|
^ the Show must go on,
di Han Jae-rim
Questanno a Firenze il calendario della sesta edizione del festival
di cinema coreano è stato piuttosto nutrito, ben 30 film e una
selezione di cortometraggi. Il tema dominante è quello del disagio
esistenziale, con piccole puntate alla commedia e qualche deliziosa
variazione del noir di tradizione occidentale. Lobiettivo centrale
è quello di mettere lattenzione su un cinema ricco di proposte,
alcune delle quali di gran valore artistico e molte altre di sicuro
interesse per lo spettatore che voglia cimentarsi in questa scoperta.
Da segnalare la presenza di Kim Dong-ho direttore del Pusan International
Film Festival, il più importante tra gli appuntamenti cinematografici
dellAsia, nellambito di un progetto culturale che vede impegnati
la Regione Toscana e lassessorato agli scambi culturali, per portare
il cinema italiano in Corea.
Il film dapertura Radio Star di Jun-ik Lee racconta
con amore la storia di un cantante rock sul viale del tramonto, che
si ricicla come dj in una radio nei pressi della capitale. Il racconto
è tutto giocato sulle note della commedia, con leggeri sprazzi
malinconici. La regia è pulita e i personaggi molto ben caratterizzati
regalano due ore spensierate, nelle quali piccoli tocchi di genio offrono
più di un sorriso. La rock band East River è la versione
coreana di una band americana, con tanto di abbigliamento e toni da
rocker scalmanati, mentre la cover band dei Beatles che ricrea inconsapevolmente
la copertina di Abbey Road risulta davvero irresistibile. Ma il momento
più interessante dellintero racconto è quello del
legame che si crea tra il protagonista ed il suo manager. Come molti
prima di lui in quel ruolo, il manager farà più da padre,
che da promoter al suo rissoso pupillo, e quando interverrà il
cinismo tipico di quellambiente, nelle vesti di un viscido discografico,
le cose si complicheranno ulteriormente.
Due i registi presenti alla manifestazione: Lee Myung-se e Lee Yoon-ki,
dei quali sono stati proiettati gran parte dei film.
Lee Myung-se ha portato unopera che nel complesso deve molto alla
rappresentazione; i suoi lavori, alcuni riusciti come M,
altri leggermente più immaturi, sono comunque risultati di grande
impatto estetico, anche se i contenuti non sempre hanno risposto ai
requisiti di coesione interna e di coinvolgimento che si richiedono
ad unopera perchè si definisca interessante.
Mè in realtà lunico titolo che
presenta una coesione nella trama e nel contempo una discreta combinazione
tra contenuto e forma. La rappresentazione rarefatta si addice abbastanza
al racconto di una storia romantica, e allo stesso momento drammatica,
anche se i continui indugi del regista su particolari tecniche tese
a rendere maggiormente onirico il racconto, alla lunga allontanano lo
spettatore dalla storia e dal suo protagonista. Mentre Nowhere
to Hide è lunico dei suoi film ad essere stato
distribuito in Italia, direttamente in Dvd. Si tratta di un noir ipercinetico,
che però risente della tendenza del regista allautocompiacimento
per la propria sublime concezione estetica. Il racconto diviene secondario
di fronte alla rappresentazione volutamente satura di tecnica, la quale
invece di accrescere il valore dellopera finisce per soffocarne
ogni afflato.
Duelist, pur rappresentando un passo avanti rispetto
a Nowhere to Hide accentua la frammentarietà
del racconto, col risultato di appesantire una storia già di
per sè confusa. Linconfessato amore tra i due protagonisti,
rivelato dalla passione che i due mettono nel duellare tra loro, rimane
sempre sullo sfondo di quelle che si vorrebbe coreografie coinvolgenti,
ma che alla fine lasciano estenuato sia lo spettatore che i contendenti.
Lee Yoon-ki invece ha raccontato in This Charming Girl
una storia terribile di dolore e gelo interiore tutta al femminile.
Risulta difficile dimenticare la protagonista della sua opera prima,
che urla vendetta senza emettere suoni e vive una vita di superficie
come fosse unincombenza da sbrigare. Il racconto si fa portatore
dei ritmi interiori della protagonista, che ci verrà svelata
per gradi, e il cui dramma ci viene raccontato in un rapidissimo flashback,
che solo motiverà lintera portata del suo sistema di difesa.
Il finale è praticamente fuori campo, e solo leggermente sussurrata
si intravede una possibilità di cambiamento nelle ultime battute,
lasciate cadere nellinquadratura finale quasi ad ispirare più
un desiderio nello spettatore che non una reale conclusione positiva
della storia.
