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Michael Clayton
Id., Usa, 2007
di Tony Gilroy, con George Clooney, Sidney Pollack, Tilda Swinton, Tom Wilkinson

La (de)costruzione della verità
recensione di Alessandro Gambino



Michael Clayton è un “faccendiere” che lavora presso uno dei più importanti studi legali di New York. Prendendo ordini dal co-fondatore dello studio Marty Bach, Clayton, ex-pubblico ministero nato in una famiglia di poliziotti, sbriga gli affari più sporchi dello studio Kenner, Bach e Leeden cercando di rimediare ai guai commessi dai suoi facoltosi clienti. Pur essendo stufo del suo lavoro, Clayton è legato a doppio filo ai titolari dello studio perché il divorzio, la passione per il gioco d’azzardo e un’avventura imprenditoriale finita male gli hanno fatto accumulare una montagna di debiti. Al contempo Karen Crowder, capo dell’ufficio legale della U/North, società che opera nel settore dei prodotti chimici per l’agricoltura, si sta giocando la carriera sull’esito di una “class action” nella quale la sua società viene difesa dallo studio di Clayton. Quando l’esito del processo appare scontato, il brillante Arthur Edens, avvocato civilista di punta della Kenner, Bach e Leeden, ha un crollo psicologico che lo porta a sabotare l’intera causa minacciando di ribaltarne l’esito. A quel punto toccherà a Michael Clayton tentare di risolvere un disastro senza precedenti e nel farlo sarà costretto a fare i conti con ciò che è diventato.
A scorrere i credits prima di avere visto il film, la speranza di ritrovarsi in quei meravigliosi interstizi fra grande cinema e intrattenimento di qualità si mescola con il timore di assistere all’ennesima riproposizione di un marchio produttivo, stilistico, autoriale e tematico che ormai produce nello spettatore la fastidiosissima sensazione di déjà vu. Il film di esordio dietro la macchina da presa di Tony Gilroy, uno degli sceneggiatori più in voga nel cinema hollywoodiano (l’Avvocato del diavolo, the Bourne Identity e the Bourne Supremacy), prodotto da Sidney Pollack, con Steven Soderbergh e George Clooney in veste di executives, smentisce (anche se non del tutto) i timori, conferma la speranza e va addirittura oltre. Michael Clayton è sì modellato sul genere del legal thriller che riunisce film come il Socio (Sydney Pollack) ed Erin Brockovich (Steven Soderbergh). Ma non si limita affatto a quello e scava vorticosamente in profondità. A partire dalla sequenza iniziale: sguardo teso e frantumato nei dettagli di un mondo decostruito, seguito dalla voce fuoricampo che getta la prima tessera di un puzzle che si rivelerà, tuttavia, molto meno complesso di quanto ci si potesse aspettare. Attenzione: soltanto a livello diegetico. È nel sottotesto politico e nella dimensione autoriflessiva del testo che si dispiega la complessità del senso. Michael Clayton-personaggio è la tematizzazione diegetica di Michael Clayton-film, sineddoche, a sua volta, di buona parte del cinema americano che è prima di tutto sguardo sul mondo per il mondo, visione prodotta dai regnanti e destinata alle province dell’Impero. Spieghiamo meglio. Il protagonista, interpretato da George Clooney, che “costruisce” la verità per difendere gli interessi di clienti facoltosi, salvo poi entrare in crisi di coscienza davanti alla verità vera e redimersi, è metafora di quel cinema americano che, tutto sommato, continua a veicolare nel mondo significati imposti, visioni politiche del mondo costruite a tavolino; fino a quando non entra in crisi e si trasforma in cinema di denuncia che, in realtà, poco denuncia, perché la denuncia all’interno della società dello spettacolo, debordianamente intesa, è inutile e inefficace. Il finale falsamente consolatorio diventa allora estremamente significativo in questa prospettiva, perché è l’affermazione dell’impossibilità di un altro cinema politico che non sia quello previsto e tollerato dentro i confini dell’entertainment. Su un gradino più in alto: chi se non gli Stati Uniti d’America sono i narratori, i cantori della nuova epica oltre la postmodernità, gli autori della grande narrazione “costruita” intorno alla lotta fra Bene (l’Occidente democratico e liberale) e Male (l’Islam come nuovo nazi-fascismo) che di tanto in tanto si redime e cambia rotta? Vertigine dello sguardo, mise en abîme del senso, così come Syriana e Babel furono le dichiarazioni di morte definitiva dello sguardo e del senso unitario, Michael Clayton si configura come una lucida e sofisticata cartina di tornasole che fa esplodere la cattiva coscienza dell’Impero e evidenzia come l’unica verità possibile sia la verità della rappresentazione. Il fatto che George Clooney sia al tempo stesso personaggio alla ricerca della verità, antieroe noir (s)legato (d)alle convenzioni del genere, divo e icona dello star system alla ricerca della verità attoriale (si veda il lungo primo piano che accompagna i titoli di coda) è un’ulteriore sintomo di tutto questo.