di Luca Persiani |
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la
Compagnia dell'anello |
le Due torri il Ritorno del re |
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Lord of the rings:
the fellowship of the ring, Nuova Zelanda / Usa / Germania,
2001 di Peter Jackson, con Ian Holm, Ian McKellen, Christopher Lee, Elija Wood, Viggo Mortensen, Liv Tyler, Cate Blanchett, Orlando Bloom, Hugo Weaving Forgiare un anello è creare più di un semplice oggetto: è materializzare un simbolo. L'anello è il simbolo attivo ed emotivo dell'idea di potere: qualcosa con cui dominare, ma anche da cui essere dominati. L'anello si chiude intorno ad un dito possedendo il suo padrone, e spesso questo dito va spezzato per sfilare l'oggetto. Il signore degli anelli - La compagnia dell'anello racconta di nuovo la storia della necessità di distruggere il lato oscuro della forza, prima di esserne posseduti. E lo fa attingendo ancora più direttamente all'iconografia mitica pseudomedievale che sembra da sempre essere il mezzo più efficace per parlare dell'argomento. Il film di Peter Jackson non inventa nulla da un punto di vista visivo: ambienti, vestiti e perfino volti sono presi volutamente dalla più codificata tradizione fantasy. Ed è necessario che sia così, perche Il signore degli anelli cerca, nella sintesi del genere da cui parte, di dare senso al genere stesso. Sembra quasi che anni di immaginario Sword & Sorcery in tutte le salse, dai giochi di ruolo ai fumetti, dalla sterminata letteratura al cinema, dai videogame fino a tutta una parte della musica New Age, siano esistiti solo per puntellare e puntare a questa operazione cinematografica. Il signore degli anelli da senso più di tutti ai cappelli a punta, agli orchi, alle locande oscure, alla magia e, soprattutto, alla lotta e alla tensione insita in un mondo barbaro e raffinato nello stesso tempo. Con li suo progetto sterminato di tradurre sullo schermo un libro di mille pagine, Jackson si impegna a definire con credibilità la realtà di un mondo già esistente, cesellato fino allo sfinimento dall'ossessione tolkieniana di ricostruire con precisione perfino tutta la cronologia degli avvenimenti della terra che ha creato, impegnandosi in una fatica di storico dell'inesistente che non ha paragoni al mondo. La fonte letteraria diventa per Peter Jackson un anello personale: ricca sorgente di visioni, idee e storie, ma contemporaneamente prigione narrativa tanto dettagliata da impedire l'evasione, pena la perdita di efficacia del mondo raccontato. Jackson accetta la tensione della sfida e si svincola da questo pericolosissimo vicolo cieco, dando una lezione di messa in scena che è anche l'indicazione, come abbiamo detto, di qual'è la definitiva utilità espressiva e di quali direzioni prenderanno molte potenti visioni fino a questo momento spesso periferiche o relegate ad ambiti non cinematografici. Il regista, in poche parole, spinge in avanti la libertà d'uso degli effetti speciali, chiamati dalla necessità del racconto ad essere presenti in modo massiccio. Esemplare è l'introduzione del film, dove il racconto della nascita e delle prime lotte per il possesso dell'anello è prevalentemente uno scoperto susseguirsi di sequenze di animazione digitale, in cui non è raggiunto il massimo realismo dell'immagine ma è raggiunta la massima intensità e densità di racconto. Questa introduzione emozionante e complessa ricorda da vicino quelle di molti videogame fant-horror (uno - per quanto ormai datato - per tutti: Resident Evil), che fanno precedere la fase del gioco da un vero e proprio cortometraggio, spesso creato dalla digitalizzazione e ritocco di sequenze riprese dal vero, che puntualizza l'atmosfera dell'avventura. Ancora un percorso circolare, un anello dal cinema al videogioco al cinema con un valore aggiunto e una temperatura emotiva nuova e necessaria. Sempre dal mondo dell'animazione 3D per i videogame sembra uscire la sequenza della battaglia nelle miniere dei nani col mostruoso Balrog, che Jackson realizza con un rivoluzionario sistema di motion control della macchina da presa che gli consente di riprendere a mano (cosa che questo procedimento limitava in passato moltissimo) e con la massima libertà di movimento l'azione dei personaggi reali, nonché di integrarla poi agilmente con le finzioni digitali. Jackson ci proietta dentro un'azione "rifinita" da creature e dettagli in CGI come mai prima, restituendo alla sequenza una fisicità che sembrava quasi impossibile, subordinata alle esigenze e i limiti della tecnica anche nelle operazioni più sanguigne come il pur interessante l'Uomo senza ombra di Paul Verhoeven. Grazie alla nuova libertà della tecnica, Jackson può continuare, anche in una operazione così sterminata come Il signore degli anelli, a muovere la macchina da presa come fosse un personaggio. E a convincerci che quel personaggio siamo noi spettatori. Fa così un passo avanti la partecipazione allo spettacolo del Mito: ci viene richiesto di proiettarci quasi fisicamente nella narrazione, e il livello di coinvolgimento si alza notevolmente. Anche perché, naturalmente, Il signore degli anelli rimane di intenti purissimi quanto a struttura del racconto, utilizzo simbolico, echi archetipici e strategie spettacolari. Rimane precisissimo tanto nella direzione degli attori e nel delineare i rapporti tra personaggi, quanto nel creare immagini vivide e forti. E' ancora una storia di buio, di luce, di amicizia e di amore, sintetizzata nelle più efficaci forme epiche, antiche e moderne, che il cinema contemporaneo consente. |