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id., Canada / Usa,
1983 di David Cronenberg, con James Woods, Sonja Smiths, Debbie Harry, Jack Creley Il malessere sociale, le paure di una civiltà sono stati tra i temi prediletti di tanto cinema e sono stati metaforizzati spesso nella lotta contro l'Altro; un Altro incarnato nelle figure di zombie o vampiri, quindi un male esterno trasmissibile, contagioso, da cui difendersi fino all'estremo, per sopravvivere, per salvaguardare il proprio corpo, ovvero la propria umanità... Cosa succede se il Male è interno, se non si può contrarre, perché è come un germe congenito, un virus innato che aspetta il momento giusto per conclamarsi? Questo male non si può combattere, se non distruggendo il proprio corpo, dando vita alla nuova carne. Non c'è più nessuna umanità da difendere. Max Renn (James Woods) mette una mano nel proprio ventre e ne tira fuori una pistola. Ecco il post-umano, anche se ci si domanda se l'umano sia mai esistito e se non sia da considerarsi post-umana la vita che si conduce quotidianamente nel posto di lavoro o in famiglia. Il corpo dilaniato si trasforma, si apre a nuove e più evolute dimensioni; il cervello apprende inedite nozioni e produce un sovrappiù di carne, un tumore. Il male non è semplicemente sopito dentro di noi, non occupa illegalmente il nostro corpo, è indissociabile da noi. La pistola che James Woods estrae dal proprio ventre fa parte del suo corpo, è una sua diramazione, tanto è vero che nelle sequenze successive la pistola si fonde con la sua mano: una sorta di propaggini simili a radici escono dall'arma e si immettono nella sua carne-terra, affondando sempre più come alla ricerca del nutrimento. Il corpo e il metallo si fondono ricreando esternamente quello che già esisteva nascosto internamente. Il corpo ha in sé la linfa, la vita, e la sua distruzione. Gli strumenti dell'autodistruzione sono creati e alimentati da noi stessi: questo è il compito della pistola che si fonde con la mano e questo è il compito del tumore, altra propaggine, creata e alimentata dal cervello. |