|
Il film è tratto dal romanzo
"Il fasciocomunista" di Antonio Pennacchi, ambientato
negli anni 60 a Latina, città dal sapore fascista. Protagonisti
due fratelli, come spesso capita molto diversi fra loro ma in un certo
senso complementari: Accio, attaccabrighe e idealista, vuole a tutti
i costi farsi notare, mentre Manrico, il maggiore, carismatico e sicuro
di sé, si sforza di essere più protettivo ma in realtà
è distante (cè anche una sorella ma, come allora
capitava, piuttosto invisibile). Dallinizio siamo dalla parte
di Accio che, per affermare la sua esistenza, scappa di casa da piccolo,
si lascia tentare dal misticismo e poi dai due poli opposti del fascismo
- complice lamico più grande Mario - e del comunismo, in
cui il fratello era già implicato in modo radicale. I due ragazzi
si scontrano e si incontrano, metaforicamente e fisicamente, per tutto
il film, procedendo con gli anni fino ad un finale aperto, nel cui futuro
forse si delinea finalmente per Accio una riconciliazione con sé
stesso e con gli altri.
Daniele Luchetti gioca molto sulla fisicità degli attori, cui
si avvicina con la macchina da presa come non visto, ed assegna loro
molta libertà nello spazio regalando freschezza allinsieme.
Lo scopo non è tanto quello di rappresentare unepoca in
modo perfetto e paludato (obiettivo che sarebbe stato tra laltro
molto più costoso) ma semplicemente di farla immaginare, con
toni leggeri e ironici. Non ci sono sbavature, il racconto di quegli
anni è condotto con tenerezza e nostalgia verso un tempo perduto
in cui cera una maggiore ingenuità ma non mancava lenergia,
singola e collettiva, indipendentemente dal verso in cui veniva diretta.
Questo però, ammonisce il regista, non significa qualunquismo,
e se è vero che ognuno credeva di essere nel giusto, doveva pur
esserci da qualche parte lerrore
ed il regista fa ben capire
come la pensa, evidentemente come uno dei tanti "critici e
gente di cinema
" verso i quali inizialmente Accio rivolge
il suo scherno. Gli sceneggiatori sono gli stessi de la
Meglio gioventù Sandro Petraglia e Stefano Rulli, per cui
non si può non ritornare a quelle atmosfere; il 68 però
qui è simboleggiato da un piatto di tagliolini al brodo di mamma,
mangiati davanti alla televisione, e se non appaiono i grandi cortei
come si era pensato in un primo momento, la scena del concerto di Beethoven
"depoliticizzato" è rappresentativa degli entusiasmi
e di certe semplicità dellepoca. Sia la destra sia la sinistra
sono prese di mira nei propri tratti più grossolani, evitando
però il rischio di disegnare delle macchiette. Ecco così
venir fuori personaggi forti e credibili, a partire dal protagonista
Accio, che introdotto con intensità ed humour nelle scene iniziali
grazie alla vitalità del giovane Vittorio Emanuele Propizio,
viene poi assumendo dei tratti alternanti tra debolezza e durezza, con
la costante dell inquietudine che era poi una caratteristica dellItalia
di quegli anni, di cui il ragazzo diventa involontariamente simbolo.
E diventa finalmente adulto quando il suo idealismo lascia il posto
allazione, con il furto delle chiavi: maturazione che forse per
il suo paese non cè mai stata. Il personaggio di Manrico
invece rimane più monocorde e prevedibile, più che altro
aderente alla sua funzione di fratello maggiore che deve - o dovrebbe
- dare in qualche modo lesempio. Al centro del film, differentemente
che nel romanzo, è proprio il rapporto tra fratelli, in cui laffetto
mescolato alla rivalità, allinvidia, allimmancabile
divisione di ruoli, fanno "a pugni" tutto il tempo, affidando
ad una fisicità oggi dimenticata il compito di esprimere i sentimenti.
Apprezzabile la spontaneità dellintero cast, evidentemente
ben diretto: da Elio Germano, intenso, divertente e commovente, a Scamarcio
perfettamente a suo agio nel suo ruolo, a Zingaretti che, in un ruolo
non facile, riesce nella difficile impresa di farci compatire il "nemico".
Le musiche, che vanno da Nada a Little Tony, adottate in modo inconsueto
contribuiscono allintensità di alcune scene; non compare
la canzone di Rino Gaetano che dà il titolo al film perché
il regista non ha ritenuto insistere troppo sul tema.
|