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Aprile 2008

Brevi
backtrack di Giuliano Tomassacci




 
Highscores

Heavy Metal
Elmer Bernstein (Film Score Montly)
La filmografia di Elmer Bernstein non è avara di fantascienza e fantasy. La sua partecipazione al film d’animazione episodico Heavy Metal si staglia però come prova rappresentativa della sua filiazione al genere. E’ con questo sorprendente lavoro sinfonico che il compositore de Il buio oltre la siepe e I magnifici sette, l’autore dell’intimismo e delle epiche di frontiera hollywoodiane, rivelò tutto il suo efficace entusiasmo per territori cinematografici abitualmente regolati dal sinfonismo dei colleghi Jerry Goldsmith e John Williams. Lontano dalle restrizioni di budget del periodo maccartista (Robot Monster) e dalle indecisioni autoriali appena sperimentate in Saturn 3 di Stanley Donen, per Bernstein nel 1981 è finalmente il momento di confrontarsi con il testo fantascientifico puro, peraltro dall’aspirazione più adulta. Le coordinate formali circoscriventi il sound fantastico per il grande schermo vengono centrate attraverso un’indubbia impostazione postromantica, all’interno della quale il compositore non cede comunque all’accademismo, personalizzando la vivace e ampia tela orchestrale con fondanti ricorsi al suo vocabolario migliore: il soffio emotivo delle scritture liriche, la matrice impressionistica e la divagazione jazzistica dei segmenti naïf, l’elegante gesto coplandiano, la titanica e quasi wagneriana incombenza dell’orchestra in piena (come sarà poi per Taron e la pentola magica) sovente esasperata a tal punto da staccarsi dalle immagini accrescendo ulteriormente il kitsch della messa in scena e dell’incrocio di stili e tratti artistici variegati. Il meglio spetta al segmento finale, l’episodio della guerriera Tarna, dove la musica pare tributare un vero e proprio atto d’amore all’eroina attraverso il materiale escluso dal film di Donen, un elegiaco tema che corroborato dal coro e dell’amato Ondes Martenot (scoperto in quest’occasione) risplende nel carnet melodico dell’artista per fascino evocativo.
Lo score, rimasterizzato e ampliato rispetto alla selezione originariamente pubblicata su Lp, torna ora a giusta gloria per merito di Film Score Monthly, uscendo da un ventennio di clandestinità dovuta alla larga diffusione di un bootleg, che la rarità del vinile aveva in sostanza promosso ad unica registrazione di riferimento.

Nell’anno del Signore
Armando Trovajoli (Cinevox)
Sempre sensibilmente ispirato dalle collaborazioni con Luigi Magni, Armando Trovajoli licenziò nel 1970 una partitura d’eccellenza per il commento a Nell’anno del Signore (Cinevox). Vi si ritrova un perfetto dosaggio delle istanze compositive maggiormente preganti l’opera del compositore. Lo spirito e il tono popolare delle sue frequenti incursioni nel paesaggio musicale della Roma papalina (che l’autore stesso contribuì a definire nell’immaginario culturale), profondamente attraversate ed alimentate dalle forme rinascimentali e barocche, la predilezione per le aperture melodiche malinconicamente palpitanti e la piena corrispondenza a quell’enfasi canonica nelle stilistiche della colonna sonora italiana d’epoca, veicolata anche qui dal primario contributo vocale di Edda Dell’Orso. Il suo canto acuisce l’opulenza drammatica di un tema portante (“Nell’anno del Signore”) da tempo ascritto alla notorietà, reggente anche il ritratto musicale della Giuditta di Claudia Cardinale (“Tema di Giuditta”); mentre il fischio di Alessandroni asseconda l’ambigua vitalità di Manfredi/Cornacchia, destinatario principale di un intervallo scandito da tre note allusive e altrettanto sfuggenti (“Pasquino”). Il coro dei Cantori Moderni contorna poi l’ambientazione carbonara facendosi vessillo della ricorrente fanfara d’apertura. Mirabile il dettaglio della scrittura orchestrale, la pesatura dei mezzitoni e la partizione strumentale bilanciata tra i passaggi descrittivi e l’abbandono al sentimento maggiormente nostalgico, che sembra caricarsi sulla prolessi esterna che Magni destina agli ultimi fotogrammi del lungometraggio per poi procedere a ritroso sul racconto.


