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Raising Helen,
USA, 2004 di Garry Marshall, con Kate Hudson, Helen Mirren, Joan Cusack al film a Kate Hudson Accostarsi ad un film di Garry Marshall (aiuto! Ormai lo trattiamo come un autore... come non detto) non è davvero un atto che richieda una gran dose di coraggio: il regista americano è di quella stirpe di mestieranti che si è nel tempo guadagnata una certa dose di credibilità, allinterno del proprio genere di elezione. Lui poi, a livello puramente industriale, è una garanzia, star making director di razza; a meno che non si pretenda dessere sorpresi dalla storia, ad un suo film ci si può stare. Vi ricordate Pretty Woman? Quando meno te lo aspetti sfoggia un paio dore buone di durata: roba da mettersi preventivamente le mani nei capelli, se lo si scopre quando si è già in fila per il biglietto; la commedia è un genere che ha i suoi tempi, e ultimamente non sono state molte ad aver vinto la sfida dei centoventi minuti (uno come Woody Allen trovava laurea distanza tra gli ottanta e i novanta; ed era Woody Allen). Tanto per dire, avremmo sforbiciato mezzora del pur pregevole Qualcosa è cambiato di James Brooks (un altro dei mestieranti di cui sopra) e fatto volentieri a meno di una buona oretta dellultimo Spike Lee. Noi poi abbiamo un difetto: più un film ci sorprende, più ci piace; amiamo le cose che non somigliano a nulla, o che almeno ci provano; perdoniamo loro tutti gli errori, e le coccoliamo come qualcosa di prezioso. Dateci ancora Wes Anderson: furore poetico spalmato su una forma attentissima, il suo I Tenenbaum è finora la migliore commedia del terzo millennio (e proprio per questo speriamo, in cuor nostro, che al varco dellopera terza lautore ci spiazzi con qualcosa di irriconoscibile, dopo il gran dittico desordio). Come premessa, la nostra non depone granché a favore di Raising Helen (così, coerentemente, in originale); ma si parlava di mestiere, più su, e Marshall ne ha da vendere, cè poco da fare. Nel film, una giovane e rampante agente di moda si vede la vita stravolta dallaffidamento dei tre figli della sorella maggiore, deceduta insieme al marito in un incidente; lei non è una madre, e il suo stile di vita è quanto di meno compatibile con il bene dei ragazzini (la più piccola ha quattro anni); inaspettatamente, Helen accetta laffido, si rimbocca le maniche e inizia la sua nuova avventura. Per tutta la prima ora, il film va come un treno. È divertente, toccante, recitato benissimo da un gruppo dattori affiatato; Marshall sa come mantenere vivo il ritmo, e ha dalla sua uno script brillante nei dialoghi. Stiamo al gioco, anche se non ci aspettiamo particolari colpi di mano in volata. Purtroppo per noi, la storia mostra la corda un po troppo prima del finale; la regia perde mordente in parecchie scene, e la vicenda infila una serie di svolte prevedibilissime; lo ammettiamo, ad un certo punto ceravamo illusi. Pazienza. Da Quando meno te lo aspetti si esce ugualmente soddisfatti. Come non sarebbe accaduto se alla giovane e bellissima Helen non prestasse corpo, classe e un carisma da star unindimenticabile Kate Hudson, proiettata definitivamente nelliperspazio delle dive. Intendiamoci: il suo personaggio è davvero azzeccato, scritto fino alla fine, ottimamente sbozzato dalla penna degli sceneggiatori; solo che stavolta Kate non si limita a sfoggiare lo charme di Come farsi lasciare in dieci giorni, in un ruolo che, in mano ad altre, poteva tristemente ridursi al tipo del film dellanno scorso. Invece, ben imbeccata dallo star maker Marshall, infila una prova memorabile per quel che alla sua Helen regala in verve, fascino e tanta irresistibile immaturità; quella che poi letteralmente muove il film, se lo carica sulle spalle - specialmente quando la storia il pubblico inizia davvero ad aspettarsela - e lo porta a giusta (e inevitabile) chiusa. Che la radiosa rampolla di Goldie Hawn, indimenticata Lou Jean Poplin in rotta per Sugarland, non fosse solo la figlia di era chiaro fin dal 2000, anno in cui simbatteva nellispirata penna di Cameron Crowe e dava vita alla dolce groupie di Almost Famous: in quelloccasione Kate sfondava lo schermo, e rubava la scena a chiunque le si avvicinasse. Purtroppo non si rivelava felice la scelta dei ruoli successivi, tranne che nel caso della notevole parentesi di About Adam (2001), azzeccata commedia indipendente in cui la star rifaceva prepotentemente capolino; in Gossip, però, la Hudson rinaufragava nellidiozia generale, e il citato Come farsi lasciare in dieci giorni non serviva fino in fondo le sue potenzialità, anche a causa dellagghiacciante evanescenza di McConaughey; a conti fatti, neppure lultimo Alex e Emma di Reiner valeva granché. Ci voleva un vero star maker a prenderla per mano, e un personaggio più costruito su cui lavorare; è ciò che le viene offerto da Raising Helen, e Kate fa centro. Mercuriale nellespressività, travolgente nella fisicità, la sua madre per caso tocca il cuore per dedizione alla causa e commovente inettitudine. Se del film di Marshall conserveremo un piacevole ricordo, è senzaltro tutto merito suo. |