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La lucidità
istintiva di Luca Persiani Dopo un piccolo fiume di comparse ben disposte, anche Spider scende dal treno in una grigia stazione inglese. Il suo disorientamento eccesivo e doloroso è precipitato nella forma fisica di Ralph Fiennes, che è l'incarnazione istintiva di un personaggio contorto e insieme fin troppo semplice. Da questo momento preciso, cioè dalla prima sequenza del film, la messa in scena di David Cronenberg esige il completo coinvolgimento dello spettatore, che terrà in bilico costante su una linea pericolosamente sottilissima. Per questo melodramma psicologico, Cronenberg fa una scelta narrativa basata sulla fredezza di uno script rigoroso e distante, ma anche sul tentativo di coinvolgere lo spettatore completamente, attraverso i corpi (quello di Fiennes in primis) e un linguaggio delle immagini di cui il regista canadese sembra aver raggiunto una coscienza e un controllo pressoché perfetto. Come in M Butterfly, la rutilante visionarietà di Cronenberg è piegata al servizio di una storia che vuole una messa in scena molto controllata. Spider non è certo diretto e intenso come M Butterfly, ma si autoimpone la stessa linearità di regia. Come in Videodrome, il racconto richiede molto più che una linea narrativa comprensibile per essere credibile: ha bisogno della forza di una messa in scena che da sola ipnotizzi e sospenda l'incredulità dello spettatore, altrimenti perso in un gorgo di inspiegabilità senza fondo. Spider non è certo oscuro e impenetrabile come Videodrome, ma sfrutta lo stesso meccanismo affabulante, la stessa difficile sfida di avvincere attraverso i ritmi e i corpi. Siamo nella mente di Spider attraverso il suo corpo, appena entra in scena, appena scende dal treno, per uno strano contrasto abbagliante con gli altri viaggiatori "sani". Una scelta estrema, che rischia ti tagliare fuori lo spettatore senza dargli il tempo di affezionarsi a personaggio e storia. Una scelta che ricorda quella produttivamente ed espressivamente opposta, ma ugualmente rischiosa, di Panic Room, il thriller di David Fincher che traghetta definitivamente nella contemporaneità il pop-corn movie d'autore riducendo all'osso gli elementi di credibilità della narrazione a favore di una messa in scena affilatissima . Tutti due film in cui, da subito, o sei dentro o sei fuori. Spider non fa altro che mantenerci in una scomoda ma affascinate posizione anfibia contemporaneamente all'interno e all'esterno della mente del protagonista, accumulando inesorabilmente ricordi, inventando punti di vista e sogni raggelati e composti con poche pennellate precise: vediamo il mondo attraverso gli occhi di uno squilibrato, e del suo squilibrio siamo subito consci. Ma accettiamo lo squilibrato come narratore plausibile. La macchina da presa di Cronenberg si serve sorprendentemente di deformazioni non fisiche, ma ottiche: l'uso del grand'angolo sui primi piani è di una efficacia e di un controllo esemplari, forte di un utilizzo espressivo di una semplcità disarmante, ma che risuona di un valore nuovo. Non siamo infatti dalle parti espressioniste della semplice evocazione di un'atmosfera malata mediante la distorsione dello spazio e dei corpi. Le immagini, come gli occhi di una mosca, ci ravvicinano ai volti per godere del calore della follia dei personaggi, e ci tengono contemporaneamente e sottilmente a distanza ricordandoci di essere racconto, e non realtà. I balbettii di Spider nascondono paradossalmente un punto di vista mentale (l'evocazione dei ricordi dell'uomo) che è apparentemente cristallino nel racconto. Spider partecipa alla rievocazione del suo passato, rappresentandosi nello spazio diegetico contemporaneamente bambino-attore e adulto-osservatore. E'uno sforzo brechtiano, un'operazione fatta con una coscienza istintiva, con il rigore e l'intensità di una psicoterapia cognitiva che spinge il paziente a vivere le emozioni e ad analizzarle contemporaneamente con lucidità. In questo senso, siamo difronte ad un esperienza cinematografica e ad una elaborazione linguistica che ha visto molti tentativi (da Wong Kar Wai a Todd Haynes, per citarne solo un paio) ma non ha eguali nella recente storia del cinema. Spider non è (solo) la troppo lineare messa in scena di un percorso di rievocazione, su basi psicoanalitiche, della follia di un uomo. Piuttosto è il salto in un cinema in cui la tensione e l'inquietudine derivano dal contrasto tra una lucidità che è coscienza competa di sé, dei propri mezzi di messa in scena e della storia narrata, e il sentimento istintivo e acuto provocato dalla distorsione sotterranea della realtà filtrata attraverso la tela della malattia, fatta di corde tese e ben in vista nella stanza, per le scale e fino alla cucina. Ma la cui razionale geometria nasconde un tragico ed ingenuo progetto di morte. Spider nella memoria di Adriano Marenco Le mani gialle e spaccate sotto il peso di centomila cicche arrotolate. Santa Madonna Puttana Mamma Coi denti gialli e marci. Neri. I capelli gialli e sfilacciati, due tette mosce fino alle ginocchia a mettere in ginocchio lanima del ragnobimbo, e bottiglie e bottiglie e andatura da sexy sirena in avaria. La memoria sporca e quella da cartolina. Mamma vestita da madonnina bluette coi cappelli da pubblicità di un dado. Mamma contro un muro a mettere in ginocchio lanima del ragnobimbo. Mamma morta sotto i cavolfiori sotto lorto e la baracca. Uccisa dalla bestia e dalla baldracca. Mentre Il gazometro Respira Come un animale Pronto a saltare Pronto a far ricordare Mentre il fiume scivola Davanti alle scopate Buttate là contro un muro Nero di fuliggine La tela dei ricordi annoda Spago E vetro rotto Annoda La pazzia dolce Ho conosciuto sophialoren unafrancese con tre tette e la pazzia dolore col sapore di gas e alcool putrido Annoda I geroglifici e le parole biascicate. Spezzate nel labirinto della bocca. Annoda Gas e Puttane Annoda Madonne e Alcool Annoda Baracche e Muri incrostati Scioglie luomo spider nel bambino spider nellauto verso dove eravamo prima. |