Jerry Goldsmith
Lo spazio è il limite
di Giuliano Tomassacci

 
 
Volgendo lo sguardo a un passato non troppo remoto, risulta impossibile non accorgersi di come negli ultimi quattro decenni del cinema statunitense (ma non solo) siano state le voci di Elmer Bernstein, John Williams e Jerry Goldsmith a guidare il coro della musica da film. Senza svalutare la fondamentale opera di nomi quali Jarre, Mancini, Rosenman, Schifrin e Moross (per citare solo alcuni di una folta schiera) o il fresco apporto delle recenti generazioni, spettano senza dubbio alla triade succitata i maggiori riconoscimenti per una continuativa e ammirabile dedizione allo sdoganamento e alla risurrezione della musica cinematografica durante i difficili anni’70 e ’80, attivando un interesse e un riscontro di pubblico per ‘l’arte negletta’ senza precedenti; le note per il grande schermo trovano così la loro strada, sempre meno timidamente, dal supporto ottico al mercato discografico, fino alle sale da concerto. Dietro una tale effetto si nascondono le doti degli artisti: nel caso di Jerry Goldsmith una comprensione filmica assoluta e ispiratrice, una vocazione alla sperimentazione unica e, soprattutto, una classe compositiva risultante in una versatilità infinita.

