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Highscores
Heavy Metal
Elmer Bernstein (Film Score Montly)
La filmografia di Elmer Bernstein non è avara di fantascienza
e fantasy. La sua partecipazione al film danimazione episodico
Heavy Metal si staglia però come prova rappresentativa
della sua filiazione al genere. E con questo sorprendente lavoro
sinfonico che il compositore de Il buio oltre la siepe
e I magnifici sette, lautore dellintimismo
e delle epiche di frontiera hollywoodiane, rivelò tutto il suo
efficace entusiasmo per territori cinematografici abitualmente regolati
dal sinfonismo dei colleghi Jerry Goldsmith e John Williams. Lontano
dalle restrizioni di budget del periodo maccartista (Robot Monster)
e dalle indecisioni autoriali appena sperimentate in Saturn
3 di Stanley Donen, per Bernstein nel 1981 è finalmente
il momento di confrontarsi con il testo fantascientifico puro, peraltro
dallaspirazione più adulta. Le coordinate formali circoscriventi
il sound fantastico per il grande schermo vengono centrate attraverso
unindubbia impostazione postromantica, allinterno della
quale il compositore non cede comunque allaccademismo, personalizzando
la vivace e ampia tela orchestrale con fondanti ricorsi al suo vocabolario
migliore: il soffio emotivo delle scritture liriche, la matrice impressionistica
e la divagazione jazzistica dei segmenti naïf, lelegante
gesto coplandiano, la titanica e quasi wagneriana incombenza dellorchestra
in piena (come sarà poi per Taron e la pentola magica)
sovente esasperata a tal punto da staccarsi dalle immagini accrescendo
ulteriormente il kitsch della messa in scena e dellincrocio di
stili e tratti artistici variegati. Il meglio spetta al segmento finale,
lepisodio della guerriera Tarna, dove la musica pare tributare
un vero e proprio atto damore alleroina attraverso il materiale
escluso dal film di Donen, un elegiaco tema che corroborato dal coro
e dellamato Ondes Martenot (scoperto in questoccasione)
risplende nel carnet melodico dellartista per fascino evocativo.
Lo score, rimasterizzato e ampliato rispetto alla selezione originariamente
pubblicata su Lp, torna ora a giusta gloria per merito di Film Score
Monthly, uscendo da un ventennio di clandestinità dovuta alla
larga diffusione di un bootleg, che la rarità del vinile aveva
in sostanza promosso ad unica registrazione di riferimento.
Nellanno del Signore
Armando Trovajoli (Cinevox)
Sempre sensibilmente ispirato dalle collaborazioni con Luigi Magni,
Armando Trovajoli licenziò nel 1970 una partitura deccellenza
per il commento a Nellanno del Signore (Cinevox).
Vi si ritrova un perfetto dosaggio delle istanze compositive maggiormente
preganti lopera del compositore. Lo spirito e il tono popolare
delle sue frequenti incursioni nel paesaggio musicale della Roma papalina
(che lautore stesso contribuì a definire nellimmaginario
culturale), profondamente attraversate ed alimentate dalle forme rinascimentali
e barocche, la predilezione per le aperture melodiche malinconicamente
palpitanti e la piena corrispondenza a quellenfasi canonica nelle
stilistiche della colonna sonora italiana depoca, veicolata anche
qui dal primario contributo vocale di Edda DellOrso. Il suo canto
acuisce lopulenza drammatica di un tema portante (Nellanno
del Signore) da tempo ascritto alla notorietà, reggente
anche il ritratto musicale della Giuditta di Claudia Cardinale (Tema
di Giuditta); mentre il fischio di Alessandroni asseconda lambigua
vitalità di Manfredi/Cornacchia, destinatario principale di un
intervallo scandito da tre note allusive e altrettanto sfuggenti (Pasquino).
Il coro dei Cantori Moderni contorna poi lambientazione carbonara
facendosi vessillo della ricorrente fanfara dapertura. Mirabile
il dettaglio della scrittura orchestrale, la pesatura dei mezzitoni
e la partizione strumentale bilanciata tra i passaggi descrittivi e
labbandono al sentimento maggiormente nostalgico, che sembra caricarsi
sulla prolessi esterna che Magni destina agli ultimi fotogrammi del
lungometraggio per poi procedere a ritroso sul racconto.
