Ciclici ricorsi Nella convinzione che il cinema di Robert Zemeckis abbia finora promosso a proprio cardine tematico il fattore tempo - nella sua totalità di accezioni significative e rappresentative, attraverso unelaborazione sensibilmente palesante la sua irreversibilità vettoriale al di là delle pretese possibilità manipolatorie - è quantomai utile affrontare Beowulf evidenziandone anzitutto il suo ruolo in coerenza ad un quadro temporale definibile non solo dalle dinamiche testuali interne allopera zemckisiana, ma anche dalla non trascurabile connotazione di una precisa frequenza filmografica. Se infatti è naturale parlare di corsi e ricorsi storici e di ciclicità narrativa tesa al rinnovamento guardando alle singole pellicole, è altrettanto possibile scandire il percorso artistico del regista usufruendo di un medesimo schema. Corsi e ricorsi strutturano essenzialmente le avventure scapestrate di Allinseguimento della pietra verde (dalla fantasia romanzesca alla romantica realtà), la trilogia di Ritorno al futuro così come le tappe vitali di Forrest Gump. La ciclicità degli eventi permette a Marty McFly di intercettare il fulmine che lo rimanderà al presente, a Gump di comprendere la vita, al naufrago di Cast Away di studiare i venti e guadagnare il rientro alla vita redenta. Il primo ciclo nella filmografia del regista statunitense è ravvisabile a metà degli anni 80, con Allinseguimento della pietra verde a demarcare uno sviluppo autoriale dopo i primi due lungometraggi, cui segue dal 1994 una terza maniera, conclusiva di un corso e compiutasi con Cast Away. Polar Express apre nel 2004 un nuovo ciclo, coincidendo peraltro con un rinnovamento estetico decisamente marcante un giro di boa che divide macroscopicamente lasse produttivo in due frangenti ben distinti. È inoltre, a giudicare dai generi e dalle tematiche, lavvio di un ricorso storico autoreferenziale. La pellicola natalizia in performance capture suggerisce un parallelismo non trascurabile con lesordio del 1978, 1964: allarme a New York arrivano i Beatles, nella misura in cui entrambi i viaggi portano due scettici protagonisti a credere nei rispettivi miti generazionali. A tre anni di distanza, in Beowulf ricorre lattrazione per il genere di maggior riscontro che stimolò nel 1984 Allinseguimento della pietra verde, variazione sul tema di Indiana Jones: il corrispettivo contemporaneo è il fantasy epico, che vede senza dubbio tra i principali riferimenti la saga de Il Signore degli Anelli del pupillo Peter Jackson. Lanomalia della seconda tappa storiografica Zemeckis sembra dunque proseguire nella revisione digitale del sua carriera saltando lesilarante parentesi de La fantastica sfida (1980): il genere del momento potrebbe esaurirsi a breve e la tempestività simpone dobbligo. Illazioni a parte, il trend del nuovo (ri)corso al futuro rinforza con Beowulf anche la sensazione di uno spostamento dapproccio rispetto al tempo storico. Allintervento di rimaneggiamento animato dal gusto adulterante tipico dellucronia immaginifica che caratterizza le passate ambientazioni, la proposta favolistica tratta da Chris Van Allsburg di Polar Express e ladattamento del più antico poema in lingua anglosassone di questultima fatica sostituiscono una sorta di riscrittura storiografica dellhumus letterario-culturale americano in chiave elettronica. Il confronto con Beowulf si presenta tuttaltro che agevole e la difficoltà di valutazione è proporzionale ai gradi di articolazione del testo. Zemeckis ha rispettato in pieno le intenzioni dichiarate a ridosso del primo, coloratissimo e fanciullesco esperimento con la tecnica del rendering digitale degli attori, promettendo una pellicola nera e buia come linferno. Il film licenziato è il più anomalo, ambiguo, efferato e crepuscolare che lartista abbia finora concepito, un annullamento dei freni inibitori che in pochi forse si sarebbero aspettati dal più populista e moderato autore dellentertainment hollywoodiano. Ancor meno poi nellambito di un filone dalla traguardazione di target così vasta ed eterogenea. Certo la sceneggiatura dellinedita