Xiao cheng zhi chun

Dalla Cina con candore
di Luca Perotti


Venezia 59 - 2002
  id. (tit. int.: Springtime in a small town), Cina/HK/Francia, 2002
di Tian Zhuang Zhuang, con Hu Jingfan, Wu Jun, Xin Baiqing, Lu Sisi

Un giovane medico torna a far visita ad una coppia di amici sposati con figlia sedicenne e sbarazzina; flirta con la moglie con cui ha avuto una relazione in passato, mentre il marito sofferente di un malanno imprecisato si contorce nella gelosia a cui cerca di sfuggire spingendo la figlia stessa tra le braccia dell'intruso.
Sembra un plot a metà strada tra il filone boccaccesco e il melodramma a tinte forti, ambientato in un'unica location, claustrofobica, accarezzata da una luce fioca, con una Cina invisibile eppure tremendamente, metaforicamente palpitante e invadente pur nella sua distanza dalle pareti domestiche.
Un melodramma dalla gestazione infinita, lentissima, che tarda a sfociare nella tragedia e che seppellisce il pathos sotto il peso delle (non) azioni degli attori, eccellenti sintesi di forze motrici bloccate sull'orlo di un'emozione negata dalla staticità vibrante dei corpi e dei gesti.
La tragedia stessa, un suicidio fallito compiuto dal malato immaginario, non giunge al termine di un crescendo drammatico ma si insinua con riservatezza nell'andamento sottomesso della narrazione, obbedendo al principio d'inerzia generale.
Il disturbo psicosomatico del marito ricalca l'essenza del film, la sua idea di base, incentrata su un dramma colmo di sintomi, sospetti, allarmi che non trovano mai la condizione necessaria per manifestarsi in quanto frutto di una situazione alterata per difetto. La malattia cronica diventa il simbolo di un ostacolo insormontabile che frena qualsiasi cambiamento molto prima della semplice intenzione; un'azione inconscia ma terribile, angosciosa nel suo equilibrio testardo, fatto vacillare da un passato ingestibile che si ripresenta inaspettato, e a cui porre rimedio con la ricerca dell'atto estremo della morte, ultimo baluardo a tutela dell'autoconservazione.
Persino all'infelicità è negata la possibilità di erompere con l'eccesso che meriterebbe; l'accanirsi scomposto del destino non dispone di un flusso di energia, di un motore da riscaldare e utilizzare per spezzare gli argini di un'armonia perfettamente contraffatta. Il tradimento ha la stessa tangibilità di un sussurro origliato tra due stanze sigillate e nemmeno il desiderio di morire si svincola dalla negazione di qualsiasi spinta o sollecitazione verso il baratro.
Il medico e la sua valigetta spariscono in un assolato pomeriggio primaverile sconfitti da un morbo incurabile perché inesistente ma tuttavia attivo nell'azione di allontanamento di un'ingerenza sgradita. Il desiderio sessuale si spegne sul nascere, dopo aver vivacchiato, come un estraneo, tra gli usci e le ombre sui muri, o nei ricordi imprecisati di un passato non consumato. O forse sì.
I pruriti della teenager scompaiono insieme alla ragazza stessa, personaggio relegato gradualmente ai margini della narrazione, in un coerente percorso inibitorio che vanifica inesorabilmente qualsiasi singhiozzo vitale.