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The Life Aquatic
with Steve Zissou, Usa, 2004 di Wes Anderson, con Bill Murray, Owen Wilson, Cate Blanchett, Angelica Houston, Willem Defoe Ad un certo punto della proiezione, quando loceanografo Steve Zissou deve salvare limbarcazione dai pirati e continuare la lavorazione del proprio film, la mente va quasi automaticamente ai protagonisti di due film dellannata hollywoodiana, lHoward Hughes di The Aviator e il Frankie Gunn di Million Dollar Baby. Cosa lega un oceanografo cialtrone e megalomane (ché il gesto eroico di Zissou, nella sequenza sopra descritta, viene filmato da Wes Anderson per ciò che realmente è, unirresponsabile follia, con cui il regista documentarista mette ulteriormente in pericolo la vita del proprio equipaggio), ad un miliardario maniaco igienista con lossessione per il cinema e per laviazione e ad un vecchio trainer di boxe malinconico, sfibrato, ma la cui dignità gli conferisce un che di monumentale e anche, sotto sotto, di inquietante? Lanalogia si costruisce tutta a livello tematico, sulla costruzione dei tre personaggi-simbolo, visto che i film, sul piano stilistico, sono quanto mai differenti, e si basa sul rapporto dialettico tra latto del vedere e quello del costruire (col sottofondo più angoscioso che dietro lossessione di costruire si celi anche una pulsione distruttiva). Il magnate fobico di Di Caprio concepisce lo sguardo come oltrepassamento di un limite e nello stesso tempo come appropriazione di qualcosa che la natura avrebbe negato alluomo, il volare come il riprodurre le immagini e daltronde il cinema e laviazione sono entrambi figli di una stessa megalomane voluttà tecnologica del primo novecento. Eppure dietro questa volontà di possesso si esprime una deriva paranoica che porta il miliardario a rinsecchirsi nella propria stessa icona e ad autoimbalsamarsi. Se Hughes rappresenta la volontà di riappropriarsi simbolicamente del cielo, Zissou simboleggia la medesima volontà di possesso sugli abissi: immergersi per fotografare e filmare (raggelare, mettere in forma, imbalsamare) la propria stessa morte, lo squalo giaguaro che innesta la caccia tragicomica delloceanografo, ma anche per manifestare il fascino verso la stessa immagine della propria dissoluzione. Infine Frankie Gunn, nellatto stesso di costruire tecnicamente un pugile, plasma unidentità, uno sguardo, una figura, in personaggi che comunque, attraverso questo processo di autorappresentazione, andranno immancabilmente a distruggersi. Tutto questo prologo per arrivare a dire che Le avventure acquatiche di Steve Zissou è un film metacinematografico, il più esplicito nella ancor breve filmografia del regista americano, e che lelemento metacinematografico (più o meno mimetizzato nelle costruzioni narrative) diventa sempre più presente ed importante nella riflessione degli autori hollywoodiani, da quelli nati negli anni settanta sotto letichetta di Nuova Hollywood, ai giovani rappresentanti del postmoderno maturo. Quando si parla di metariflessività nella pellicola di Anderson, non ci si vuole limitare ad accennare al procedimento narrativo del film nel film, il quale di per sé non costituirebbe niente più che un espediente, una messa in abisso di suggestione facile. La qualità della pellicola di Wes Anderson è quella piuttosto di stabilire unequazione tra il making of del film e la deriva esistenziale del piccolo Achab protagonista, Steve Zissou, che Bill Murray interpreta in unimpressionante scala di sfumature, passando senza problemi dal minaccioso al patetico, al grottesco, al grossolano. Non a caso ci troviamo di fronte alle riprese di un film, che non dovrebbe essere finzione, ma documentario, e che invece, nella mente del protagonista, si trasforma in una drammatica (e comicissima) caccia. Il documentario diventa una sorta di prova tecnica di Moby Dick ridicolo, vale a dire linseguimento di unossessione da parte di unartista condottiero impazzito. Abbiamo parlato di deriva e infatti la libertà di molte scelte registiche nel film, deriva proprio dalla decisione coraggiosa presa di far corrispondere allinesorabile sfrollarsi del progetto registico di Zissou, lo sfilacciarsi del tessuto stesso della narrazione. Anderson radicalizza quella tendenza allo sfaldamento narrativo che era latente ne I Tenenbaum, dove però lapparente tono svagato della trama era anche figlio di una concatenazione ferrea in sede