Sweeney Todd - il diabolico
barbiere di Fleet Street è tratto dal celebre musical
del pluripremiato Stephen Sondheim, a sua volta reinvenzione di un successo
letterario-teatrale di genere grandguignolesco della meta dellOttocento. Londra, XIX secolo. Benjamin Barker, dopo 15 anni di esilio in seguito a una ingiusta condanna inflittagli dal crudele giudice Turpin con lintento di rubargli la bellissima moglie Lucy, ritorna a Londra con una nuova identità in cerca di vendetta. Trasformatosi in Sweeney Todd, si stabilisce nella nuova bottega da barbiere ma il servizio offerto ai clienti non prevede lamentele perché il suo rasoio colpisce in modo definitivo e offre il condimento ai pasticci di carne sfornati dalla fedele Mrs. Lovett. Dopo avere scoperto che Turpin ha deciso di sposare la figliastra, in realtà figlia di Sweeney, il diabolico barbiere di Fleet Street accelera lorganizzazione della vendetta finale che si abbatterà sullignaro giudice e sul viscido messo Beadle. Se Tim Burton fosse vissuto nella Hollywood classica, il gruppo dei jeunes turcs dei Cahiers du Cinema non avrebbe esitato neanche un momento nel riconoscergli lo status di autore come fu per Howard Hawks, Alfred Hitchcock e tutti quei cineasti americani allepoca snobbati dalla critica tradizionalista francese. Non che Burton sia misconosciuto, anzi, tuttaltro, visto il riconoscimento mondiale ottenuto allultima Mostra di Venezia con il Leone dOro alla carriera. È però indubitabile che Burton sia, al pari di David Lynch e David Cronenberg, uno dei cineasti contemporanei la cui opera segue fedelmente le coordinate di una poetica coerente e omogenea, fondata su una cifra stilistica contrassegnata da unassoluta riconoscibilità, che rielabora continuamente al suo interno tutte le ossessioni, i topoi estetici e le tensioni profondamente etiche tipicamente burtoniani: la miscela di tenera malinconia e gusto macabro, il rapporto antinomico fra amore e morte, luce e oscurità, bianco e nero e colore, normalità e diversità, padre e figlio. Come il sublime Lynch, Burton crea delle opere-mondo. Ma, a differenza del regista di INLAND EMPIRE queste opere-mondo si autogenerano a partire da unimmagine fortemente mitopoietica che contiene già in sé leidos, la forma archetipica delluniverso fiabesco che verrà creato. E come David Cronenberg, i corpi dei suoi personaggi sono spesso dotati di protesi artificiali, anche se il prolungamento meccanico degli arti in Burton non ha il sapore religioso-antropologico di Cronenberg (chissà come sarebbe stato La mosca se fosse stato diretto, come inizialmente previsto, da Tim Burton), né lentusiastico furore iconoclasta del postmoderno cyberpunk Tsukamoto. Ma diventa il pretesto per una riflessione etica sui concetti di identità e diversità. Rispetto però a Edward mani di forbice, in cui le lame innestate nelle mani del protagonista erano lepifania della sua condanna tragica allimpossibilità del contatto con laltro, in Sweeney Todd i rasoi assolvono a una funzione diversa e, per certi versi, più attenta ai sommovimenti culturali di un contemporaneo che, nella sua crisi profonda, sembra regredire a un evo fondato sulle leggi tribali: la vendetta è, nelletica essenziale di ogni struttura favolistica, lunica risposta possibile al torto subito. Il tono cupo della vendetta che risiede nelle viscere oscure del personaggio, dissociato e mascherato come Bruce Wayne/Batman, informano lambiente esterno, riflesso totale dellanimo del protagonista impersonato dallattore, ormai vero feticcio burtoniano, Johnny Depp. Come ogni melodramma che si rispetti, la struttura del film è stabilita dalle musiche, infatti, ma, prima di tutto, dalla poderosa scenografia creata da Dante Ferretti, senza alcun ricorso al green screen ma recuperando quella materialità artigianale che se da un lato rimanda alla cartapesta della scena degli spettacoli dellOttocento, dallaltro viene rinfrescata dalla stilizzazione, che guarda alle opere di animazione di Burton, e dal refresh digitale. Burton, in questo modo, sperimenta sul tessuto vivo del film un impasto di vecchio e nuovo, del cinema e del suo cinema, rimanendo fedele allo sprito pop della propria estetica. Se la struttura è quella del melodramma, lazione rimanda al Grand Guignol. Nel suo viaggio allinterno della storia del cinema, così, torna ancora più indietro del Coppola di Unaltra giovinezza, frugando in quella zona archeologica pre-cinematografica che ha preparato lavvento della settima arte: quei grandi spettacoli popolari in cui lazione, innestata sulla maestosità scenografica, è indissolubilmente legata alla musica (il melodramma) e in cui leffetto speciale lega landatura dello spettacolo con lo stupore e il piacere spettatoriale (il Grand Guignol, appunto). Come Coppola, Tim Burton è laltro grande icononauta del nostro tempo. Soltanto, lautore di Sweeney Todd predilige i territori limitrofi, come in questo caso, o marginali della storia del cinema: così è stato, per fare alcuni esempi, con Big Fish (il mito fiabesco di Oz), la Fabbrica di cioccolato) (remake di un film commerciale in cui sinserivano i germi eversivi della controcultura e che Burton fa deflagrare in tutta la loro potenza lisergica e visionaria); con Il mistero di Sleepy Hollow ed Edward mani di forbice (larchetipo del mostro/diverso, uno dei più ricorrenti in tutta la storia del cinema); ma, soprattutto, con Ed Wood e Mars Attacks (il doppio nostalgico omaggio alla golden age del cinema americano, gli anni Cinquanta, ma nelle sue pieghe remote, quelle del cinema sci-fi di serie b e quelle di serie z del peggiore regista della storia). Il nostro viaggiatore nel tempo reversibile dellimmaginario cinematografico si abbandona ogni volta al piacere e allo stupore della ri-creazione e della re-visione come fosse la sua prima volta, restituendone allo spettatore il fascino intatto, lo sguardo puro, ideale e romantico. Con lentusiasmo del personaggio Ed Wood di fronte alla magia della grande macchina dei sogni. Sweeney Todd riassume e rilancia tutto questo, sprofondandolo nel nero della Londra vittoriana. Un nero che si tinge del rosso dei fiumi di sangue che scorrono nella pellicola, nel corpo vivisezionato del film e di un cinema che ha necessariamente bisogno di tornare al punto di origine, in quel tempo segnato dal fantasmagorico che fonda la nascita della civiltà dellimmagine. Soltanto tornando a quel punto è possibile interpretare lattuale mutazione antropologica e il salto di civiltà dellHomo Videns. Proprio come diceva, mutatis mutandis, ormai quaranta anni fa Stanley Kubrick in 2001 - Odissea nello spazio. |