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Highscores
Hairspray
Marc Shaiman, Scott Wittman, Decca Records
A dimostrazione ulteriore di quanto Adam Shankman la sappia lunga in
fatto di musical sia prova il suo affidarsi alle cure di Marc Shaiman
per la colonna sonora di Hairspray
tacendo della scelta di un cast più che indovinato e di
una regia calibratissima. Tra le voci più eclettiche dellattuale
panorama hollywoodiano, il musicista caro a Rob Reiner si conferma brillante
intenditore del genere, rielaborando per la versione cinematografia
del musical che lui stesso ricavò dalloriginale film di
John Waters un repertorio canoro davvero duro a morire. Una disinvolta
ribalta di verniciature rockabilly, funky-soul, jazz e Broadway-style
che incontrano con successo le occorrenze del pop contemporaneo, ribadendo
anche in partitura quel passaggio di consegne tra tradizione e teen-musical
già ravvisabile su schermo. Duettano così la neo-star
Nikki Blonsky e il totem John Travolta (in Welcome To The 60s)
mentre lidolo di "High School Musical" Zac Efron proclama
il suo amore per la protagonista (Without Love) e la malefica
Michelle Pfeiffer di Grease 2 trama per riavvicinarlo
alla snella figlia, tentando di corrompere uno sprovveduto Christopher
Walken (Big, Blonde & Beautiful Reprise)
chiamato esso stesso a sciogliere lugola in coppia con la moglie
Travolta (Youre Timeless To Me). E il carnet di esibizioni,
su cui la Blonsky domina per numero di interventi e talento, include
prestazioni di Queen Latifah, Elijah Kelley e Amanda Bynes.
Shaiman, anche paroliere insieme a Scott Wittman, corrobora il materiale
con melodie accattivanti e una cura dellarrangiamento sempre ideale,
dove non mancano i congeniti fremiti latino-americani che fanno dellacidula
versione pfeifferiana di (The Legend Of) Miss Baltimore Crabs
un ponte esclusivo con le due gemme orchestrali concepite dal compositore
per il dittico cinematografico de la Famiglia Addams.
La proclamazione del soundtrack a Disco dOro esalta un assioma:
con il musical, almeno in ambito discografico, è difficile sbagliare.
Ma lestrema longevità dascolto di questalbum
(già prevista unedizione speciale nei prossimi mesi) gli
garantiscono un punto in più nella classifica del rinato genere
da palcoscenico.
The Wind and the Lion
Jerry Goldsmith, Intrada
A tre anni dalla morte, nonostante linteresse delle più
impegnate etichette di settore, Jerry Goldsmith
non ha ancora goduto dellattenzione discografica che ci si aspettava.
Anche considerando lampiezza attuale del catalogo attuale, il
bilancio delle pubblicazioni postume pare ancora indegno. Un segnale
importante arriva dallIntrada di Douglass Fake, che assesta un
bel colpo con una riedizione a due dischi del classico Il vento e il
leone, diretto da John Milius prima di stringere la vigorosa alleanza
artistica con laltrettanto compianto Basil Poledouris. In più
di due ore di musica (divisa tra album originale e materiali inediti,
per un ascolto integrale dello score) si ripresenta in tutta la sua
monumentalità uno degli affreschi sinfonici del musicista losangelino,
punto di convergenza, nel 1975, della sua miglior narrativa orchestrale,
di un pathos romantico unico e di un afflato esotico seminale (da lui
stesso promosso a standard fino al lavoro inutilizzato per Timeline
di Donner, ultimo score vergato prima della scomparsa). Da annoverare
di diritto sulla cuspide del miglior decennio cinematografico goldsmithiano,
forse il più rappresentativo di un genio in seguito disilluso
e provato dalle costringenti meccaniche hollywoodiane. Unopera
irrinunciabile.
On Screen
Allinsegna della
franchezza dapproccio e della spigliatezza del trattamento orchestrale
che lo avevano già distinto in gli
Incredibili, Micheal Giacchino torna a collaborare con Brad Bird
e la Disney/Pixar sbrigliando un nuova, convincente partitura per Ratatouille.
Terreno dazione i francesismi jazz (che pare essersi imposto come
dogma musicale per i roditori cinematografici) e la chanson più
gustosa, espletata con debito lustro in Le Festin, su voce
glassata di Camille. Ma è ancora una promozione con riserva,
perché di nuovo il talentuoso musicista tradisce la mancata definizione
di una personalità esclusiva, finora rintracciabile soltanto
in "Lost". Forse laccoglienza in altri frangenti narrativi
aiuterebbe anche se allorizzonte si profila unulteriore
rivisitazione, quella trekkiana dellamico J.J.Abrams.