di sceneggiatura, di unarchitettura romanzesca, con tanto di suddivisione in capitoli. Qui alla necessità e alla scansione romanzesca de I Tenenbaum subentra la cronaca, aggiornata di volta in volta, aperta a qualsiasi deviazione e imprevisto, del diario di bordo, e dal punto di vista narratologico siamo allapice dellopera aperta, se neanche lautore ne conosce sviluppi potenziali e conclusioni. Anderson mette in atto una similitudine tra la vita, vista come accumulo di eventi imprevedibili, e il documentario, vale a dire lapertura al mondo, visto anchesso nella sua varietà (non a caso il film si chiude con la frase è una grande avventura). Ovviamente vivere questapertura non è affatto semplice e, per buona parte del film, si traduce in deriva, quasi naufragio. Zissou rimane comunque un ossessionato tirannico, incapace di relazionarsi con un figlio segreto (cui arriva persino a cambiare di sua spontanea volontà il nome), incapace di relazionarsi con le donne, che tenta di sedurre con aggressività e tracotanza per poi rimanerne succube, incapace oramai perfino di girare e di cogliere una situazione cinematograficamente interessante (di fronte a tutta una piccola serie di eventi imprevisti che intervengono sulla nave set durante le riprese, lunica sua reazione è quella di urlare un furioso cut, riportando il film sui binari della sua volontà di controllo). Anche qui è molto utile il confronto con il precedente lavoro di Anderson. Anche il personaggio di Gene Hackman risultava essere un tiranno, la cui ombra continuava ad incombere sui familiari e sulle loro azioni, anche dopo essere uscito definitivamente dalla loro villa (e dalla loro vita). La villa dei Tenebaum appariva come un set congelato, uno spazio chiuso e compartimentato, da cui i protagonisti del film si dimostravano incapaci di evadere, rinchiusi come erano nei ruoli che il padre aveva imposto loro fin da piccoli. Ma Gene Hackman era un tiranno nel pieno del suo fulgore, padrone della situazione, tanto da poter persino riscattarsi agli occhi dei familiari. Zissou viene mostrato nel pieno di un fallimento artistico ed esistenziale, incapace di condurre la sua ciurma in una direzione qualsiasi. Inoltre la villa dei Tenenbaum poggiava ancora su un terreno dalle radici, qui il luogo set dove si svolge il film è una nave, unimbarcazione, non poggia su un terreno, anche conoscitivo, saldo, ma galleggia su una materia fluttuante (e tra referenti registici di Anderson cè il Fellini di Amarcord, con la sua fluttuazione visuale). Alle parole galleggiamento e immersione bisogna riconoscere ovviamente un significato metaforico. Si galleggia sopra una superficie transeunte, ci si immerge in uno spazio che è anche quello del proprio immaginario, e che questa sia la posizione di Anderson lo dimostra chiaramente il fatto che i pesci non siano reali, ma animazioni in stop motion realizzate da Henry Selick (e qui sono istituibili i paralleli con un altro grande interprete postmoderno delle fantasmagorie felliniane, Tim Burton). Riesce questo viaggio divertito verso la morte (lo squalo giaguaro) girato in maniera quasi rilassata da Anderson? Forse qui manca la perfetta corrispondenza tra landamento sonnacchioso, orizzontale della narrazione e il momento folgorante, verticale della gag, visuale, verbale o ottenuta tramite un montaggio straniante de I Tenenbaum e di Rushmore. I dialoghi sono molti, e, pur costruiti come gag anche in questo caso, trattengono il film, lo spingono quasi su una sospetta verbosità, evitata solo per il talento da commediante di Anderson. Il suo umorismo, la sua ironia fredda, qui diventano quasi stranianti, astratti e forse non giova il fatto che Le avventure acquatiche di Steve Zissou sia un film meno corale del precedente, più centrato sulla contraddittoria figura del suo protagonista, facendo notare di più la sfilacciatura narrativa. Alcuni personaggi mancano di quella coloritura perfetta che caratterizzava la prestazione dellintero cast de I Tenenbaum (un Owen Wilson in controruolo interessante, ma non del tutto in parte, Cate Blanchett personaggio di Madonna troppo accennato). Eppure proprio per le imperfezioni che impediscono il capolavoro, questo film affascinante risulta unopera più aperta e ancora più sperimentale del precedente e Wes Anderson è uno degli autori giovani di Hollywood. Ce n è per essere comunque soddisfatti, sperando in qualche limatura per il prossimo film. |