Cenni biografici
Figlio di un ingegnere strutturale e di una madre dedita all’arte, Jerrald K.Goldsmith nasce il 10 Febbraio del 1929 in quella Los Angeles che egli stesso definirà in seguito “il paradiso di tutti gli intellettuali europei sfuggiti alla guerra”. L’infanzia è presto impressionata dalla musica: a sei anni Goldsmith viene iscritto alle prime lezioni di pianoforte e, raggiunti i dodici, i genitori, convinti dall’impegno del figlio, lo affidano ai rinomati insegnamenti di Jacob Gimpel (l’amore maturato per lo strumento e la riconoscenza verso la dottrina elargitagli porteranno il cineasta, nel 1968, a richiedere l’interpretazione del maestro per i complessi interventi pianistici nello score di Planet of Apes). Ma l’appetito musicale del giovane Goldsmith si dimostra velocemente inadeguato al semplice apprendimento dello strumento solista e nel 1942 lo studente dichiara la sua propensione alla composizione. Gli studi di teoria, armonia e contrappunto culminano a sedici anni con le lezioni private di Mario Castelnuovo-Tedesco e di Ernst Krenick presso L.A. City College; due insegnanti dalla matrice diametralmente opposta e quindi fondamentali per la poliedrica formazione del futuro compositore. Il City College rappresenta una tappa fondamentale e di svolta per il cammino dell’artista statunitense. Oltre a operare nel dipartimento operistico, nella compagnia di danza e a considerare per la prima volta lo stimolante richiamo della musica da film - sicuramente alimentato anche dalle frequentazioni ai corsi specializzati di Miklós Rózsa all’Università del Sud California - Goldsmith fa esperienza come montatore di programmi radiofonici. Il primo passo verso lo show business è compiuto proprio in virtù di tale conoscenza: risale infatti al 1950 l’impiego presso le stazioni della CBS. Anche se inizialmente assunto come semplice impiegato dattilografo, Goldsmith riesce a dimostrare in pochi mesi la sua valenza ai dirigenti del dipartimento musicale, i quali, positivamente impressionati dal talento del compositore, lo assoldano per musicare vari programmi come il CBS Radio Workshop. Conseguenza diretta, nel 1955, è l’approdo alla televisione, per la quale Goldsmith sfodera i primi segnali di una adattabilità espressiva che gli garantirà buona parte del successivo consenso cinematografico. Passando dunque con agilità ed entusiasmo da un progetto all’altro, il compositore prende parte a serie come Playhouse 90, Climax!, Gunsmoke e The Twilight Zone (Goldsmith provvederà nel 1983 anche all’efficace partitura per l’omonimo film a episodi ispirato alla serie e diretto da Landis, Spielberg, Dante e Miller) lavorando ancora per la CBS fino al telefilm Thriller, musicato per la Revue Studios. Nel frattempo l’importantissimo obiettivo cinematografico è finalmente raggiunto con le musiche per il film Black Patch (Giustizia senza legge, di A.H.Miner) nel 1957. E’ una partenza in sordina che trova giusta risonanza solo cinque anni dopo con lo score di Lonely are the Brave (Solo sotto le stelle), atipico western diretto da David Miller al quale Goldsmith arriva grazie all’influente amicizia maturata con Alfred Newman. La carriera del compositore si snoda agilmente, collezionando in pochi anni consensi di critica quali Freud (1962, di J.Huston), Rio Conchos (1964, di G.Douglas ), A Patch of Blue (Incontro al Central Park, 1965, di G.Green) e The Blue Max (La Caduta delle Aquile, 1966, di J.Guillermin), dando modo a Goldsmith di imporsi già alla fine degli anni sessanta come uno dei nomi più apprezzati e richiesti, tanto da permettergli di lavorare, in un periodo storicamente difficile per la musica da film, anche con maggiore frequenza rispetto ai colleghi ‘pionieri’ ancora in vita. Già nel 1963 - con il film The Stripper (Donna d’estate) - il musicista ha inoltre fondato un’esclusiva collaborazione con il regista Franklin J. Schaffner, destinata a cementarsi nel corso degli anni attraverso sette lungometraggi capaci di elevare Goldsmith fino a ragguardevoli livelli d’ispirazione (è stato proprio il compositore, che tutt’oggi cita il film di Schaffner Island in the Strema-Isole nella corrente quale preferito di tutta una carriera, a evidenziare le composizioni per le pellicole del suo “migliore amico” come esemplificazione della “vera qualità” della sua musica). Altri importanti connubi hanno accresciuto l’impressionante curriculum artistico di Goldsmith, da Huston e Frankenheimer a Delbert Mann e J.L.Thompson fino a Crichton, Dante e Verhoeven, passando per le collaborazioni d’eccezione con Polanski e Wise.
Dopo aver toccato e personalmente accresciuto praticamente ogni genere cinematografico, dopo aver coscienziosamente regolato la delicata transizione tra classicismo sinfonico e modernariato elettronico durante gli anni ottanta e dopo aver consacrato il suo nome alle stelle apportando uno dei più significativi contributi al sound fantascientifico, Jerry Goldsmith, agli albori del nuovo millennio, non fa la storia del media bensì la leggenda. Attivissimo settantaquattrenne ancora validissimo nella definizione musicale - nonostante l’evidente assopimento creativo e il conseguente adagiamento nello sterile professionismo dei recenti anni - il compositore losangelino sembra dedicarsi, ormai dal 1987 e con interesse sempre maggiore, all’esecuzione concertistica del suo repertorio presso le hall americane e londinesi con gran soddisfazione della gremita schiera di appassionati e collezionisti - altro elemento per il quale Goldsmith ha rivoluzionato il modo d’intendere la propria arte. Padre del compositore Joel (anch’esso specializzato in musica da film) e di tre figlie, avuti con la prima moglie Sharon, più un altro maschio dal secondo matrimonio con Carol Heather Sheinkopf, il musicista - che ha sempre rifiutato l’appellativo di ‘film-composer’ - non ha mancato di esprimersi anche nel repertorio concertistico, convincendo con lavori come Christus Apollo per orchestra, coro, voce solista e narratore. Malgrado l’incredibile influsso esercitato sui colleghi delle nuove generazioni, molti dei quali effettivamente cresciuti con il linguaggio goldsmithiano come principale riferimento, il riscontro e l’interesse di critica, l’artista statunitense ha sempre dato l’impressione di non amare i riflettori, concedendo apparizioni solo strettamente legate all’ambito musicale e dimostrandosi - specialmente a inizio carriera - restio alla discussione dei propri lavori; una condotta in piena sintonia con quella dell’amico e mentore, nonché notevole fonte d’ispirazione, Alex North, conosciuto nel 1965 durante la lavorazione di The Agony and the Ecstasy. E proprio come accaduto per North, Goldsmith non ha mai ricevuto il giusto apprezzamento da parte dell’Academy. E’ infatti sempre più sorprendente che il musicista, nel 2003, vanti l’accredito di un solo premio Oscar (per The Omen - Il presagio, 1976, di R.Donner), su un totale di 17 nomination. Ma con un repertorio di circa centosettanta film al suo attivo (limitando il conteggio alle composizioni cinematografiche) Goldsmith ha ormai ampiamente dimostrato di essere al di sopra di qualsiasi riconoscimento e categorizzazione. Solo lo spazio è il limite.

