di Adriano Ercolani |
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Episodio
II |
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Star Wars Episode
III Revenge of the Sith, Usa, 2005 di George Lucas, con Hayden Christensen, Ewan McGregor, Natalie Portman, Samuel L. Jackson Ci sono voluti sei anni di attesa e quasi due film e mezzo di (malcelata) perplessità perché della nuova trilogia di Guerre stellari si arrivasse finalmente a comprendere in profondità una necessità endemica, imprescindibile per la riuscita prima visiva e conseguentemente artistica della saga: la presenza sullo schermo di Darth Vader (o Lord Fener, chiamatelo come volete). Ne La vendetta dei Sith la scena in cui il devastato Anakin Skywalker, quasi suo malgrado, sceglie di perdersi nel lato oscuro della forza, segna una cesura emotiva ed estetica di inaudita evidenza, tagliando il film in due e resuscitandolo da quella patinata ed inerme artificiosità che ha spesso imbalsamato lemozione sia de La minaccia fantasma che de Lattacco dei cloni. Dovendo sopperire alla mancanza di quello che è senza dubbio lantagonista per eccellenza ed insieme il personaggio più affascinante dellintera storia, Lucas ha tentato di sostituirlo nel corso degli altri film con una serie di sotto-cattivi magari anche interessanti - vedi il luciferino Darth Maul di Episodio I -, ma che alla fine non sono riusciti a reggere interamente il peso del proprio ruolo, non consentendo in questo modo lo sviluppo di una trama ben coordinata e coinvolgente. Mancando dunque un antagonista di reale spessore drammaturgico, anche le figure dei protagonisti ne hanno fortemente risentito; non è certo un caso se proprio Obi-Wan Kenobi, il cui personaggio negli altri due film non aveva dalla sua la forza di una solida scrittura, trova invece la sua potente drammaticità proprio nel confronto con il suo avversario predestinato. La mancanza di un equilibrio narrativo è un po quello che succede anche in questepisodio conclusivo, almeno finché Lucas non inizia appunto a raccontare dellascesa verso loscurità del protagonista, approfittandone inoltre per dimostrarsi astuto e sapiente metteur en scene e cambiare completamente registro visivo: le scene che riguardano la caduta di Anakin sono infatti ambientate in un universo di fuoco cupo, polveroso e visivamente sporco, tuttaltra cosa rispetto al tripudio di luminosità fotografica e di perfezioni scenografiche che avevano dominato la prima metà di questo film e i due precedenti. E così Darth Vader, come ogni creatura mitica e destinata ad essere mito, nasce tra le fiamme e la polvere, ma soprattutto dalle macerie carbonizzate del suo alter-ego Skywalker. Il fiume di lava che brucia lultimo brandello dinnocenza delleroe maledetto rimanda innegabilmente alla terra di Mordor de Il signore degli anelli di Jackson, esplicitando finalmente un doveroso tributo che la saga di Lucas doveva più al capolavoro di Tolkien che alla trasposizione cinematografica del genio neozelandese. Dopo lavvenuta e definitiva cesura tra bene e male, lultima mezzora de La vendetta dei Sith è senza dubbio la parte migliore di questa seconda trilogia, perché dedicata interamente alla fondazione del mito: Lucas inscena contemporaneamente la nascita della nuova speranza - Luke e Leila - e quella densissima del cavaliere oscuro. Il taglio delle inquadrature, il ritmo fluente del montaggio, la potenza della musica: tutto contribuisce a restituire alla creazione di Darth Vader lo spessore epico del personaggio. E così, in un certo senso, tutti i fili vengono tirati, e tutto quello che è successo in precedenza acquista un suo senso. La vera forza de La vendetta dei Sith è forse proprio quella di saper restituire, come ogni chiosa deve fare, logicità e senso agli eventi che lhanno preceduta. Abbiamo aspettato tanto, forse addirittura troppo, ma alla fine la maschera nera è risorta (o meglio, nata) ed ha definitivamente cementato la nostra ammirazione - non amore, sia ben chiaro - per la saga di Lucas. |