On Screen
Dopo lironia tuttaltro
che sottesa al commento in costume composto da Paolo Buonvino per N
- Io e Napoleone, la cifra musicale dellopera di Paolo
Virzì continua a declinarsi al temperamento satireggiante. Per
Tutta la vita davanti (Gdm)
è Franco Piersanti a produrre una partitura amaramente canzonante
e bislaccamente sarcastica che recupera alcune delle cadenze caricaturali
dei suoi recenti lavori (Il caimano,
Mio fratello è
figlio unico). I Siparietti iniziali dischiudono orizzonti
formali intersecanti Duke Ellington e Nino Rota, ancorati ad un telaio
ritmico dal piglio stravinskiano; ma è landamento graffiante
del musicista felliniano a prendere il sopravvento in una scrittura
attraversata da suggestioni mediterranee e sviluppi rarefatti, con punte
di delirante esasperazione che sfiorano Elfman (La follia di Daniela).
Sbrokkamenti forti si segnala come cartina di tornasole
della capacità di articolazione narrativa del compositore, ancora
una volta in grado di intessere un discorso orchestrale denso e complesso
senza cedere al semplice riempimento. Lalbum include anche liperottimistico
inno della Multiple, la società di call-center bersagliata nel
lungometraggio, scritto da Carlo Virzì.
E
senzaltro prematuro parlare di approdo musicale ideale per il
cinema di George Clooney. Finora, tra laltro, lattore non
ha dato prova di prediligere collaborazioni continuative nellambito
della sua carriera registica (per Confessioni
di una mente pericolosa Alex Wurman, in Good
Night, and Good Luck il repertorio jazz affidato alla voce di Dianne
Reeves). Certo è che la scelta di Randy Newman per il ritratto
del football anni 20 di In
amore niente regole - Leatherheads (Varèse Sarabande/Audioglobe)
non poteva essere più consona. Attraverso il compositore, che
con swing, jazz big-band e ragtime ha sempre avuto un rapporto preferenziale,
il film contorna oltremodo quella cornice depoca che è
tra i punti di forza del lungometraggio, senza rinunciare ad un commento
attento e partecipe. Inoltre, per il cantautore - che stavolta non compare
in veste di cantante anche una bella occasione per riscattare
le prove cinematografiche un po fiacche degli ultimi anni.
Cè chi ha ravvisato nellultima esperienza cartoon
di John Powell per Ortone e il mondo dei Chi (Varèse)
un certo ripiegare alloriginaria estetica zimmeriana. Invece leccitazione
frenetica, feconda di intuizioni descrittive e di sgargiante fervore
slapstick, tanto apprezzata nei recenti exploit danimazione dellautore
(Robots, Lera
glaciale 2, Happy Feet) non
sembra aver perso il suo smalto galvanizzante. E orami pare addirittura
eufemistico parlare di contaminazione di generi e stili: il compositore
è ben oltre il patchwork formale e definitivamente alla stregua
del deejay sinfonico con una pronunciata propensione al pastiche, al
metalinguaggio e al vintage (The Quest, attentamente anticata,
è dichiaratamente resuscitata dagli archivi a 8 piste del
compositore). Semmai, si rintraccerà sporadicamente un
automatismo frutto di soluzioni già routinarie, lungi comunque
dal compromettere lesito più che soddisfacente di un lavoro
che torna a ribadire un alternativa degnissima al cartoon-scoring hollywoodiano.
Anche alcune pagine del modesto score di Tutti
pazzi per loro (Fools Gold) sembrerebbero reclamare
la paternità powelliana. Ma dietro il poco più che professionale
spartito posto a commento di questo lanciatissimo ritorno della coppia
Hudson/McConaughey cè George Fenton, loachinao di razza
che non avrebbe bisogno di derivazioni se non fosse, probabilmente,
per la scarsezza di ispirazione e il momentaneo esaurimento di risorse
per le commedie firmate Andy Tennant (Tutta colpa dellamore,
Hitch). Puro mestiere, tanto colore esotico, ritmi
caraibici e un tema per la protagonista (Tesss Theme)
che riverbera, seppur con moderazione, le ben altre capacità
del compositore de Le relazioni pericolose e In
compagnia dei lupi. Devoto al reggae anche il repertorio incluso
nellalbum Varèse, capitanato da Love and Affection
(Majek Fashek). Rispunta, direttamente da Hitch, anche levergeen
di Jimmy Cliff You Can Get It If You Really Want, qui intonata
da Desmond Dekker.
