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^ Avi Arad e
Stan Lee
Il comic book, il fumetto nell'accezione seriale americana, è
un ibrido narrativo che sta fra il telefilm (episodi chiusi, continuity
presente ma "leggera") e la soap-opera (finale a "cliffhanger",
molteplici trame personali incrociate, serialità infinita). Il
cinema conosce una serialità più complessa e solo "ad
evento" (vedi le varie "saghe", fra le più recenti
Guerre Stellari, Il
signore degli anelli, Harry Potter), e spesso, come nel caso
di Spider-Man, prende un solo episodio
del fumetto e lo utilizza per costruire gran parte dell'episodio cinematografico.
In Spider-Man (come in altri casi)
il primo atto del film è, senza dover necessariamente prendere
in considerazione seguenti riscritture del fumetto, il numero cinque
della testata "Amazing Fantasy", dell'Agosto del 1962, che
contiene la prima apparizione assoluta dell'Uomo Ragno sulla carta.
Se si considera che, per ora, la saga cinematografica di Peter Parker
è all'episodio uno, mentre quella a fumetti viaggia su numeri
a tre cifre e su testate multiple, la (fisiologica) sproporzione strutturale
fra i due mezzi è evidente. Il cinema dunque è costretto
ad un lavoro di sintesi, affinamento e stilizzazione, mescolando elementi
del fumetto con peculiarità dello spettacolo del grande schermo.
Spider-Man saccheggia dalla storia
di Stan Lee (autore del concept originale del fumetto) tutti gli elementi
narrativi forti: la profondità di caratterizzazione del protagonista,
la prospettiva adolescenziale, la dimensione del cattivo come "forzato
della metà oscura" - un personaggio che deve essere l'ombra
del protagonista anche se la sua storia personale non è perfettamente
costruita per esserlo. Questi elementi sono caricati poi dello specifico
cinematografico che si esprime con la spettacolarità di movimenti
di macchina e punti di vista e la creazione di una "sospensione
dell'incredulità" verso le impossibili azioni supereroiche,
mediante l'avvicinamento dell'immagine realistica ad una più
"piatta", a metà tra la carne, il cartoon e le CGI
- le immagini generate digitalmente. Questo processo di creazione di
una "nuova carne" ibrida è stato uno dei punti cruciali
che hanno portato al fallimento di molte operazioni di trasposizione
di fumetti in film. Ma con Spider-Man
(passando per l'esperienza di episodi produttivamente minori e per Batman,
il blockbuster seriale che si è mosso più coscientemente
in questa direzione) è diventato evidente come il perseguimento
del realismo assoluto dell'immagine attraverso l'uso di effetti speciali
(digitali o meno) "invisibili", cioè assolutamente
integrati con le riprese dal vero, non è necessario quanto la
creazione di un nuovo mondo "intermedio". Un mondo che, costruito
intorno a esseri umani in carne ed ossa, tolleri gli invalicabili (almeno
per ora) limiti dell'impossibile e li "sospenda" in modo convincente.
Così come è stato fatto, dal punto di vista dell'animazione
e in senso uguale e contrario (un mondo interamente simulato digitalmente
che si avvicini al massimo a quello reale), con Final
Fantasy. Dal punto di vista narrativo, anche la radicale problematica
di Peter Parker è colta dal film scegliendo la prospettiva e
lo stile del primo Spider-Man fumettistico. Questo Uomo Ragno è
avvolto da un alone naif nella rappresentazione che funzionava perfettamente
a contrasto con la - al contrario - articolata personalità del
personaggio. A differenza dei grandi eroi classici che costruivano il
loro inattaccabile super-io su un trauma infantile irrisolto che sfociava
in una psicosi giustizialista inizilamente mascherata da puro eroismo
(Batman) o erano addirittura alieni profughi indottrinati ai valori
nenache troppo sottilmente patriottici dell'America (Superman), Spider-Man
è il dolore scoperto ed universale di una perdita evitabile,
della mancata assunzione di responsabilità, della scelta sbagliata.
E contemporaneamente è il dolore di una "superresponsabilizzazione"
che attira gli affetti nella stessa area delle minacce: Spider-Man è
il "double-bind" (situazione in cui ogni scelta possibile
porta a conseguenze sbagliate o non desiderate) esemplare dell'eroe
moderno, che si barcamena fra scelte impossibili ed inevitabili perché
legate alla sua stessa essenza. La linearità chiassosa e chiara
della messa in scena di Sam Raimi ha lo stesso impatto del tratto stilizzato
e veloce ma immediato e fresco di Steve Ditko, il primo disegnatore
dell'Uomo Ragno. E' inoltre supportata dalla alta qualità narrativa
di una scrittura che riassume brillantemente le seminali intuizioni
di Stan Lee, mantenendo un piccolo tasso di "forzatura" (vedi
ad esempio il Goblin "forzato della metà oscura") rispetto
ai canoni di fluidità a cui la sceneggiatura di un film del genere
potrebbe aspirare. E' impossibile (e forse inutile) capire in che misura
questa "imperfezione" di scrittura sia una falla del progetto
o una sottile volontà: comunque a conti fatti avvicina con originalità
il racconto cinematografico allo spirito acerbo e innovativo del comic
book degli anni '60, all'epoca in piena sintonia col suo tempo, ora
testimone di imprescindibili intuizioni narrative su personaggi e azione
la cui efficacia rinnovata non ha perso forza e capacità di emozionare. |