Ad-Lib Night, opera più recente di Lee Yoon-ki
offre unoccasione di riflessione circa limportanza dei legami
familiari. La protagonista accetta di recitare il ruolo della figlia
pentita al capezzale di un uomo che sta per morire, e che lei non ha
mai visto prima. La solitudine è il tema portante di questopera,
dal momento che ognuno dei protagonisti vive una sua personale condizione
di alienazione che finisce per rendere difficili i rapporti con gli
altri. E se nel precedente film il tema della violenza familiare era
più centrale e risultava alla fine molto più evidente,
in questultimo lavoro il tutto è stemperato a favore di
una visione più quotidiana degli abusi e delle piccole cattiverie
in seno alla famiglia, che spesso finiscono per essere ignorate, perchè
non del tutto evidenti neanche agli occhi di chi le commette. In The
Hard Goodbye al centro cè sempre una donna, e
anche qui i rapporti personali sono difficili. Ma in questo caso la
direzione della storia è in regressione e la protagonista, che
avevamo conosciuto con una figlia e con un compagno, finirà per
perdere entrambi a causa della sua inspiegabile, e mai motivata freddezza.
Fantastic Parasuicides è un delizioso film
indipendente ad episodi girato da Park Soo-Young, Jo Chang-Ho e Kim
Seong-Ho che tratta con ironia il tema dei mancati suicidi.
Tutti gli episodi mantengono un tono ironico e raccontano in maniera
originale il difficile tema del suicidio. Nel primo il taglio è
fumettistico e citazionista, Gina tenta di buttarsi dal tetto della
scuola per aver mancato un esame, e questo sarà solo linizio
di unavventura per metà onirica e per laltra metà
frizzante. Anche se derivativo il plot ha un suo personalissimo ritmo
che lo rende lieve nella rappresentazione e profondo nei contenuti.
Il secondo episodio ha un taglio più minimale che coniuga bene
il dramma con i piccoli tocchi surreali di sceneggiatura, col risultato
di alleggerire non poco il dilemma di un ex soldato che decide di togliersi
la vita, tra polli volanti e delinquenti incapaci. Ma è nel terzo
episodio che a mio avviso siamo di fronte alla poesia. Il protagonista,
un tenerissimo gay settantenne, compie gli anni ma i suoi amici lo ignorano.
Allora lui decide di uccidersi, perchè essere ignorati è
come essere morti. In quel mentre mette gli occhi su un giovanotto dal
delizioso fondoschiena che sta dritto davanti al binario di un treno
in arrivo.
Da quel momento in poi succede di tutto, e i continui cambi di registro
coinvolgono lo spettatore e lo sorprendono con una tale freschezza da
indurlo a lasciare la sala con un gran sorriso sulle labbra. Non male
per una storia che parla di suicidi.
Texture of Skin di Lee Seong-Gang è un lavoro
su più livelli, con una struttura circolare e piccoli riferimenti
citazionisti lasciati cadere qua e là nel racconto. I protagonisti
vivono una passione scandita dal numero ristretto degli incontri,
deciso da lei al primo rapporto sessuale. Nel frattempo lui si accorge
che la sua casa, e presto anche la sua mente sono abitate dalla precedente
inquilina del suo appartamento, una sfortunata ragazza morta in circostanze
drammatiche. Il racconto si compirà lentamente e piano piano
scopriremo il segreto della morte dellinquilina precedente e
forse il labile legame che le impedisce di liberare la casa e la mente
del protagonista. Opera dal linguaggio leggermente ermetico, ma di
sicuro impatto dal punto di vista della storia, questo film si avvale
di una sottolineatura musicale essenziale e di una recitazione molto
ben caratterizzata.
Due le rivelazioni del festival, Beautiful Sunday
di Kwang-kyo Jin e Someone Behind You di Oh Ki-hwan.
Il primo racconta con grande passione una storia nera nella tradizione
del noir di leggera derivazione occidentale. Bellissime la fotografia
e la regia di un lavoro ben congegnato, che rivela un interessante
capovolgimento di trama negli ultimi minuti, il quale da solo vale
il prezzo del biglietto. Mentre la recitazione sensazionale di Park
Yong Woo, già visto in Blood Rain regala un
buona interpretazione del dolore che lentamente si trasforma in consapevolezza
e poi in orrore, senza una sola sbavatura, nè un eccesso espressivo.
La compostezza del suo interlocutore, un gelido Nam Gung Min agghiaccia
più delle rivelazioni che le sue parole e la sua presenza portano
ad un pubblico totalmente impreparato al finale che lo aspetta nella
scena successiva.
Someone Behind You condivide con il primo film un
capovolgimento di trama che motiva lintero racconto, anchesso
disvelato negli ultimi minuti, ma più che al noir si rifà
decisamente allhorror. La storia è semplice allapparenza
ma, a mano a mano si complica di elementi gran parte dei quali suggeriti
già nei primi fotogrammi, ma assolutamente impossibili da cogliere
se non a posteriori. La costruzione della tensione è sottile
ma inesorabile, e quando alla fine tutti i tasselli troveranno una
collocazione il gelo sarà lunica reazione possibile per
lo stranito spettatore.
