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Final Fantasy:
The Spirits Within, USA / Giappone, 2001
di Hironobu Sakaguchi, Moto Sakakibara, animazione
Qual'è il senso ultimo di costruire l'estremo realismo nella
simulazione digitale invece che girare un film con attori in carne ed
ossa?
Devono esserselo chiesto con grande serietà i realizzatori di
Final Fantasy. Chiaramente non stiamo parlando di un'animazione
che riproduce perfettamente l'illusione di realtà, ma che comunque
ci si avvicina in modo impressionante: nella qualità del movimento,
nella ricerca dei dettagli, nel concept dei set e dei "comportamenti"
dell'ambiente, anche rispetto all'azione (esplosioni, fenomeni atmosferici,
eccetera). Quello che i registi Hironobu Sakaguchi e Motonori Sakakibara
e i loro collaboratori si sono risposti è nel titolo del film:
una "fantasia estrema", la costruzione di un mondo che, per
partito preso, non appartiene più alla sfera dell'animazione
classica e non è ancora la definitiva simulazione della realtà.
Con quello che sembra uno scavalcamento sbalorditivo delle regole del
marketig (che imporrebbero di trarre da un videogioco un film di successo
popolare), oppure una loro furbissima interpretazione, i filmakers si
impegnano a mettere in piedi una storia complessa e spesso oscura, che
narra di un mondo tanto radicalmente diverso dal nostro da avere riferimenti
sociali e culturali incomprensibili che, per scelta, non vengono realmente
spiegati. E a volte perfino nodi risolutivi della trama vengono raccontati
senza che lo spettatore riesca a capire a pieno cosa è successo.
A ciò va aggiunto che se da una parte l'attenzione al movimento
e al dettaglio è estrema, quella all'espressività dei
volti dei personaggi è paradossalmente ridottissima. Come se
gli animatori, non potendo mettere a frutto le regole espressive che
reggono i movimenti dei tratti somatici sopra le righe di un -ad esempio-
Shrek, non avessero nemmeno risolto il problema di come far risultare
l'emotività di volti comunque non ancora veramente umani. Questo,
che alla fine si traduce in una sostanziale legnosità delle psicologie,
unito al nebuloso discorso narrativo, rende sicuramente troppo ostico
il prodotto. Ma ad una fruizione più attenta l'insieme di tutti
questi elementi, affiancato all'enorme e raffinato lavoro di production
design, produce un effetto inaspettato e decisamente originale: Final
Fantasy, esperienza sospesa fra i due mondi a cui si ispira (animazione
e realtà), diventa il racconto di un universo cinematografico
originale e di profondo fascino perché si fonda su regole nuove,
la cui esplorazione è appena cominciata e si prospetta lunga
e interessante. In virtù di questo approccio, il film riesce
a far passare miracolosamente un discorso di fondo fatto di triti accenti
New Age, dandogli un senso tutto emotivo, privo di proclami e strettamente
legato all'essenza della messa in scena. Certo lo sforzo visivo e concettuale
di Final Fantasy non sarebbe potuto esistere senza pionieri dell'animazione
come l'Akira di Katsuhiro Otomo, ma qui l'evoluzione verso la
reinvenzione del genere è ancora più netta e sbalorditiva.
E visto il sostanziale flop del film negli Stati Uniti, cosa che non
permetterà probabilmente a questo sforzo vita facile o eredi
diretti, è possibile aspettarsi uno sfruttamento non "selvaggio",
più "ragionato" di questa nuova frontiera.
O, in alternativa, il suo abbandono, che lascerà i protagonisti
del film nel cratere del finale, ricettacolo impossibile, come è
Final Fantasy stesso, di essenziali spiriti terrestri e rabbiosi
fantasmi alieni.
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