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Se la Pixar vuole davvero
procedere in questo percorso di distaccamento (legittimo ed affascinante),
dovrà senza dubbio liberarsi in futuro con maggiore perentorietà
di alcuni stilemi ed impostazioni di fondo che legano i suoi lungometraggi
al concetto classico e sedimentato di cartone animato. Che succederebbe se l'umanità abbandonasse la Terra, ormai sommersa dai rifiuti, e si dimenticasse di spegnere l'ultimo robot spazzino? Nel 1994 Andrew Stanton, durante un brainstorming con altri pionieri della Pixar, si gingillava con quest'idea; quattordici anni dopo arriva al cinema Wall-e, segno che non si può mai sapere se un'idea è troppo bizzarra per essere realizzata. Il nuovo lungometraggio della Pixar farà discutere, poco ma sicuro. Ero presente all'anteprima stampa, circondato da alcuni bambini, e man mano che la storia prendeva forma lanciavo di tanto in tanto uno sguardo proprio a loro: dopo una mezz'ora li sentivo chiacchierare placidamente, segno di un evidente calo di attenzione; dopo un'ora chiedevano ai loro accompagnatori adulti per che ora era prevista la fine dello spettacolo. Considerando che stiamo parlando della costola digitale della Disney, i poveri baby-tester devono aver pensato che ormai non ci sono più certezze a questo mondo. Quaranta minuti senza dialoghi: è il bellissimo prologo nel quale facciamo conoscenza con Wall-e, solo, su un pianeta pieno soltanto di spazzatura, che lui, forte di un'infaticabile roboticità, continua a mangiare e impacchettare ordinatamente, trovando il tempo per socializzare con uno scarafaggio (gli eredi della Terra, disse qualcuno) e accudire la sua personale collezione di memorabilia dei suoi creatori. È una poesia di solitudine vissuta con incosciente speranza, quella che solo una macchina lasciata accesa può vantare. Funziono, dunque sono. Wall-e è curioso: una funzione forse originariamente implementata per migliorarne l'efficienza, forse autogenerata col tempo. Il suo sguardo su un mondo di mondezza è spiazzante, la sua lettura è antitetica alla nostra, non c'è desolazione nel suo panorama, solo l'opportunità di continuare a funzionare, di avere senso. Nessun film di animazione aveva finora presentato un eroe così profondamente solo. Wall-e guarda ripetutamente un vecchio musical, Hello Dolly, in cui un uomo e una donna fanno una cosa singolare: si tengono per mano. Non c'è solo curiosità nel vedere e rivedere e imitare i balletti e le canzoni e quelle dite intrecciate, che però non può intrecciare con quelle di nessun altro. Le dita, lui, neppure ce le ha. Così, quando incontrerà EVE, un robot sonda inviato dall'ultima astronave degli umani a controllare se le condizioni ambientali sulla Terra si sono ripristinate e sono favorevoli alla vita biologica, lui, animato solo dall'urgenza di intrecciare le sue tenaglie con le affusolate dita di lei, la seguirà fino ai suoi creatori, scoprendo cose stranissime sui suoi creatori. In più incontrerà una pletora di altre macchine, alcune amiche e decisamente divertenti, altre ostili e gelose del potere che l'uomo ha delegato loro. L'impalcatura narrativa è decisamente schematica e didascalica, confrontata con quel capolavoro di storia che è Ratatouille o lo stesso gli Incredibili, per il semplice motivo che il film si arma di altre sottigliezze, ambisce ad altri traguardi. In quella poesia del pattume, in quella estetica dell'apocalisse c'è una storia d'amore tra due macchine, c'è una sferzata contro un'umanità ridotta a marshmallows semiparalitici, bovini e inconsapevoli che sa di pamphlet sociale e filosofico. C'è l'audacia dell'immaginare che un tempo non molto distante nel futuro sarà una macchina ad ereditare i nostri laceri e dismessi abiti emotivi. La qualità della visione e dell'ascolto è oltre la mia capacità di descrizione. Da tempo la Pixar è lo stato dell'arte della computer grafica, ma non accenna ad assestarsi sull'alloro del primato. Sperimenta. Chiama il maestro Roger Deakins a farsi consigliare, e il risultato è una paesaggistica fantascientifica da mozzare il fiato, che non stonerebbe in un anime sci-fi per adulti. Ma tutto questo ormai non è più alla portata dei bambini, che si annoiano e cercano i kungfupanda panzoni e gli shrek scorreggioni. Per loro, menomàle, c'è papà Spielberg con la Dreamworks. Ho il sospetto che mamma Pixar d'ora in avanti sarà sempre più per noi grandicelli. E questa è una bella notizia. (La citazione in apertura è presa dal finale del pezzo su gli Incredibili scritto per Off-screen da Giulio Frafuso, in uno dei suoi momenti di vaticinio) |