Velocità massima

Il cinema credibile
di Luca Persiani


Venezia 59 - 2002
  Italia, 2002
di Daniele Vicari, con Valerio Mastandrea, Cristiano Morroni, Alessia Barela, Ivano De Matteo


In un panorama nazionale che sembra irrimediabilmente popolato da opere quasi improvvisate, goffamente autoriali e che comunque raramente si degnano di rispettare il proprio pubblico, Velocità massima mostra la possibilità di una strada alternativa. Mettendo da parte l'imbarazzante qualità della regia di Vicari che - fra i vari demeriti - annulla una delle potenziali attrattive del film, le corse di macchine (risolte con sequenze inesistenti sul il piano dello spettacolo e comunque fallimentari su quello narrativo), Velocità massima deve essere segnalato per il lavoro su scrittura, ambienti e personaggi. Inedita per questo tipo di prodotto è l'attenzione in sceneggiatura per la costruzione della credibilità dei protagonisti e del loro rapporto con i luoghi e la realtà sociale in cui si muovono. Stefano, Claudio e Giovanna sono facce e corpi assolutamente plausibili e veri, che si muovono in un mondo che per una volta perde le caratteristiche fittizie e inutilmente poveristiche del cinema italiano medio per mostrare una vita propria e necessaria per l'azione del racconto. In questa precisione di definizione di identità fra personaggi e ambiente si innesta l'arco narrativo di un dramma che finalmente si preoccupa di essere onesto e oliato, dove le personalità sono costruite per generare empatia e un movimento emotivo che le avvicini allo spettatore senza alibi di alcun tipo. E' evidente come i realizzatori di Velocità massima abbiano a cuore le storie che mettono in scena e la volontà di trasmettere il tutto ad un pubblico che non siano (solo) i realizzatori stessi. E anche se non tutto funziona sotto questo aspetto (da dove viene la cattiveria di Giovanna nei confronti di Claudio?) i personaggi mantengono sempre una vicinanza con la realtà e una precisa definizione della personalità che li fa vibrare in modo credibile, anche grazie ad una sentita direzione degli attori che rispondono al progetto con quella che sembra essere una personale vicinanza alla materia narrata. L'impressione è che tutto il lavoro di scrittura, casting e ambientazione sia stato condotto con una professionalità che va oltre la magra attitudine da "cinema da dopolavoro" della produzione media italiana. E questo è in parte confermato dai credits di sceneggiatura: per una volta gli autori del copione hanno sviluppato con successo l'idea di partenza con uno script editor della casa di produzione (la Fandango), cosa che ha evidentemente portato il film in una direzione progettuale più unitaria, motivata e precisa nel mettere a fuoco l'obiettivo espressivo. Sembra il segnale di una volontà di impegno e confronto fra cervelli che è una delle strade imprescindibili per realizzare il necessario salto qualitativo del fare cinema in Italia, nonché il reindirizzamento di un sistema sbracatamente autoriale nella direzione di un ragionato approccio industriale.