Lo
score di unImpresa da Dio (Varèse Sarabande/Audioglobe)
impone due constatazioni: il duttile John Debney sembra destinato al
mainstream di genere nonostante le elevate aspirazioni del suo commento
per la Passione gibsoniana
(un precedente tuttora isolato) e resta scelta preferenziale per plot
divini. Il tono beffardo con sprazzi elfmaniani della precedente
una Settimana da Dio struttura
nuovamente il contributo, ma qui fa la differenza un respiro lirico
culminante nel tema dellArca, in equilibrio tra misticismo a là
Miklós Rózsa, miglior epica horneriana e una ricorrente
propensione per la poetica silvestriana.
Fa a meno di Debney, invece, Robert Rodriguez, dividendo stavolta per
Planet Terror lormai istituzionale lavoro autonomo
sulle musiche con il solo mestiere di Graeme Revell. Tra omaggi allo
scoring di serie B da fantascienza anni50 e intavolature carpenteriane
emerge un lavoro vintage (anchesso edito da Varèse) in
grande aderenza con limmaginario del progetto Grindhouse,
su cui si insinua anche la voce delleroina Rose McGowan (interprete
di You Belong To Me, Useless Talent #32, Two
Against The World). Non demorde, inoltre, il killer sax
già innervante le cupe atmosfere urbane di Sin
City, a suo agio nelle connivenze elettroacustiche del soundtrack.
Ed inequivocabilmente elettroacustiche sono anche gli ambienti musicali
concepiti da Theo Teardo per il suo nuovo confronto con la materia cinematografica
in la Ragazza del lago di Andrea Molaioli ma
diametralmente opposte alle bizzarrie rodrigueziane. Si riconferma infatti,
dopo Lamico di famiglia, la propensione del musicista ad una pratica
sonora volta allastrattismo narrativo, alla concretezza dellelemento
sonoro in partitura e al conseguente procedimento straniante congenito
al radicalismo della manipolazione elettronica. Minimalismo e fissità
dei soundscapes si autoalimentano; archi e synth partecipano ad un gioco
di corrispondenze alternativamente conciliante e abrasivo. Tre dei 14
brani pubblicati da GDM fanno parte del precedente album dellartista,
Excellent Swimmer.
Off Screen
Dal
nutrito catalogo della Digitmovies spuntano tre titoli che fotografano
con precisione le passate scuole di scoring riservate a tre filoni dellexploitation
italiana, nonché il mestiere di altrettanti maestri del genere.
Ennio Morricone, nel 1969, proponeva per il giallo Senza sapere
niente di lei di Comencini uno dei suoi formulari più
routinari, con tema portante in forma-valzer e sporadiche variazioni;
senza dubbio un disco da completisti del compositore romano.
Altro registro invece per lo specialista horror Stelvio Cipriani, alle
prese in unOmbra nellombra (1979) con le
direttive prog dellallora vincente stile gobliniano (alle tastiere
Claudio Simonetti). Una fragranza sonora risaputa ma non del tutto datata,
grazie soprattutto ad un trattamento della palette percussiva particolarmente
inventivo.
Vera gemma della terna è però il ragguardevole trattamento
western di Carlo Rustichelli per Dio perdona
io no!
Nel 1967, non nuovo alla declinazione italiana del sound di frontiera,
il compositore carpigiano redigeva uno score di grande coscienza stilistica
e caratura orchestrale (nonostante lorganico presumibilmente ridotto),
conscio dei dettami morriconiani ma anche ricco di innesti personalissimi
e aperture al rigoglio sinfonico di marca hollywoodiana. E, nonostante
la presenza della coppia Bud Spencer/Terence Hill, ancora lontano dalla
virata burlesca elaborata da Franco Micalizzi per la svolta decisamente
comica del duo (Lo chiamavano Trinità).
25 fotogrammi
La
serie fantascientifica "Babylon 5" resta tra le poche costanti
della carriera audiovisiva dallex-Tangerine Dream Christopher
Franke, in proprio nellambito della musica applicata dopo labbandono
della formazione nel 1987. Fondatore indiscusso del suond della saga,
il suo approccio votato al netto sincretismo tra padronanza elettronica
e patina orchestrale ha caratterizzato un commento plastico e dilatato,
evidentemente orientato alla lezione impostata da Dennis McCarthy e
Jay Chattaway con "Star Trek: The Next Generation". Immutato
nella forma, lo score di "The Lost Tales", proposto dalla
Varèse in 28 estratti, affascinerà gli avvezzi al tratto
del compositore berlinese tanto quanto deluderà gli irriducibili
del trattamento science-fiction tipicamente descrittivo e sinfonicamente
orientato.
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