coppia Roger Avary e Neil Gaiman ha avuto la sua incidenza nella gestazione di una parabola schietta e tagliente, quasi eccessivamente intenta a dichiarare le sua valenza metaforica. Il guerriero scandinavo Beowulf calca il suolo danese per sconfiggere la temuta e deforme creatura Grendel, succede al trono del Re Hrothgar (di nuovo la ciclicità dei ricorsi) dopo aver stretto un patto segreto con la vendicatrice madre della sua mostruosa vittima e infine perisce tra fama, vanagloria e dubbi sulla veridicità delle sue declamate gesta. La leggenda è in fin dei conti la summa degli archetipi mitologici, pregna di spunti morali e aperture filosofiche sul contrasto bene/male, lantesignana di tutte le allegorie sulla zona dombra umana. Ed è ancor più incentivata in questo senso dalla stesura "apocrifa" redatta da Gaiman e Avary, che riempiono le lacune narrative della prosa originale, e particolarmente predisposta ai temi nodali del cinema zemeckisiano: il viaggio e il ritorno, la restaurazione dellequilibrio, il doppio e la specularità, la ricerca della fede. Decisivo in questo frangente il motivo dellorgoglio messo in discussione, sviluppatore della tematica forse centrale al film, nella sua valenza demistificatrice del superomismo, inveterato al contesto sociale attuale tanto quanto al rispettivo cinema. Agli indomiti gladiatori, agli spartani valorosamente votati al martirio, Zemeckis contrappone una figura conscia della sua fallibilità fino allannichilimento autonomo, più che martire volontario una vittima prescelta di chi vuole crederlo al di sopra delle sue limitazioni umane. Una dicotomia, quella della vuota apparenza e dellinadeguatezza dellessere reale, su cui insiste anche laffascinante rappresentazione di Grendel (un ottimo Crispin Glover, che ritrova il regista dopo il freddo abbandono della trilogia di Ritorno al futuro a seguito di attriti produttivi): mastodontico e temibile prima di essere colpito al suo tallone dAchille, rattrappito e inerme dopo la sconfitta. Non ultima, la problematica della tentazione verso limmortalità - più volte emersa nella filmografia dellautore - guadagna di nuovo un posto rilevante dopo lesacerbazione grottesca de La morte ti fa bella, il lavoro che forse più collima con la filosofia sotterranea di Beowulf. Angelina Jolie tentatrice faustiana, come Isabella Rossellini, ma stavolta sopraffattrice e rivelatrice dellanomalia sicuramente più interessante rispetto alla narrativa finora presentata dal regista: la disfatta ultima del protagonista, che a differenza del chirurgo plastico Ernest Menville/Bruce Willis dimostra debolezza e accetta di perire sotto il peso della sembianza posticcia. Il finale sintetizza il peso di un fardello inevitabile oltre a differire drasticamente dalle precedenti chiose dellautore: non più un liberatorio punto di fuga verso lesterno, ma un costringente primo piano in freeze-frame dallineluttabilità truffauttiana. Parimenti anomala appare la dinamica di Beowulf, raro esempio di personaggio zemeckisiano il cui mandato è autoimposto e non conferito, suo malgrado, da una coincidenza di eventi allinterno dei quali viene a trovarsi investito di una missione. È qui che La fantastica sfida rientrerebbe dalla finestra, nella misura in cui lostinazione alla carriera politica di Rudy Russo/Kurt Russell fornirebbe il precedente di riferimento per un simile sbozzo di carattere (tra laltro convalidata dalla comune sfrontatezza dei due personaggi), se non fosse per lesclusivo processo di trasformazione in peggioramento del guerriero vichingo che dissipa laffinità tra i due. Ancora, nella pluralità di narratori interni preposti allavanzamento dellazione il testo si distacca sensibilmente dal tipico regime di racconto a singolo punto di vista. Ipotizzando, per altro, un narratore titolare inattendibile. Girare quadrimensionalmente Nessuna divergenza invece, in ambito rappresentativo, dalla scrittura registica iperdinamica sfoderata in Polar Express - fatto abbastanza prevedibile, data loppurtunità offerta dalla ripresa nella scatola - battezzata volume - di organizzare combinazioni di