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Con modi e sfumature differenti, modulate nel cuore di contesti altrettanto slegati, Laurent Cantet e Ken Loach illustrano con amarezza l'orlo di un baratro in cui la società sembra precipitare trascinandosi all'inferno la virtù e la rettitudine degli incolpevoli. Da una parte l'alienazione pseudo-schizofrenica di un borghese che perde il lavoro e, quasi compiacendosene, decide di inventarsi un'esistenza parallela per nascondere la sua disoccupazione alla propria famiglia mantenendo il suo status sociale. Dall'altra parte i Navigators dello Yorkshire, sulla scia di chissà quante altre categorie, combattono una sfida impari contro le conseguenze della privatizzazione delle ferrovie inglesi. Il Vincent di A tempo Pieno tenta l'unica carta a disposizione per attuare un rifiuto della costrizione in cui è rimasto intrappolato. Non disdegna il suo stile di vita e tenta di mantenerlo al di fuori di un'occupazione indigesta non disdegnando di truffare i propri amici coinvolgendoli in investimenti a fondo perduto di cui lui è in realtà l'unico beneficiario. Vincent si accorge di aver smarrito se stesso; lamentandosi con la moglie afferma di non trovare mai il tempo per fare il punto; ma soprattutto pretende, forse senza riuscire a chiarirselo con sufficiente eloquenza per poterlo comunicare agli altri, che un uomo non esista solo in funzione del posto che occupa, che un uomo non sia la propria professione.Tanto più che il suo lavoro di consulente è infettato da tutti quei termini che lo stesso Loach mette in ridicolo nel suo film: concetti come flessibilità, puttanate da curriculum vitae come ambizione, dinamismo, entusiasmo. Il mondo del lavoro ha disintegrato la concretezza dell'oggetto lavoro, annientato dai "quadri" in cui un soggetto viene inserito. E' il mondo delle riunioni, dei rapporti artificiosi tra colleghi. Un'astrattezza incombente sorvola sulla quotidianità, la guasta, si appropria del tempo, in cambio di un'essenza intangibile e artefatta. Il lavoro è un mezzo per sopravvivere e non per mantenere un'immagine di sé; questo il cruccio di Vincent, ciò che non riesce ad urlare perché soverchiato dall'obbligo, dalla responsabilità. Con abilità riesce a non venir meno ai suoi doveri e durante il suo breve periodo "sabbatico" alla sua famiglia non manca nulla, ma il sospetto di una montatura cresce nella moglie e nel figlio adolescente che lo stesso Vincent cerca di conquistare allungandogli una banconota.Vincent vede nel figlio Juliene la stessa intelaiatura conformista che ha sempre sorretto lui stesso e non riesce a pensare il rapporto in termini differenti che non quelli segnati dalla volgare materialità. L'approccio al rapporto umano del protagonista è troppo contaminato per pensare ad una ribellione totale; è questo il senso angoscioso della sconfitta narrato da Cantet. Vincent non è un uomo libero perché soffocato dall'oceano di aspettative che lo circondano. La sua insubordinazione ha il sapore conformista ma è l'unica attuabile. Non c'è spazio per una fuga. Il fantasma della predestinazione delle proprie vite ha un aspetto assolutamente concreto, tangibile. Vincent non è un mitomane tuttavia. E' consapevole dell'evanescenza della sua montatura ma è capace di godersene i soffi vitali. A conti fatti passa da una trappola all'altra, ma in quest'ultima oltre che essere il perpetuo spettatore di sempre, o l'inconsapevole e inattivo attore è anche uno sceneggiatore che disegna un personaggio e cerca di agguantarlo, studiandolo, seguendone le orme, braccandolo come un miraggio. Non rifiuta la sua casa borghese, i suoi agi ma non tollera di alimentare i vincoli per mantenere tale status, e segue la via più radicale tra quelle possibili. Non lesina ad ingannare i suoi amici, così come Paul, Mick e gli altri finiscono per confermare una menzogna, per sciacallare sulla pelle del loro amico. Ma l'istinto di sopravvivenza così accentuato testimonia del regresso irreversibile in atto. I due film si concludono con due tragedie, di segno opposto ma di eguale, cinico tracollo. Negli occhi di Vincent si legge la rassegnazione di chi si avvia ad un lento suicidio, di chi va incontro alla predestinazione,alla schiavitù avendola già sperimentata. Il consulente ritorna nei ranghi. Al fallimento di ciò che egli aveva costruito fino all'istante in cui aveva, di buon grado, subito il licenziamento si aggiunge la disfatta del suo rigurgito d'orgoglio. Vincent esisterà perché lavorerà. Questo è il dettame del mondo che lo ha ingurgitato. Quindi non esisterà, forse mai più. Ma i suoi inganni, le sue bugie, le sue truffe rimarranno indelebili nella memoria della sua famiglia. La linea conformista che lega le tre generazioni: padre - Vincent - Juliene continuerà a perdurare, ma sarà il protagonista a conservare l'onta di chi ha osato provare a realizzarsi sfidando la predestinazione. Da un'ottica diversa Loach, di nuovo, riflette sui conflitti interiori e sulle conseguenze nei rapporti umani che scaturiscono dalle circostanze economiche. Sono quest'ultime che orientano i comportamenti. Ma i suoi navigators hanno problemi opposti a quelli di Vincent, che, se volesse, potrebbe farsi assumere da chiunque in virtù della suo curriculum, ma non vuole. Gli operai inglesi sono piuttosto stretti nella morsa altrettanto straziante di una prospettiva futura non più sorretta da tutti i punti fermi che in tanti anni i workers sono riusciti ad ottenere. Per sfuggirgli devono calarsi nello spietato ingranaggio del lavoro interinale, che non garantisce né salario fisso, né assistenza sanitaria, né garanzia alcuna. Loach gira il coltello nella piaga e ci congeda dai suoi antieroi proletari inquinandone la dignità e la stima. Lo scollamento tra chi gestisce il mondo del lavoro e chi ne usufruisce sembra incolmabile e genera piccoli vampiri che suscitano pena e solidarietà. Loach e Cantet, finalmente, iniziano umilmente a togliere gli stracci dagli specchi e l'immagine distorta che restituiscono è un monito; quello antico ma sempre valido del sonno della ragione. Non rimane che un annuncio a cui rispondere: Cercasi nuovi mostri da inserire nei quadri della società. Possibilità di carriera. |