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Se ancora il fenomeno non si fosse
manifestato in tutta la sua chiarezza, questo nuovo film di Darren Aronofsky
arriva a suggellare il fatto che la generazione di nuovi autori americani
che si sono imposti allattenzione internazionale nel nuovo millennio
sta decisamente segnando il passo idea condivisa anche da Enrico
Magrelli nel suo articolo Gioventù in pausa, pubblicato
sul numero di Ciak di marzo 2007. Dopo folgoranti esordi, critiche entusiastiche,
proclami e premi dentro o lontano da Hollywood, molti dei componenti
di questa nuova ondata di cineasti non sta, almeno per il momento, confermando
le aspettative degli addetti ai lavori ed anche del pubblico. Pensiamo
ad esempio a Richard Kelly ed allo sconclusionato Southland
Tales visto a Cannes, pellicola che è stata tagliata/rimontata
ma non ha ancora trovato il giudizio del pubblico in sala a distanza
di quasi un anno. Oppure cè il lavoro di Wes Anderson,
il cui le Avventure acquatiche di
Steve Zissou, è di molto inferiore al precedente i
Tenenbaum. Se consideriamo che anche il Re Mida M. Night
Shyamalan con la sua ultima opera ha perso lappoggio del pubblico,
la situazione non si presenta di certo come rosea per fortuna
resiste un Christopher Nolan sempre in grado di inserire il suo discorso
estetico-poetico in congegni ben oliati dalla forza e dagli stilemi
del genere. Volgendo il discorso verso lAlbero della vita, appare evidente che Aronofsky perde contatto con il suo film non tanto perché sceglie di volare troppo alto per le sue pur notevoli capacità registiche, ma soprattutto perché non è ancora uno sceneggiatore abbastanza esperto da costruire una storia in grado di essere funzionale, di supportare cioè a dovere determinate scelte che molto si avvicinano al virtuosismo gratuito. Dove infatti il film funziona e colpisce al cuore dello spettatore è nei momenti in cui non cè storia, ma immagine in movimento e commento sonoro: se dovessimo limitarci ai primi cinque minuti ed allultimo quarto dora di proiezione, The Fountain sarebbe quasi un capolavoro, in cui lemozione trabocca verso il pubblico grazie alla potenza evocativa di tutte le componenti del mezzo-cinema. Purtroppo tra questi due scampoli di grandezza cè una storia damore che si dipana inutilmente in tre diversi piani temporali, e che della pretenziosità del suo autore non possiede che un vacuo involucro. Aronofsky mescola infatti con troppa superficialità considerazioni filosofiche alte con deviazioni new-age, inserendole in una sceneggiatura che in alcuni snodi narrativi non è degna della peggior telenovela: a paragone della sequenza più melodrammatica del film, ambientata in un ospedale, sembra quasi che "Greys Anatomy" sia stata scritta da Shakespeare. Lovvietà da mercatino delle pulci della trama e soprattutto del suo dipanarsi minimizzano dunque piccoli scampoli di grande messa in scena, ribaltando in maniera del tutto inopinata unequazione che avrebbe dovuto pareggiare i fattori principali del film, e cioè sceneggiatura=regia. Qui invece tutto è sbilanciato verso la seconda ma non per lucida scelta, quanto invece per un difetto congenito alla costruzione narrativa: questo determina che lAlbero della vita svicoli in più di unoccasione verso le poco raccomandabili soglie del patetico, quando non del ridicolo. Anche un piuttosto evidente errore di casting squilibra il risultato finale: Rachel Weisz e Hugh Jackman sono di sicuro due attori di forte presenza scenica, ma forse per esplicitare con pienezza le sfaccettature e la complessità dei rispettivi personaggi sarebbero stati necessari attori di altro timbro recitativo per onor di cronaca bisogna dire che il film era stato scritto per Brad Pitt e Cate Blanchett, e che il budget previsto inizialmente andava ben oltre i 35 milioni effettivi. Formalmente molto curato in particolare vanno sottolineate la fotografia di Matthew Libatique e le musiche vibranti di Clint Mansell - The Fountain dimostra in pieno la vena istrionica ed espressionistica del suo autore, incapace di contenere la propria ispirazione e soprattutto di confezionare uno script che ne sorregga limpianto visivo. Il film si perde quindi in tremende ovvietà narrative, sprecando quasi totalmente unidea che, in mano ad altri, avrebbe probabilmente potuto generare un film destinato ad essere ricordato. Per l'Albero della vita di Darren Aronofsky non sarà così. |