La regia accurata e a tratti volutamente caotica crea una situazione
di instabilità percettiva che, complice una buona fotografia,
lascia trapelare più che vedere chiaramente lorrore il
quale erompe solo nelle scene più splatter che, come uniche
note di colore, fanno da contraltare alloscurità che
permea gran parte dellazione.
Driving With My Wifes Lover di Kim Tai-sik
è una bella commedia incentrata su due uomini, la cui storia
si incrocia nel momento in cui la moglie del primo diviene lamante
del secondo. Il marito tradito decide di incontrare il rivale, e poichè
questi conduce un taxi, si mette in viaggio con lui, senza rivelargli
la sua identità. La storia è raccontata con molto umorismo,
i due uomini risultano molto nella parte e in taluni momenti del tutto
irresistibili. Il tono da commedia rende divertente il racconto, anche
nei momenti più malinconici, e la vera lezione che si evince
dalla visione del film sarà che alla fine ascoltare laltro
è lunico vero modo di definire lamore. Le fantasie
di omicidio, le piccole cattiverie o le ripicche non solo inaridiscono
chi le compie più di chi le riceve, ma la soddisfazione momentanea
ed il vantaggio che sembrano dare sullaltro, in realtà
non sono altro che un rinviare i conti che bisogna sempre fare coi
sentimenti, propri ed altrui.
The Show Must Go On di Han Jae-rim è un meritatissimo
secondo posto. Si tratta di una storia dolcemara incentrata su un
uomo che si guadagna da vivere con attività illegali e che
per questo finisce per perdere di vista la sua famiglia. Il protagonista,
un convincente Kang-ho Song, è perfetto nellespressione
dellimpossibilità a cambiar vita e nel contempo a rassegnarsi
al costo che questa gli impone. I siparietti comici alleggeriscono
una sceneggiatura pesante, ma mai gratuita, mentre la regia offre
una generosa visuale del travaglio interiore esteso a disagio familiare.
Seconda regia di Jae-rim Han, già autore dellinteressante
Rules of Dating, questo The Show Must Go
On si fa ricordare per lottima combinazione di una
buona regia ed un interessante racconto che non diviene mai banale,
nonostante la semplicità dei personaggi e delle loro storie
del tutto ordinarie. Il film ha vinto due Blue Dragon Film Award,
il più importante riconoscimento cinematografico coreano, uno
come miglior film del 2007 e laltro per linterpretazione
di Kang-ho Song (Memories of Murder, The
Host, Mr. Vendetta) che si conferma uno
dei più versatili attori coreani contemporanei.
Take Care of My Cat di Jeong Jae-eun è una
storia al femminile di aspirazioni mancate e dolorose rinunce esistenziali.
Le protagoniste brillano per ingenuità ed assoluta pulizia
in quella che ci viene raccontata senza fronzoli come una società
dura e competitiva. Le cinque ragazze dovranno fare i conti ciascuna
con le proprie illusioni e se non tutte riusciranno a cambiar vita,
di certo nessuna rinuncerà al tentativo. Bello nei contenuti
quanto nella rappresentazione, questo film narra ancora una volta
del disagio sociale di un paese in continua ascesa economica, ma che
tende ad emulare il modello di crescita americano. Come in molti lavori
di matrice sociale, anche questo non sfugge al sottotesto di amarezza
di una generazione di ragazzi lasciati in balia di un concetto di
competizione alieno alla cultura da cui provengono e del tutto impreparati
ad affrontarne le conseguenze sul piano personale.
Beyond the Years è il centesimo film della produzione
di Im Kwon Taek, già presentato a Venezia.
La storia deve molto alle tradizioni musicali coreane, ed è
incentrata sulle vicissitudini di un ragazzo ed una ragazza cresciuti
insieme da un padre adottivo molto severo. Lei diverrà una
famosa cantante di pansori, canzone tradizionale coreana, ma perderà
la vista a causa delle idee del padre sullo studio dellarte.
Mentre lui, andato via di casa per incomprensioni col padre adottivo,
andrà in guerra prima e al ritorno si dedicherà a cercare
la sorella. Centesimo film della vasta produzione di questo regista
che si è dedicato al racconto delle tradizioni e delle contraddizioni
del suo paese, si tratta di un lavoro molto evocativo che, come sempre
nel regista coreano, racconta storie poetiche sullo sfondo di un paese
complesso e poco conosciuto, a volte con modi inquietantemente nazionalisti.
A Love di Kwang Kyung-taek sarebbe potuto essere
un candidato perfetto alla vittoria per la sesta edizione del festival,
nel caso di assenza di opere più originali. In primo luogo
perchè coniuga bene il melò coreano con una rappresentazione
in stile americano. Poi la regia accurata, il budget alto, e la discreta
recitazione, completano il quadro di unopera pronta per lesportazione.
