Quo Vadis, Baby?

Di un giallo sbiadito
di Antonello Sammito

 
  Italia, 2005
di Gabriele Salvatores, con Angela Baraldi, Gigio Alberti, Elio Germano, Claudia Zanella


Lasciati i campi di grano illuminati dal sole di Io non ho paura, Gabriele Salvatores si lancia per i bui portici di una Bologna per lo più notturna, in un giallo della memoria, che però manca della tensione necessaria per un racconto di genere.
Giorgia Cantini è una quarantenne che lavora nell’agenzia investigativa del padre, occupandosi per lo più delle solite storie di corna. Ma un amico le invia un giorno un pacco con delle videocassette, una specie di video diario realizzato dalla sorella Ada, morta suicida sedici anni prima dopo essersi trasferita a Roma per tentare la carriera di attrice.
Assistere alle confessioni della sorella, spingerà Giorgia a cercare i reali motivi del di lei suicidio, nascosti tra le pieghe delle relazioni familiari e di citazioni cinefile.
È encomiabile lo sforzo di un affermato regista come Salvatores di mettersi in discussione, di cercare, con il suo talento e le possibilità produttive che la sua posizione permette, di cercare di rilanciare in Italia il cinema di “genere”. Purtroppo dopo il riuscito Io non ho paura, che godeva nel libro e nella sceneggiatura di Ammaniti ottime fondamenta su cui costruire, si trova a lavorare su basi più fragili. È facile capire perché il libro di Grazia Verasani abbia affascinato il regista, con i suoi riferimenti cinematografici e musicali e la sua protagonista definita da Salvatores “una Philip Marlowe post-punk”, ma la sceneggiatura firmata con Fabio Scamoni, pur recuperando alcuni elementi del noir, come l’antieroe e le torbide relazioni familiari, manca di altri elementi fondamentali per tale tipo di intreccio, come le false piste, gli inganni e, nel complesso, la tensione. Il subplot del personaggio del sig. Lattice, marito tradito, che poteva rappresentare un ottimo espediente per fornire qualche brivido nella storia, viene troncato a metà pellicola senza alcuno sviluppo. Anche la parte investigativa “gialla” è manchevole: le scoperte fatte dalla protagonista avvengono per meriti altrui e quella principale, per usare le parole del personaggio di Burruano, accade per “una bella combinazione”. Tutto è fin troppo banale e scontato in questa storia che se genera interesse, però non appassiona; una pellicola simile per spunto e struttura di qualche anno fa, L’amore molesto di Mario Martone, riusciva ad avvincere di più con le sue graduali scoperte da parte di un’investigatrice non professionista.
Quello che invece sembra riuscito è il ritratto della protagonista, rockettara cannabilista e disincantata, a cui presta una totale aderenza fisica l’ex cantante Angela Baraldi, che però soffre di troppa inesperienza per restituire i travagli emotivi del personaggio.
Come pure interessante è il personaggio della poco talentuosa sorella attrice, interpretato da Claudia Zanella, che conosciamo attraverso degli sgranati video diari in Super VHS, video confessioni su sogni infranti di una vita vissuta per il “vero cinema”. E questo è uno dei tre tipi diversi di uso della ripresa elettronica che Salvatores utilizza per il film, insieme al digitale in bassa definizione dei ricordi in soggettiva della protagonista (sembrerà strano, ma per convenzione cinematografica, i ricordi al cinema sono spesso visti in terza persona) e all’alta definizione del resto del racconto. Il regista e il suo direttore della fotografia Italo Petriccione lavorano con il nuovo mezzo per regalarci immagini sempre molto controllate, ma di grande fascino. Purtroppo i due invece falliscono nell’unico momento veramente di “genere” del film, un inseguimento tra i portici troppo breve e goffo, che dimostra una poca dimestichezza con le basi di questo tipo di pellicola.
Svariate sono poi le citazioni cinefile disseminate nel film, visto che il cinema è legato alla storia attraverso il personaggio di Ada e di quello di Gigio Alberti, e che la chiave del dipanarsi del mistero è nella frase "Quo vadis, baby?” presa da Ultimo tango a Parigi di Bertolucci.
Salvatores utilizza anche una sequenza di M, il mostro di Düsseldorf nel finale come commento alla vicenda e espediente per regalare solo allo spettatore e non ai protagonisti la soluzione al poco misterioso mistero.
Finale menzione d’onore alla colonna sonora del film di Ezio Bosso, molto curata ed infarcita di splendide canzoni degli anni ‘60 e ‘70, tra cui una cover di “Impressioni di Settembre” cantata dalla stessa Baraldi.