Off Screen
Il
Piero Piccioni post Rosi, Bolognini, Pasolini e Lattuada, riempiva le
balere. Abbandonato lo sperimentalismo jazzistico dei commenti aspramente
trasversali apriva ad una nuova fase fatta soprattutto di esteriorità,
di fluidità musicale e appeal swingante. Il suo matrimonio con
il lounge resta tra i più significativi e come nel caso di Scacco
alla regina (1969), che la Cinevox pubblica su cd, la sua adesione
al genere sapeva essere totalizzante. Espresso in tutte le sue languide
colorazioni, le sensuali allusioni, le disinvolte, divagate e disimpegnate
flessuosità, il glamour musicale degli anni 60 veste da
capo a piedi una pellicola che forse non avrebbe potuto indossare altri
panni. Anche in questo lo score è una lezione di trattamento
cinematografico del plastico idioma, esemplificativo di una completa
complicità con le immagini raggiunta da una messa in parallelo
al fotografico fatta di sofisticate contornature.
Perfetto compendio al lavoro di Piccioni è il centone di lounge
cinematografico che la Cinevox manda alle stampe con il titolo "A
trip? Just a little
beat". Sono chiamati a raccolta i nomi
della colonna sonora italiana che, più o meno frequentemente,
hanno detto la loro in fatto di ballabile e psichedelia per il grande
schermo. Dominano Brugnolini e Malatesta con estratti da Dovè
lAustralia? (1969) e Gungala, La pantera nuda
(1968), tallonati da Giorgio Gaslini e Piero Umiliani, rispettivamente
con due estratti dai loro lavori per Bali (1969) e
Cinque bambole per la luna dagosto. Ferrio (La
sculacciata, 1974), Clinton & Smith (Delitto al
circolo del tennis, 1969), Morricone (Violenza sullultimo
treno della notte, 1975), ancora Piccioni (Bora Bora,
1968) e Martelli (Il dio serpente, 1970) fanno il resto
in una compilation che incarna la quintessenza del disco datmosfera.
La selvaggia colonna sonora di Augusto Martelli per Il dio serpente
ottiene da Cinevox anche un aggiornamento integrale. Ritmiche incessanti
avvolgono la lasciva avventura voodoo cucita intorno ad unallora
esordiente Nadia Cassini, in un tripudio di tribalismi, danze e cori
ritualistici. Per loccasione, letichetta confeziona in digipack
unedizione arricchita da una rimasterizzazione in stereo originata
dai master mono e un corredo di tracce inedite per un totale di 26 brani,
che includono Yamma Yamma e Mood di G.B. Martelli.
Ancora notevoli spolveri da parte della Fin de Siècle Media.
Stavolta tocca ad un dittico particolarmente emblematico della competenza
thrilling di Giorgio Gaslini al di là dei risaputi esiti argentiani
di Profondo Rosso: Rivelazioni di un maniaco
sessuale al capo della squadra mobile e Un omicidio
perfetto a termine di legge. Diretto nel 1972 da Roberto Bianchi
Montero e passato alla storia dellexploitation per uniniezione
di hard-core erotico ad opera dei distributori americani, Rivelazioni
si fregia di una partitura che polarizza lefficacia e linteresse
principali sullelaborazione della tensione. Colori,
su tutti, evidenzia infatti la capacità del compositore di tessere
puntillisticamente la tavolozza strumentale nella restituzione di una
dimensione sonora di insostenibile spasmo, che trova grande definizione
nel ricorrente procedimento aleatorio.
Ben
più pronunciata appare lestremizzazione atonale, tesa alla
rarefazione atmosferica, nel precedente Un omicidio perfetto
a termine di legge di Tonino Ricci, tanto da porsi come manifesto
assoluto di un vocabolario poi dolcemente moderato nello spartito per
il giallo di Montero. Pur non mancando anche in questa prova flessioni
di sapore ballabile (i titoli di testa), lo spazio concesso al compiacimento
melodico del giallo italico anni 70 latita. Così come limmancabile
voce di Edda DellOrso sintegra organicamente in uno schema
sonoro prediligente lincertezza armonico-melodica. Delle due emissioni
gasliniane questa è anche la più soddisfacente sul profilo
del riversamento audio, con una stereofonia limpida e costante non sempre
ravvisabile nel cd di Rivelazioni.