On Screen

Dopo l’ironia tutt’altro che sottesa al commento in costume composto da Paolo Buonvino per N - Io e Napoleone, la cifra musicale dell’opera di Paolo Virzì continua a declinarsi al temperamento satireggiante. Per Tutta la vita davanti (Gdm) è Franco Piersanti a produrre una partitura amaramente canzonante e bislaccamente sarcastica che recupera alcune delle cadenze caricaturali dei suoi recenti lavori (Il caimano, Mio fratello è figlio unico). I “Siparietti” iniziali dischiudono orizzonti formali intersecanti Duke Ellington e Nino Rota, ancorati ad un telaio ritmico dal piglio stravinskiano; ma è l’andamento graffiante del musicista felliniano a prendere il sopravvento in una scrittura attraversata da suggestioni mediterranee e sviluppi rarefatti, con punte di delirante esasperazione che sfiorano Elfman (“La follia di Daniela”). “Sbrokkamenti forti” si segnala come cartina di tornasole della capacità di articolazione narrativa del compositore, ancora una volta in grado di intessere un discorso orchestrale denso e complesso senza cedere al semplice riempimento. L’album include anche l’iperottimistico inno della Multiple, la società di call-center bersagliata nel lungometraggio, scritto da Carlo Virzì.

E’ senz’altro prematuro parlare di approdo musicale ideale per il cinema di George Clooney. Finora, tra l’altro, l’attore non ha dato prova di prediligere collaborazioni continuative nell’ambito della sua carriera registica (per Confessioni di una mente pericolosa Alex Wurman, in Good Night, and Good Luck il repertorio jazz affidato alla voce di Dianne Reeves). Certo è che la scelta di Randy Newman per il ritratto del football anni ‘20 di In amore niente regole - Leatherheads (Varèse Sarabande/Audioglobe) non poteva essere più consona. Attraverso il compositore, che con swing, jazz big-band e ragtime ha sempre avuto un rapporto preferenziale, il film contorna oltremodo quella cornice d’epoca che è tra i punti di forza del lungometraggio, senza rinunciare ad un commento attento e partecipe. Inoltre, per il cantautore - che stavolta non compare in veste di cantante – anche una bella occasione per riscattare le prove cinematografiche un po’ fiacche degli ultimi anni.

C’è chi ha ravvisato nell’ultima esperienza cartoon di John Powell per Ortone e il mondo dei Chi (Varèse) un certo ripiegare all’originaria estetica zimmeriana. Invece l’eccitazione frenetica, feconda di intuizioni descrittive e di sgargiante fervore slapstick, tanto apprezzata nei recenti exploit d’animazione dell’autore (Robots, L’era glaciale 2, Happy Feet) non sembra aver perso il suo smalto galvanizzante. E orami pare addirittura eufemistico parlare di contaminazione di generi e stili: il compositore è ben oltre il patchwork formale e definitivamente alla stregua del deejay sinfonico con una pronunciata propensione al pastiche, al metalinguaggio e al vintage (“The Quest”, attentamente ‘anticata’, è dichiaratamente resuscitata dagli “archivi a 8 piste del compositore”). Semmai, si rintraccerà sporadicamente un automatismo frutto di soluzioni già routinarie, lungi comunque dal compromettere l’esito più che soddisfacente di un lavoro che torna a ribadire un alternativa degnissima al cartoon-scoring hollywoodiano.

Anche alcune pagine del modesto score di Tutti pazzi per l’oro (Fool’s Gold) sembrerebbero reclamare la paternità powelliana. Ma dietro il poco più che professionale spartito posto a commento di questo lanciatissimo ritorno della coppia Hudson/McConaughey c’è George Fenton, loachinao di razza che non avrebbe bisogno di derivazioni se non fosse, probabilmente, per la scarsezza di ispirazione e il momentaneo esaurimento di risorse per le commedie firmate Andy Tennant (Tutta colpa dell’amore, Hitch). Puro mestiere, tanto colore esotico, ritmi caraibici e un tema per la protagonista (“Tess’s Theme”) che riverbera, seppur con moderazione, le ben altre capacità del compositore de Le relazioni pericolose e In compagnia dei lupi. Devoto al reggae anche il repertorio incluso nell’album Varèse, capitanato da “Love and Affection” (Majek Fashek). Rispunta, direttamente da Hitch, anche l’evergeen di Jimmy Cliff “You Can Get It If You Really Want”, qui intonata da Desmond Dekker.


