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id.,
Usa, 2002 di David Fincher, con
Jodie Foster, Kristen Stewart, Forest Whitaker, Dwight Yoakam, Jared
Leto
Rules
Nella città c'è una appartamento a più piani. All'ultimo
piano c'è una stanza. Nella stanza c'è un'altra stanza.
Ma questa è senza finestre ed ha una porta blindata.
Quando la porta si chiude è la stanza più sicura della
casa. E anche la trappola più efficace.
Nella città c'è un vecchio misantropo paranoico. L'uomo
muore, parte dell'eredità è nascosta nella stanza blindata.
Uno dei suoi figli, Junior, vuole il tesoro nascosto tutto per se.
Nella città arriva Meg, una donna divorziata da poco, con una
figlia, Sarah. La donna e la ragazza prendono l'appartamento con la
stanza blindata.
Il figlio del misantropo si organizza per scassinare la stanza con due
complici - un povero spostato, Raoul, e un padre di famiglia schiacciato
dall'obbligo degli alimenti, Burnham. Ma la casa non è vuota.
La donna e la figlia sentono entrare i ladri in piena notte, e si rifugiano
nella stanza. Il figlio del misantropo cerca di stanare le due donne
dal nascondiglio del denaro.
Room
Panic Room racconta di una casa, delle sue stanze e della loro
inutilità. Abitata da un vecchio solo ossessionato dalla sua
ricchezza, l'enorme casa che Meg acquista è svuotata di senso
ancor prima di essere svuotata della vita del proprietario. Quando Meg
e Sarah prendono possesso dell'appartamento, trovano una casa spoglia
da molto tempo, già da quando ancora era abitata. Addirittura
priva di echi, che non vibrano sulle troppe, inutili pareti spoglie,
la casa non è un'abitazione, ma un rifugio per un nucleo disintegrato.
La sua grandezza, la sua bellezza e il suo status di dimora privilegiata
non sono più un comfort, ma una minaccia. Una minaccia perché,
paradossalmente, è una dimora senza segreti che vive dell'austerità
spersonalizzata della mancanza di affetto. E David Fincher sottolinea
da subito questo aspetto con un magistrale piano sequenza "ibrido",
realizzato con massiccio impiego di animazione digitale, in cui osserviamo
dall'interno i tre ladri cercare di penetrare l'appartamento privo di
mobili. È una casa scheletro fatta di lavandini, infissi, finestre,
pareti bianche, viti, maniglie, toppe per chiavi, scale. E niente altro.
Una gabbia da occupare o scassinare. La conosciamo bene tutta, subito.
Non c'è mistero nei suoi anditi. È un puro luogo di tensione
scarsamente illuminato che non deve svelare nulla. Non ha fantasmi da
regalarci, ma la fredezza concreta e nichilista di una struttura priva
di calore. In un aspro focolare dalla temperatura polare, Meg e Sarah
si ritrovano a combattere contro la minaccia di tre uomini sempre più
squilibrati e spaventosi, nel punto più isolato di un luogo ancora
privo di intimità al quale affidano il sentimento di casa. Non
c'è nulla di sicuro al mondo. Quello che dovrebbe esserlo di
più è una stanza che catalizza in modo perverso l'attenzione
ed è responsabile insieme di morte e sopravvivenza di una madre
e di diversi figli e padri.
Panic
Al centro della città, dunque. In una casa grande e "confortevole".
In lotta per la sopravvivenza. Non più guerriglia urbana, ma
letteralmente sopravvivenza casalinga. Squilibrati dalla variabile impazzita
Raoul e accomunati dal tema di padri/mariti che hanno fatto le scelte
sbagliate o comunque dolorose, Meg, Sarah, Burnham e Junior si dibattono
fuori e dentro la panic room, dandosi il cambio, giocando a rimpiattino,
rilanciandosi le regole quando i rapporti di forza mutano improvvisamente.
Sin dall'inizio sono costretti a improvvisare, ad usare la casa come
un laboratorio, forzandone i presupposti sotto tensione. I padri, chiamati
a rapporto, ridono dalla tomba, sono massacrati da un pazzo, tentano
il tutto per tutto per portare a casa milioni di dollari. Ma non serve
a nulla, o meglio serve a tutto: la famiglia è la parodia thriller
di un melodramma, dove nessuno vuole o ha il tempo per pensare al dolore
o a chi lo ha generato, perché deve viverlo. Oppure muore.