découpage praticamente illimitate e di sovvertire alcune limitazioni di campo imposte dalla tradizionale fotografia live-action. Nonostante una maggior misura rispetto al precedente discorso filmico, lentusiasmo di messa in quadro e il funambolismo del montaggio interno sanzionano ancora una volta come questa sia primariamente la causa scatenante di tanta tenacia verso lo sdoganamento della nuova frontiera digitale. Al di là del totale controllo estetico, il digital enhanced live action è per Zemeckis lespletarsi assoluto di necessità artistiche precise, culminanti nel dimensionamento di un profilmico concepito quadrimensionalmente (tempo incluso) in cui la propensione congenita ad un rapporto frontale con la quinta dello schermo trova sublimazione nel ricorso al 3D. Modalità di visione su cui il film è stato stavolta improntato sin dallinizio e che molti recensori doltreoceano hanno già raccomandato ai fini di una corretta fruizione del lungometraggio. Purtroppo, limpossibilità di usufruire di una tale versione obbliga ad una valutazione sicuramente parziale e incompleta. A farne maggiormente le spese potrebbero sostanzialmente essere due lunghe sequenze dazione, sistemate nel primo e nel secondo atto del film. Queste appaiono, ad una visione bidimensionale, innocue e a tratti gratuite, nonché esagerate e fuori posto rispetto alla maturità contenutistica del film - ripresentando altresì la problematica di un ritorno anacronistico al modus narrativo degli anni 80 che già zavorrava Polar Express. Liperrealismo del risultato favorisce comunque unassoluta oggettività irreale, stimolante e coinvolgente, che però non può esimersi da latenti richiami metadiscorsivi al virtuosismo del linguaggio. Ma la vera mediazione di troppo è ancora nella resa degli interpreti scansionati. È qui che non tutte le promesse sono state mantenute. Lautocritica dello stesso cineasta alleffetto straniante dei movimenti oculari riscontrati nel film natalizio aveva alimentato le maggiori aspettative. In parte disattese, considerando che, nonostante le effettive migliorie apportate, il problema sussiste, ostacolando un naturale atteggiamento didentificazione, già intralciato dallistintivo confronto con le sembianze dellattore responsabile della performance. Ed è indicativo come alla fine i personaggi meno ancorati fisicamente ai rispettivi referenti reali convincano maggiormente (Grendel e Beowulf su tutti), auspicando una prospettiva più favorevole allinsediamento del synthespian ibrido. Il futuro (non) è scritto Lelemento attoriale contribuisce insomma a tormentare strutturalmente un film tormentato già nelle sue tematiche. In questo, a dire il vero, risiede però buona parte del fascino perverso che la sanguigna avventura riesce a trasmettere in più di una occasione. Dallimpatto dunque non indifferente, pur con tutta la sua discutibilità, lultima opera di Zemeckis supera di una buona distanza Polar Express e convince, nellepoca delle certezze e delle comodità cinematografiche, soprattutto nel mettere alla prova e sotto sforzo un medium comunicativo ancora lontano dalla fine del rodaggio. Che non potrà certo concludersi con lo sforzo di un solo fautore. Lasciano ben sperare a tal proposito le medesime ambizioni di James Cameron, Peter Jackson, George Lucas e Robert Rodriguez, che insieme al regista di Chi ha incastrato Roger Rabbit? hanno ufficializzato le loro intenzioni di rilancio del 3D in occasione delledizione 2005 dello ShoWest di Las Vegas. Quel che è certo è che Zemeckis proseguirà per la sua strada. In quanto al prossimo ricorso, il progetto già annunciato, "A Christmas Carol" di Dickens, si colloca naturalmente dove nel 1985 si situò Ritorno al futuro. Di nuovo il viaggio nel tempo. Di nuovo attraverso un caposaldo letterario della tradizione anglosassone. Per di più con un cast in cui si rumoreggia la presenza di Michael J. Fox e Christopher Lloyd al fianco di Jim Carrey. Di nuovo in performance capture. Di nuovo unoccasione per verificare lo status quo di una rivoluzione: un faro che illumina il futuro o una candela che brucia dai due lati? |