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Arthur et les Minimoys, Francia, 2006 di Luc Besson, con Freddie Highmore, Mia Farrow, Ronald Crawford Dopo essersi misurato contro il cinema americano sul campo del film d’azione e della fantascienza, Luc Besson ora lancia il suo guanto di sfida all’animazione 3D d’oltreoceano, con un kolossal che, nonostante i discreti risultati dal punto di vista tecnico, non riesce a staccarsi da alcuni modelli abusati e a brillare di luce propria. L’Arthur del titolo è un bambino di dieci anni che vive con la tenera nonna in una casetta di campagna nel Connecticut dei primi anni ’60. A consolarlo dall’assenza dei genitori disattenti, c’è solo la lettura di un vecchio libro scritto dal nonno, misteriosamente scomparso da quattro anni, che descrive tribù africane e popolazioni di minuscole creature nascoste nel giardino, i Minimei. Allorquando la nonna rischierà di perdere la casa per alcuni vecchi debiti, Arthur seguendo altri indizi lasciati dal nonno, troverà il modo di avventurarsi alla ricerca di un tesoro in quel mondo miniaturizzato, dove sarà protagonista di incredibili imprese insieme alla sensuale principessa Selenia. C’è sempre stato uno strano rapporto tra Luc Besson e il cinema americano; pur dichiarando più volte di essere convinto della superiorità intellettuale dell’Europa, forte di una cultura millenaria, nel suo tentativo di svecchiamento della produzione francese, non ha fatto altro che rifarsi a modelli e generi statunitensi di successo, pur rileggendoli con un punto di vista eccentrico ed autoriale. Su proposta dei coniugi Garcia, Celine scrittrice e Patrice artista, che gli avevano suggerito l’idea di una serie di animazione basata sul popolo dei Minimei di loro invenzione, Besson decide di lanciarsi anche nel campo a lui sconosciuto dell’animazione con il valido aiuto di Pierre Buffin e la sua BUF, società francese rinomata in tutto il mondo per gli effetti digitali. Insieme sviluppano una particolare tecnica simile alla motion capture usata per esempio da Zemeckis per i suoi film in 3D, ma che non richiede l’uso dei “punti guida” su corpo e volto degli attori per poter essere convertiti in personaggi animati. Questa tecnica permette inoltre a Besson di girare e montare le scene animate come se fossero sequenze dal vero, superando i suoi limiti verso il mezzo. Inoltre per aumentare il realismo delle scene animate, viene deciso che gran parte dei fondali per le scene con i Minimei sarà reale e non ricostruito al computer. A dare una mano all’equipe di 700 animatori creata apposta per la realizzazione della pellicola e impegnata su di essa ben quattro anni, è intervenuto un gruppo di animatori dell’Atari che, in un operazione di cofinanziamento tipica dell’industria hollywoodiana, in cambio di una mano nella realizzazione e di una considerevole partecipazione al budget di 65 milioni di euro, ha potuto commercializzare il videogioco ispirato al film. Nel lungo periodo necessario alla realizzazione della pellicola, Besson ha avuto non solo il tempo di trasformare la sceneggiatura del film in un romanzo illustrato per bambini, ma di scriverne altri due seguiti che diventeranno presto nuovi film e di girare Angel-A per sfuggire allo stress di una realizzazione così complessa. Il risultato finale è tecnicamente buono, la qualità delle animazioni digitali non sfigura al confronto con la maggior parte dei prodotti statunitensi e il design dei personaggi e delle ambientazioni, pur se non brilla per originalità, è di buon livello. E la regia di Luc Besson sia nelle scene “dal vero” che occupano comunque quasi metà del film che nelle adrenaliniche sequenze animate, è sempre di ottima qualità. Lo stesso non si può dire della sceneggiatura che soffre di almeno un paio di pecche, prima delle quali di offrire, al contrario dei prodotti Pixar, un livello di lettura che lo renda spettacolo pienamente godibile al pubblico adulto, al quale vengono solo regalate una manciata di allusioni sessuali fatte dalla principessa Selenia, che entra sicuramente sul podio dei personaggi più sexy della storia del cinema d’animazione. L’altra pecca è nel non discostarsi troppo nella parte animata da alcuni modelli fantasy, che pur di origine europea come il mito di Artù o la saga de il Signore degli anelli, sono state fin troppo sfruttate dal cinema hollywoodiano. Al quale Besson strizza anche l’occhio in una serie di citazioni nell’inutile scena animata, ambientata in una specie di discoteca e totalmente fuori luogo e tempo, rispetto all’atmosfera piacevolmente retrò del resto del film. Freddie Highmore, il bimbo già visto in Neverland e la Fabbrica di cioccolato è attore ormai navigato e riesce benissimo a reggere sia in forma reale, che animata, tutta la pellicola sulle sue spalle, e la nonna Mia Farrow sembra divertirsi a ritornare a frequentare i toni leggeri da commedia abbandonati da anni. Quindi uno spettacolo piacevole in particolare per i più piccoli, con l’unica riserva per la forse eccessiva lunghezza per un pubblico infantile e per il rapporto leggermente anomalo tra un bimbo e una principessa quasi adulta, anche se in versione Minimei. In attesa che il bimbo cresca negli inevitabili seguiti. |