Opere e forma
E’ stato scritto che “ogni minuto di ogni giorno un film o un programma televisivo accompagnato dalla musica di Jerry Goldsmith viene trasmesso da qualche parte nel mondo”. Nella sua esagerazione questo dato non fa che attestare con forza l’indiscutibile prolificità ed eclettismo del compositore oltrechè giustificare l’immensa difficoltà nel considerare l’operato del compositore nella sua interezza, senza incorrere in inevitabili approssimazioni e incompletezze. Fatto sta che Goldsmith ha scritto l’impossibile in tutte le forme possibili, senza per questo sacrificare uno stile personalissimo e avvincente. Ottima palestra devono essere sicuramente stati gli esordi radiofonici e televisivi per i quali, sotto massima pressione a causa delle limitanti scadenze, il musicista eseguiva personalmente buona parte delle proprie composizioni all’interno di piccole formazioni. L’attitudine per ensemble ridotti persiste durante i primissimi anni di esperienza cinematografica, giovando a pellicole intimiste come A Patch of Blue, dove l’approccio delicato e impressionistico offre il necessario dimensionamento al triste plot, a cui Goldsmith offre giustizia attraverso un semplice ma adeguatissimo tema. Altrettanto efficace la ristretta formazione strumentale adottata per le pagine di Seconds (Operazione Diabolica, 1966, di J.Frankenheimer); il film rappresenta uno delle prime prove di profonda comprensione filmica da parte del compositore, esemplificata dall’accostamento musicale asincrono al fotografico, basilarmente giocato sul dialogo tra pianoforte ed organo. Ma buona parte del futuro musicale di Goldsmith è destinato alla grandiosità sinfonica e già nello score per The Blue Max è possibile intravedere le potenziali cifre stilistiche che saranno i punti di forza della maturità goldsmithiana: dall’ampio e ambizioso motivo portante - simultaneamente associabile alle aspirazioni del giovane protagonista e all’essenza del volo, vero motore portante dell’opera - ai concitati, adrenalinici movimenti sincopati, marchi di fabbrica del cineasta americano.
L’elegante maturazione dei citati materiali melodici e ritmici saprà risplendere al meglio nelle considerevoli partiture redatte da Goldsmith per quello che tutt’oggi può essere considerato il genere a cui il compositore ha regalato il nettare del proprio talento: la fantascienza. Forse anche più dell’altro grande collega cantore della science-fiction John Williams, la predisposizione di Goldsmith per la drammaturgia oltre l’atmosfera terrestre ha permesso al cineasta di interagire con rara aderenza alle sfaccettature più diverse del genere, dall’ottimo accostamento alle saghe epiche di Star Trek ai sognanti, adolescenziali entusiasmi cosmici di Explorers (1985, di J.Dante) senza dimenticare gli angoscianti terrori di Alien (1979, di R.Scott). In questo senso - sebbene Goldsmith avesse già esplorato il genere con inquietanti dissonanze in Logan’s Run (La fuga di Logan, 1976, di M.Anderson) - il 1979 è un anno decisivo: Goldsmith mette mano alla prima installazione cinematografica del telefilm ideato da Roddenberry, creando per Star Trek:The Motion Picture di Wise un nuovo, celebrato tema in seguito riutilizzato per i nuovi episodi della Next Generation (il musicista tornerà in pianta stabile nella corrente trekkiana dieci anni dopo con le musiche per The Final Frontier di Shatner) e firma un capitolo fondamentale della musica da film con lo score di Alien, parafrasando l’intangibile minaccia del mostro e l’ossessionante isolamento dell’equipaggio del Nostromo con una scrittura innovatrice e densissima, spesso atonale, a tratti sospesa negli insostenibili cluster degli archi, altre volte raffreddata dalle lontananze dei corni, adeguatissima nel rendere l’inquietante ostilità delle sconosciute profondità siderali. Purtroppo l’elevato contributo del musicista fu indebolito dalle scelte di Scott di sostituire una considerevole parte dello score originale con estratti dalla Sinfonia Romantica di Hanson e brani dalla colonna composta dallo stesso Goldsmith per Freud. Nell’85 il regista avrà di nuovo la meglio sulle composizioni del musicista per Legend - che insieme a Lionheart rappresenta una delle migliori prove di Goldsmith nell’ambito fantasy - eliminate integralmente dalla versione distribuita negli States.