La storia è semplice, ed anche un tantino derivativa. Si parte
da un classico colpo di fulmine, che porterà i due protagonisti
ad amarsi a dispetto delle vicissitudini che la vita gli riserverà,
e si finisce in pieno in una storia raccontata con uno stile da film
dazione, tra gangster, coltellate e vendette. Tutto è
rappresentato con mano ferma e molto autoriale, ma la modalità
di espressione se da un lato rende facilmente fruibile lopera
anche ad un pubblico occidentale, perde in originalità conferendo
al tutto un sapore di già visto.
Two Faces of My Girlfriend di Lee Seok-hoon è
una commedia che scivola, solo nei fotogrammi finali, in un dramma
dalle caratteristiche leggermente psicoanalitiche. La protagonista,
una bravissima Jeong Ryeo-won è affetta da un particolare disturbo
della personalità: ha un alter ego che viene fuori solo quando
beve. La ragazza ha due nomi e due personalità opposte, ma
quello che alla fine scoprirà il suo nuovo fidanzato è
più di quello che solitamente ci si aspetta da una commedia.
Girato con stile minimale, il film incrocia bene la commedia con le
parti drammatiche, e rende coeso un racconto difficile, basato su
una concezione un pò ingenua, ma pur sempre affascinante, dello
sdoppiamento di personalità.
Nella sezione Indipendent Korea A Shark di Kim Dong-Hyun
è una piacevole sorpresa. Girato con stile asciutto e leggermente
documentaristico, racconta delle vicissitudini di quattro persone
in una torrida giornata destate. Le storie si intrecciano e
non di tutte vedremo la reale evoluzione, in un racconto molto realistico
e leggermente ellittico, che regala momenti di grossa umanità
ed altri di una comicità che mira ad alleggerire il peso di
una narrazione dura, ma mai pesante. Opera prima di un regista con
buone potenzialità, conserva la freschezza dei primi lavori
e nello stesso momento mantiene unoriginalità che lascia
presagire la possibilità di interessanti futuri lavori.
Chiudono The Railroad di Park Heung-Sik, il film
più bello dellintera rassegna, indiscusso primo premio,
già presentato a Torino dove ha vinto il premio per il miglior
attore e il Fipresci e Breath lultimo
lavoro di Kim Ki duk, uscito nelle sale anche da noi.
Il primo racconta una bella storia di incomunicabilità quotidiana.
I due protagonisti vivono ciascuno una storia sentimentale fallimentare
e, come metafora del binario morto su cui trascinano stancamente le
loro vite, finiranno per incontrarsi al terminal di una stazione da
cui non partiranno treni per tutta la notte. I due cercheranno riparo
in un albergo vicino e, mentendo ciascuno sulla propria vita, imbastiranno
una sorta di recita che andrà avanti per le prime ore della
notte. Parte della maschera cadrà ad un certo punto, complice
langoscia e lo spazio ristretto, ma non abbastanza per un reale
incontro e i due si saluteranno la mattina dopo senza essersi mai
realmente incontrati. Unica nota di speranza è nel finale che
ci mostra il frutto di quella notte: un libro scritto su quellesperienza
dalla protagonista che la aiuterà ad uscire dalla precarietà
lavorativa.
Breath è lopera più
recente di Kim Ki duk. Si tratta di un lavoro stilisticamente perfetto
che mette in scena la storia di una donna frustrata la quale decide
di far visita ad un detenuto in attesa dellesecuzione, che aveva
cercato di suicidarsi. Il regista stesso si sceglie la parte del direttore
del carcere che, riflesso in un vetro del monitor attraverso il quale
spia i due, scandisce i tempi degli incontri, in una metafora evidente
del ruolo di demiurgo che si riserva chi filma una storia. Deliziosa
opera di meta cinema, perde leggermente in freschezza rispetto alle
precedenti opere del regista, il quale tende sempre più alla
perfezione stilistica, raggiunta in verità già da tempo,
ma di recente minata dalla perdita del calore che contraddistigue
i suoi primi lavori. Certo appare difficile decidere cosa privilegiare
tra opere di grossa efficacia emotiva come Primavera,
estate, autunno inverno e ancora primavera, o la
Samaritana, e i più recenti lavori, come il precedente
Time e questultimo Breath,
meno caldi ma senzaltro tecnicamente perfetti. Si tratta sempre
e comunque di opere dallevidente valore artistico e dalla grossa
capacità espressiva, motivo per cui il regista, ormai maestro
riconosciuto anche da noi, qualsiasi decisione decida di prendere,
finirà per accontentare comunque sempre più di quelli
che alla fine apprezzeranno meno i suoi esercizi di perfezione.
|