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the Number 23
id., Usa, 2007
di Joel Schumacher, con Jim Carrey, Virginia Madsen, Danny Huston

Sax in the City
recensione di Ilario Pieri



Che Joel Schumacher non fosse questo fulmine di guerra lo si era capito ormai da tempo: a pochi giorni dall’uscita in sala di un nuovo episodio dedicato alle avventure di Spider Man, il pubblico e i fan del Cavaliere Oscuro ancora non gli perdonano una delle versioni più ridicole e abbozzate dell’intera serie, Batman e Robin. Va anche detto però come lo stesso sia riuscito a tirar fuori pellicole interessanti in ambiti differenti (è il caso di Tigerland, un Giorno di ordinaria follia e In linea con l’assassino); anche da un materiale insolito per la sua vena (il musical) ha ricavato con il Fantasma dell’opera una versione ambiziosa e francamente discutibile. Stessa sorte è capitata per questo thriller dalla tinte nerissime con debiti di formazione nei confronti di gran parte della letteratura e del cinema di genere. Basti pensare alla confezione tradotta in immagini fin troppo suggestive affidate ad un interprete forse ancora poco maturo per cavarsela in situazioni di questo tipo: Jim Carrey. La storia non sarebbe neanche male, con un incipt non lontano dalle linee fiabesche di un Lewis Carroll (qui il protagonista non rincorre un bian coniglio, semmai un mastino con il pelo dello stesso colore) rivisitato nel paese delle “meraviglie” di Richard Matheson o nel giardino segreto di Stephen King. Di libri misteriosi con personaggi confinati con la vita del lettore se ne conoscono a bizzeffe, ma mai come questo Number 23 dove lo stesso Carrey si troverà a vivere con un alter ego detective (Fingerling), sassofonista, dedito a schivare continue piogge di cadaveri. L’ossessione poi per numeri e calcoli era stata offerta con esisti ben diversi da Darren Aronofsky nel suo bel esordio Pgreco - Il teorema del delirio, meccanismo che faceva sprofondare il povero matematico nella pura follia alla ricerca del volto nascosto di Dio. In questo noir gli eventi tardano ad arrivare e il cineasta non riesce a gestire con equilibrio il curioso plot del debuttante sceneggiatore Philips; la regia perde di vista gli attori e (qui si) il film è in preda al vero caos. Carrey comincia a delirare ottenendo 23 come totale da qualsiasi cosa; la Madsen (sempre sensuale) nei panni della presunta dark lady non lo segue a dovere per non parlare di Danny Huston, né più né meno una goffa comparsa. Con molta probabilità il difetto più ricorrente è quello di sovraccaricare uno schema già di per se denso (tanto che anche il doppio colpo di scena non sortisce alcun effetto sul sonnacchioso spettatore). Finanche il prezioso lavoro di Matthew Libatique vira verso sfumature dall’aria pesante, con i colori accessi (rosso e nero) a dominare le intere inquadrature tra vaneggiamenti di peccati e colpe da scontare senza fingere di fare gli eroi con il pensiero rivolto all’unione familiare. E’ un vero peccato salutare l’ex Ace Ventura in un ruolo che ancora non aveva mai interpretato con questi toni (anche perché una seconda possibilità la meritano tutti) ma purtroppo in questo film i suoi isterismi matematici fanno proprio tombola.