Panic Room getta nel panico il melodramma, infilandolo impossibilmente
sotto la porta blindata del kammerspiel tensivo di puro intrattenimento,
accumulando furiosamente buio e violenza. Tanto che la tensione monta
in sovrappiù e alla fine si alza ancora forte sulla penultima
inquadratura, un primo piano intensissimo di Jodie Foster, illuminato
quasi solo dalla carica dell'orchestra pesante e precisa di Howard Shore.
La storia è finita, ma sembra che ancora debba accadere tutto,
che tutto ci si possa aspettare. Non succede più nulla, e questo
ritorno di tensione è una risacca emozionale che mette un punto,
uno svolazzo linguistico beffardo, una firma d'autore in calce, discreta
e possente. Un autore al servizio di un progetto che rimane macchina
ipnotica per platee anche quando si permette parentesi personali.
La storia è finita, ma non il film.
Last Shot
L'ultima inquadratura di Panic Room è un minuscolo piano
sequenza in dilatazione prospettica (procedimento ottenuto tramite un
movimento di macchina combinato ad uno zoom ottico, per il quale il
soggetto in primo piano rimane pressoché fisso mentre lo sfondo
sembra allontanarsi), citazione diretta di una inquadratura costruita
similmente ne Lo squalo di Steven Spielberg (sull'epressione
sconcertata del guardiacosta Martin Brody sulla spiaggia, testimone
oculare di un attacco in acqua), film di cui Fincher si professa apertamente
fan. Meg e Sarah sono su una panchina di un parco, rilassate nella luce
calda del pomeriggio. Cercano casa. Nessuno, dopo la caccia ad uno squalo
bianco di sette metri che ha distrutto una barca e mangiato vivo uno
dei vostri compagni, si sognerebbe di tornare in mare per la stessa
avventura.
Ma Meg e Sarah si. Perché non possono non cercare casa. E se
la luce e la posizione delle due donne ci dicono una cosa, la mdp ce
ne dice un'altra. Ci dice che il gioco non è finito, la tensione
non è passata. Ci dice che lei stessa (la mdp) può lavorare
contro alcuni degli elementi primari della messa in scena, almeno altrettanto
bene di quanto ha lavorato, per tutto il film, a loro favore. Fincher
si ritaglia un ultimo, concentrato momento di straniante panico sotterraneo,
di coscienza scomoda dello spettatore che deve essere tenuto sulle spine,
in perfetto stile hitchcockiano, anche e soprattutto quando i personaggi
della storia si rilassano ignari. Un sintetico riassunto visivo del
discorso, una promessa per un futuro di tensione, un movimento emotivo
da portarsi a casa e scartare poco a poco.
Pushing into panic
La calcolata necessità di Panic Room di catturare il pubblico
è spinta fino ad un limite rischiosissimo. Lo spettatore è
costretto ad entrare subito nel film, pena l'esclusione per l'intera
durata della storia. Come insegna qualsiasi manuale di narrazione popolare,
se non vieni coinvolto subito, cominci a farti una serie di inutili
domande, soprattutto su una situazione talmente liminare e sopra le
righe come quella del film di Fincher. Attegiamento che ti chiude subito
fuori casa. E se non entri, tutto quello che puoi far è guardare
dalla finestra, con una gamba ingessata. Ma la tua finestra non dà
su un cortile e tu non hai un teleobiettivo. Fincher e i suoi collaboratori
rischiano il tutto per tutto spingendoci subito a mettere piede emotivamente
nella panic room, prima che lo facciano concretamente gli stessi protagonsiti.
Ci chiede un salto definitivo, una fiducia immediata, un abbandono che
si concede solo al proprio pusher di intrattenimento di fiducia. E poi
chiude la porta blindata fino al termine della proiezione. Certo qualcuno
rimane fuori (pochi, a giudicare dai record di incassi) e si perde il
divertimento, ma è il destino dei progetti che tendono ad una
fruizione puramente ipnotica. Progetti che, in ogni caso, sono la punteggiatura
dell'evoluzione del gusto e del linguaggio del mezzo cinematografico.
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