Negli anni novanta l’estro del compositore trova nuovi stimoli nelle regie di Paul Verhoeven: assicurato il giusto action-mood alla mascolina violenza di Total Recall (Atto di Forza, 1990), nel 1992 Goldsmith si insinua con finezza nelle torbide piaghe di Basic Instinct, accompagnando le traversie sessuali del duo protagonista con passione ma rifiutando qualsiasi concessione sentimentale.
Buona parte della capacità goldsmithiana dell’adattarsi con successo ai modelli cinematografici più diversi scaturisce senza dubbio dal personale processo di composizione, dal “semplice comprendere il film” al “reagirvi di conseguenza”, per usare le parole del musicista. Compreso un tale approccio, non risulterà così difficile motivare l’ampio intendimento della sua musica nei confronti del materiale umano. E’ così che una partitura come quella per First Blood (Rambo, 1982, di T.Kotcheff) sa amplificare le numerose scene d’azione con robusti ‘ostinato’ orchestrali ben strutturati, tipici del compositore, senza dimenticare di riflettere anche il penoso passato da cui il protagonista è tormentato, ed è così che il celebre tema di Papillon (1973, di F.J.Schaffner), evidenziato dalla fisarmonica e dal clavicembalo, è imbevuto nella sua forma valzer di tutta la nostalgia per una libertà negata ai reclusi nel penitenziario della Guyana ed è sempre così che il motivo marziale di Patton (Patton, Generale d’Acciaio, 1970, di Schaffner), ritrae il protagonista in tutta la sua presunta superiorità, sottolineando la sua eterna devozione all’arte della guerra attraverso le austere terzine delle trombe eseguite in effetto lontananza. Le musiche per Papillon e Patton invitano inoltre a una doverosa considerazione sull’esemplare coloritura strumentale nell’opera di Goldsmith. Da sempre interessato alla sperimentazione e incline all’avanguardia musicale, il musicista ha forse osato più di tutti nell’ambiente hollywoodiano nell’ambito dell’orchestrazione e dell’ impiego di musica dodecafonica. Massimo e inarrivabile frutto di tale propensione all’inventiva rimane la partitura per Planets of the Apes (Il Pianeta delle Scimmie, 1968, di Schaffner): su di un’intelaiatura seriale, il compositore imbastisce un affresco musicale contorto, dissonante e disturbante, inserendo nell’orchestra strumenti atipici - come il cuika brasiliano - ed altri appositamente costruiti per le evenienze narrative. Ugualmente, per lo score di Star Trek, si avvale di strumenti posticci come fogli di plexiglas strofinati tra loro. Anche nei generi apparentemente più costrittivi Goldsmith non ha paura di sperimentare e senza tradire lo spirito noir del film richiede per le musiche di Chinatown (1974, di R.Polanski) quattro pianoforti e altrettante arpe oltre ad una formazione di trombe e violini.
La recente attività goldsmithiana è stata purtroppo frenata da un notevole appiattimento compositivo, indubbiamente derivato anche dall’apparente calo d’interesse e di stimoli del compositore nel contemporaneo panorama cinematografico. Ma score come quelli per L.A. Confidential, The 13th Warrior (Il Tredicesimo Guerriero) e The Sum of all Fears (Al Vertice della Tensione) sono i fulgidi segnali di un talento solo assopito e ancora in grado, se adeguatamente stimolato, di soddisfare con il minimo sforzo.

Collaboratori
Arthur Morton, Alexander Courage, Mark Mckenzie (orchestratori), Lionel Newman (direttore d’orchestra)

Riconoscimenti (solo cinematografici)
Academy Award: The Omen, 1976
Saturn Award: Gremlins, 1985
Laurel Awards: Patton, 1970

Discografia relativa
(ricercatissimo dai collezionisti e molto considerato a livello discografico, Goldsmith è uno dei pochi compositori cinematografici ad aver visto pubblicare su Lp e Cd buona parte dei suoi lavori, senza considerare la numerosa lista di pubblicazioni bootleg in continua uscita. La lista che segue ha il solo intento di orientare verso le opere fondamentali):
Alien, original score - Silva Screen
Chinatown, original score - Varese Sarabande VSD 5677
A Patch of Blue,original score - Intrada MAF 7076
Planet of the Apes, original score - Varese Sarabande Fox Classics VSD 5848
Patton, nuova registrazione - Varese Sarabande VSD 5796
The Omen, original score - Varese Sarabande VSD 6288
L.A.Confidential, original score - Varese Sarabande VSD 5885
Frontiers, Goldsmith Sci-Fi Classics - Varese Sarabande 5871
Goldsmith conducts Goldsmith - Silva Screen Filmcd 336