Come Prokofiev, Copland
e Leonard Bernstein, Shostakovich ha influito e dato molto al cinema
sonoro, anche direttamente, perlopiù scevro di quellatteggiamento
refrattario o preconcetto nei confronti della musica applicata al racconto
per immagini. Naxos documenta questa felice ingerenza del musicista
nei territori cinematografici pubblicando la ricostruzione della colonna
musicale per Odna (1931, di Kozintsev e Trauberg),
a testimonianza ulteriore di quanto lartista russo non sottraesse
nulla del suo genio sinfonico, dellincontenibile veemenza ritmica
e della propensione atavica per lhumus popolare, fuori dai contesti
assoluti. Per il film tra i primi della cinematografia
sovietica ad approntare una sincronizzazione sonora già in grado
di presentare scampoli di dialoghi e rumori ambientali Shostakovich
sublimò addirittura lutilizzo delle parti corali (che in
partitura si aggiungono ad unorchestra arricchita da 8 ottoni
per banda, organo e teremin) arrivando ad interventi vocali sovratonali
che ammantano lopera di un valore etnomusicologico. La registrazione
è tratta dalle performance in studio e dal vivo dirette nel 2006
da Mark Fitz-Gerald (anche restauratore), con il sostegno di Irina Shostakovich.
Double-feature
della Naxos dedicata a Max Steiner. Lalbum raccoglie le smaglianti
reincisioni dirette dal sempre eccellente William Stromberg per due
classici interpretati da Bette Davis, cui Steiner assicurò molte
delle sue prove più ispirate. Soprattutto nel caso di All
This, and Heaven Too (Paradiso proibito, 1940), che propone
lenfasi sentimentale del compositore austriaco, fatta di tinte
orchestrali potenti e picchi sinfonici non diseguali dal tour-de-force
melodrammatico di Via col vento, musicato lanno
precedente. Più trattenuto e asciutto lo score di A Stolen
Life (Lanima e il volto, 1946) che, coadiuvato nel film
da La Mer debussiano, ha goduto di molteplici vite grazie al riutilizzo
tematico in Scandalo al sole e in This is Cinerama.
Sempre per la Naxos risplende un altro dei generi congeniti a Steiner,
il western. E attraverso un indiscusso magnum opus della sua filmografia:
The Treasure of the Sierra Madre (Il tesoro della Sierra
Madre, 1948). Celeberrimo il tradizionalissimo tema portante, forse
meno lo scrupoloso lavoro di cesello operato dal musicista attraverso
interventi brevi e mirati, spesso raccolti in unici brani dal restauro
di John Morgan. Lorchestra sinfonica di Mosca sotto la bacchetta
di Stromberg arricchisce ulteriormente un capolavoro finalmente meritorio
della presa fonica digitale, capace di riportare alla giusta attenzione
anche il lavoro condotto da Steiner sul colore ispanico che incornicia
il classico di John Huston.
25 fotogrammi
La
bella mano di Paolo Vivaldi si presta nuovamente alla fiction e le sue
istanze fiorenti e melodrammatiche sincrespano agilmente dei topoi
sinistri reclamati dalle occorrenze soprannaturali de La baronessa
di Carini (RaiTrade), diretto da Umberto Marino. Le vicissitudini
di una Vittoria Puccini post-Rivombrosa - ancora in
costume e in zona Rebecca - germinano pagine dalla solida impostazione
depoca, ma è proprio nellintersecarsi dellaplomb
cortese con le perturbazioni del lessico suspense che il lavoro trova
i suoi più interessanti passaggi. Si registra anche unesposizione
importante alla lezione doltreoceano, in brani come The
Dinner and the Cave dove rifulge ad esempio il James Newton Howard
di Signs (ma anche lapripista del cd, Destiny, vibra
di un temperamento mutuato dalle pagine di Trevor Jones per Lultimo
dei Mohicani). Partecipano alla composizione Marcello Sirignano
(Valzer a Palermo) e, più estesamente, lorchestratore
Daniele Falangone, recentemente messosi in luce come autore del commento
per Ci sta un francese, un inglese e un napoletano.
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