Off Screen

Il Piero Piccioni post Rosi, Bolognini, Pasolini e Lattuada, riempiva le balere. Abbandonato lo sperimentalismo jazzistico dei commenti aspramente trasversali apriva ad una nuova fase fatta soprattutto di esteriorità, di fluidità musicale e appeal swingante. Il suo matrimonio con il lounge resta tra i più significativi e come nel caso di Scacco alla regina (1969), che la Cinevox pubblica su cd, la sua adesione al genere sapeva essere totalizzante. Espresso in tutte le sue languide colorazioni, le sensuali allusioni, le disinvolte, divagate e disimpegnate flessuosità, il glamour musicale degli anni ’60 veste da capo a piedi una pellicola che forse non avrebbe potuto indossare altri panni. Anche in questo lo score è una lezione di trattamento cinematografico del plastico idioma, esemplificativo di una completa complicità con le immagini raggiunta da una messa in parallelo al fotografico fatta di sofisticate contornature.

Perfetto compendio al lavoro di Piccioni è il centone di lounge cinematografico che la Cinevox manda alle stampe con il titolo "A trip? Just a little… beat". Sono chiamati a raccolta i nomi della colonna sonora italiana che, più o meno frequentemente, hanno detto la loro in fatto di ballabile e psichedelia per il grande schermo. Dominano Brugnolini e Malatesta con estratti da Dov’è l’Australia? (1969) e Gungala, La pantera nuda (1968), tallonati da Giorgio Gaslini e Piero Umiliani, rispettivamente con due estratti dai loro lavori per Bali (1969) e Cinque bambole per la luna d’agosto. Ferrio (La sculacciata, 1974), Clinton & Smith (Delitto al circolo del tennis, 1969), Morricone (Violenza sull’ultimo treno della notte, 1975), ancora Piccioni (Bora Bora, 1968) e Martelli (Il dio serpente, 1970) fanno il resto in una compilation che incarna la quintessenza del disco d’atmosfera.

La selvaggia colonna sonora di Augusto Martelli per Il dio serpente ottiene da Cinevox anche un aggiornamento integrale. Ritmiche incessanti avvolgono la lasciva avventura voodoo cucita intorno ad un’allora esordiente Nadia Cassini, in un tripudio di tribalismi, danze e cori ritualistici. Per l’occasione, l’etichetta confeziona in digipack un’edizione arricchita da una rimasterizzazione in stereo originata dai master mono e un corredo di tracce inedite per un totale di 26 brani, che includono “Yamma Yamma” e “Mood” di G.B. Martelli.

Ancora notevoli spolveri da parte della Fin de Siècle Media. Stavolta tocca ad un dittico particolarmente emblematico della competenza thrilling di Giorgio Gaslini al di là dei risaputi esiti argentiani di Profondo Rosso: Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile e Un omicidio perfetto a termine di legge. Diretto nel 1972 da Roberto Bianchi Montero e passato alla storia dell’exploitation per un’iniezione di hard-core erotico ad opera dei distributori americani, Rivelazioni si fregia di una partitura che polarizza l’efficacia e l’interesse principali sull’elaborazione della tensione. “Colori”, su tutti, evidenzia infatti la capacità del compositore di tessere puntillisticamente la tavolozza strumentale nella restituzione di una dimensione sonora di insostenibile spasmo, che trova grande definizione nel ricorrente procedimento aleatorio.

Ben più pronunciata appare l’estremizzazione atonale, tesa alla rarefazione atmosferica, nel precedente Un omicidio perfetto a termine di legge di Tonino Ricci, tanto da porsi come manifesto assoluto di un vocabolario poi dolcemente moderato nello spartito per il giallo di Montero. Pur non mancando anche in questa prova flessioni di sapore ballabile (i titoli di testa), lo spazio concesso al compiacimento melodico del giallo italico anni ’70 latita. Così come l’immancabile voce di Edda Dell’Orso s’integra organicamente in uno schema sonoro prediligente l’incertezza armonico-melodica. Delle due emissioni gasliniane questa è anche la più soddisfacente sul profilo del riversamento audio, con una stereofonia limpida e costante non sempre ravvisabile nel cd di Rivelazioni.

