganda
recensione di Alessandro Gambino



Una gigantesca esplosione illumina il cielo da Dallas a Washington, frantumando lo shuttle Patriot in mille pezzi che piovono giù su tutti gli Stati Uniti. Iniziano a circolare strane voci su una strana sostanza trovata appiccicata ai rottami, qualcosa che ha resistito al freddo estremo dello spazio e al caldo rovente del rientro. E i primi a entrarci in contatto sono i primi a cambiare. A Washington la psichiatra Carol Bennell, dopo aver visitato una paziente terrorizzata dall’idea che suo marito sia stato rimpiazzato da un estraneo, si accorge della presenza di una strana sostanza organica presente tra le caramelle di Halloween di suo figlio Oliver. Le stranezze sembrano moltiplicarsi e le autorità parlano di una nuova forma di influenza. Prima di rendersi conto della gravità di quanto sta succedendo, Carol lascia che Oliver trascorra il week-end con il padre. Ma appena l’epidemia si propaga, Carol scopre che le stesse persone incaricate di distribuire il vaccino stanno in realtà diffondendo il virus di origine aliena che attacca il DNA umano durante il sonno trasformando la vittima in un duplicato privo di qualsiasi emozione. Nell’arco di una notte le persone intorno a lei si trasformano in un esercito di creature con un solo imperativo: contagiare gli altri e assumere il controllo. Facendo di tutto per restare sveglia, Carol intraprende un viaggio disperato in un mondo irriconoscibile, cercando di restare viva abbastanza a lungo per ritrovare suo figlio. Ancora un remake, ennesima conferma della miseria creativa che sta erodendo dall'interno il sistema hollywoodiano. Terzo rifacimento da un classico della fantascienza come l’Invasione degli ultracorpi girato da Don Siegel nel 1956, dopo Terrore dallo spazio profondo di Philip Kaufman e Ultracorpi-L'invasione continua di Abel Ferrara, questa ulteriore riproposizione del tema ad opera del tedesco Olivier Hirschbiegel è indubbiamente la peggiore sia sul piano estetico che sulle tracce del sottotesto politico, unico fil rouge che lega fra loro quattro opere diverse. Il regista de la Caduta e The Experiment non poteva allontanarsi di più dalla maestria registica di Don Siegel così come dalle atmosfere stranianti di Ferrara e da quelle cupe di Kaufman. Sicuramente mantiene la tradizione, giocando al ribasso, del testo fantascientifico come veicolatore di angosce collettive. E, in un certo senso, pareggia i conti. Perchè se in Siegel la grande metafora politica esprimeva l'ossessione dell'America degli anni Cinquanta per il pericolo di un'invasione sovietica (ma d'altra parte si poteva leggere tutto come una riflessione sull'alienazione prodotta dal capitalismo o sull'anaffettività nevrotica derivante da quella sessuofobia sociale che di lì a qualche anno sarebbe stata disintegrata dai libertarismi del decennio successivo), in Kaufman si respirava l'aria post-vietnam e in Ferrara tutto si trasformava in una denuncia antimilitarista, in the Invasion la paranoia è quella dell'America post-11 settembre che ha votato Bush. Con un’evidenza reazionaria imbarazzante tanto che il film sembra scritto da Condoleeza Rice e diretto dal Presidente in persona. La tesi è questa: la guerra è fondata sulla sfera sensibile dell'essere umano, sulle sue passioni, quindi la guerra è necessariamente connaturata all'essenza dell'umano. “Per me immaginare un mondo nel quale una crisi non si traduca in nuove atrocità, nel quale un giornale non sia pieno di guerra e violenza, significa immaginare un mondo in cui gli esseri umani cessano di essere umani” dice un personaggio del film con il tono di saggezza da verità ultima. Roba da idealismo vetero-novecentesco, roba da nazisti, insomma. Di conseguenza, the Invasion mette in scena un mondo da incubo (soprattutto per i teocons e per gli elettori della cintura della Bibbia!): quello, vampirizzato dagli ultracorpi e dominato dell'anaffettività, in cui Bush incontra e stringe la mano all'odiato “comunista” Chavez, le truppe si ritirano “senza senso” dall'Iraq e dall'Afghanistan, e la guerra cessa semplicemente di esistere... Al posto dei mitici baccelloni, una sostanza viscida che s’insinua ovunque e rimanda alla paranoia da attacco chimico. Nessuna ironia, nessuna ambiguità, nessuna apertura di senso. Il significato del film è tutto qui: un volgare manisfestino reazionario, estremo tentativo della Hollywood repubblicana di convincere il mondo sulla giustezza della politica estera del Presidente. Che tristezza. Mancano le tracce riflessive, le deviazioni di senso che sostanziano tutti i grandi film di fantascienza. Manca una riflessione sulla corporeità e manca anche quella claustrofilia-claustrofobia che aveva caratterizzato i due lavori precedenti di Hirschbiegel. E, certo, il tema si prestava sia all’una che all’altra. Non si salva neanche il ritmo narrativo, per cui the Invasion non rientra nemmeno in quella categoria dell'intrattenimento spettacolare che aveva fatto apprezzare film come Independence Day. Il racconto confuso e pretestuoso stanca e annoia lo spettatore, il quale fortunatamente, crediamo, appena uscito dalla sala, ha già dimenticato il pasticcio al quale ha assistito.