Come Prokofiev, Copland e Leonard Bernstein, Shostakovich ha influito e dato molto al cinema sonoro, anche direttamente, perlopiù scevro di quell’atteggiamento refrattario o preconcetto nei confronti della musica applicata al racconto per immagini. Naxos documenta questa felice ingerenza del musicista nei territori cinematografici pubblicando la ricostruzione della colonna musicale per Odna (1931, di Kozintsev e Trauberg), a testimonianza ulteriore di quanto l’artista russo non sottraesse nulla del suo genio sinfonico, dell’incontenibile veemenza ritmica e della propensione atavica per l’humus popolare, fuori dai contesti “assoluti”. Per il film – tra i primi della cinematografia sovietica ad approntare una sincronizzazione sonora già in grado di presentare scampoli di dialoghi e rumori ambientali – Shostakovich sublimò addirittura l’utilizzo delle parti corali (che in partitura si aggiungono ad un’orchestra arricchita da 8 ottoni per banda, organo e teremin) arrivando ad interventi vocali sovratonali che ammantano l’opera di un valore etnomusicologico. La registrazione è tratta dalle performance in studio e dal vivo dirette nel 2006 da Mark Fitz-Gerald (anche restauratore), con il sostegno di Irina Shostakovich.

Double-feature della Naxos dedicata a Max Steiner. L’album raccoglie le smaglianti reincisioni dirette dal sempre eccellente William Stromberg per due classici interpretati da Bette Davis, cui Steiner assicurò molte delle sue prove più ispirate. Soprattutto nel caso di All This, and Heaven Too (Paradiso proibito, 1940), che propone l’enfasi sentimentale del compositore austriaco, fatta di tinte orchestrali potenti e picchi sinfonici non diseguali dal tour-de-force melodrammatico di Via col vento, musicato l’anno precedente. Più trattenuto e asciutto lo score di A Stolen Life (L’anima e il volto, 1946) che, coadiuvato nel film da La Mer debussiano, ha goduto di molteplici vite grazie al riutilizzo tematico in Scandalo al sole e in This is Cinerama.

Sempre per la Naxos risplende un altro dei generi congeniti a Steiner, il western. E attraverso un indiscusso magnum opus della sua filmografia: The Treasure of the Sierra Madre (Il tesoro della Sierra Madre, 1948). Celeberrimo il tradizionalissimo tema portante, forse meno lo scrupoloso lavoro di cesello operato dal musicista attraverso interventi brevi e mirati, spesso raccolti in unici brani dal restauro di John Morgan. L’orchestra sinfonica di Mosca sotto la bacchetta di Stromberg arricchisce ulteriormente un capolavoro finalmente meritorio della presa fonica digitale, capace di riportare alla giusta attenzione anche il lavoro condotto da Steiner sul colore ispanico che incornicia il classico di John Huston.


25 fotogrammi

La bella mano di Paolo Vivaldi si presta nuovamente alla fiction e le sue istanze fiorenti e melodrammatiche s’increspano agilmente dei topoi sinistri reclamati dalle occorrenze soprannaturali de La baronessa di Carini (RaiTrade), diretto da Umberto Marino. Le vicissitudini di una Vittoria Puccini post-Rivombrosa - ancora in costume e in zona Rebecca - germinano pagine dalla solida impostazione d’epoca, ma è proprio nell’intersecarsi dell’aplomb cortese con le perturbazioni del lessico suspense che il lavoro trova i suoi più interessanti passaggi. Si registra anche un’esposizione importante alla lezione d’oltreoceano, in brani come “The Dinner and the Cave” dove rifulge ad esempio il James Newton Howard di Signs (ma anche l’apripista del cd, “Destiny”, vibra di un temperamento mutuato dalle pagine di Trevor Jones per L’ultimo dei Mohicani). Partecipano alla composizione Marcello Sirignano (“Valzer a Palermo”) e, più estesamente, l’orchestratore Daniele Falangone, recentemente messosi in luce come autore del commento per Ci sta un francese, un inglese e un napoletano.