Paycheck
La coscienza attiva del cinema
di Luca Persiani

 
  id, USA, 2003
di John Woo, con Ben Affleck, Aaron Eckhart, Uma Thurman, Paul Giamatti.


La "previsione autoavverante" è la modalità psicologica che spinge una persona a affermare che un accadimento della sua vita avverrà sicuramente. La sicurezza che accadrà è generalmente la molla che spinge poi la persona stessa a realizzare ciò che ha predetto, o, più correttamente, annunciato.
Questa è una delle illusioni da cui mette in guardia Paycheck: è una conoscenza del futuro che fa in modo che ciò che si prevede accada, non che sa quello che accadrà. Alla previsione di guerra si risponde con una corsa agli armamenti per la difesa, che poi, inevitabilmente, porterà alla guerra. La semplicità di questo assunto può suonare come un monito massimalista e troppo lineare, ma è comunque molto forte. Cosa che rende necessario contrapporlo ad un'altra grande "scuola di pensiero" cinematografica, emanata da un blockbuster dalle prospettive distributive e dall'impatto sul pubblico molto più ampi. Stiamo parlando di quello spettacolare affondo nichilistico che è Terminator 3, in cui - a differenza degli altri capitoli della serie ideata da James Cameron - il futuro si concretizza con le esatte modalità autoavveranti denunciate da Paychcek. Certamente Paycheck non è un film di denuncia sociale, almeno non apertamente: però è un action movie di John Woo, uno della cui comprensione e attenzione narrativa è difficile dubitare, tratto da Philip Dick, uno la cui visionarietà sociale e psicologica va sempre a toccare temi fondamentali sull'identità e dell'uomo e della società. Dunque, Paycheck è un action con una buona e godibilissima dose di coattagine - stemperata però sorprendentemente da una sottile ironia che attraversa tutto il racconto ammiccando generosamente al pubblico - e qualche buco di sceneggiatura, e certamente non coglie tutte le sfumature del racconto di Dick da cui è tratto ("I labirinti della memoria", 1953).
Ma, tenendo conto di tutto questo, Paycheck è anche una lucida analisi della pericolosità, nella società contemporanea, del processo di spietato svelamento che coinvolge tutti i settori della vita. La progressiva e inesorabile "coscienza passiva" dei meccanismi di potere che regolano la vita dell'uomo porta ad una crescente inerzia nell'individuo. Tanto che sta diventando quasi non più necessario nascondere le peggiori manovre politiche ed economiche (I reali motivi della guerra in Iraq, ad esempio, e il debole paravento delle armi di distruzione di massa). L'individuo è paralizzato dalla realtà e dall'impotenza rispetto a meccanismi più grandi e non crede più nell'efficacia di una opposizione allo status quo. Paycheck è la storia di un uomo che vede il suo nerissimo futuro - ciò che sarà della sua vita e della sua morte - ma non ne è paralizzato. Sviluppa una coscienza attiva estrema, che gli consente di creare uno schema per cambiare il proprio futuro, addirittura avendo l'handicap di essersi (spontaneamente!) fatto cancellare dalla memoria tutta la conoscenza che aveva accumulato proprio riguardo a questo futuro. La coscienza assoluta, posseduta e poi eliminata, viene recuperata attivamente tramite una serie di indizi minimi, che rivelano la propria utilità attraverso il loro impiego progressivo, impiego che a sua volta infonde senso negli indizi stessi rivelandone la natura di "puzzle di sopravvivenza". La coscienza cancellata, e potenzialmente passiva per il suo contenuto nefasto, viene così riscritta attraverso un gioco di sopravvivenza, mutandosi in coscienza attiva, essa stessa generatrice di azione. E' un processo riassuntivo e creativo che letteralmente porta Michael Jennings (Ben Affleck) a costruire il suo futuro. In pratica, semplicemente, a fare quello che ogni essere umano potenzialmente è in grado - e in dovere - di fare. Paycheck è il racconto di come sia difficile e necessario per la società contemporanea quello che dovrebbe essere il naturale percorso di evoluzione e di autoaffermazione dell'individuo, e che invece è complicato, frustrato e frenato inevitabilmente dall'aprirsi indiscriminato della coscienza collettiva a certezze negative. Il viaggio dell'individuo diventa così estremamente più complicato, esageratamente più intricato, come afferma ironicamente l'agente dell' FBI Klein. C'era davvero bisogno per Jennings di creare un puzzle così complicato per salvarsi? Evidentemente si, perché lo svolgersi accidentato del percorso a tappe del protagonista riflette il tortuoso e caotico labirinto della realtà. Ma, soprattutto, poiché è solo tramite uno sforzo estremo di lucidità e presenza mentale - generate dalla complessità del percorso - che ci si può creare la propria realtà, separare ciò che è reale - cioè necessario - da ciò che non lo è. E' un processo di filtraggio percettivo messo a punto tramite il passaggio attraverso un'esperienza complessa ed estrema. La previsione diviene effettivamente autoavverante, ma in senso positivo.
Il cinema di John Woo è il mezzo ideale per tentare questa fondamentale esposizione socio-filosofica con un veicolo di portata popolare. La coscienza assoluta ed elegante dei ritmi di macchina da presa e azione di Woo non consente un momento che non sia denso di intrattenimento, tensione narrativa e modernità linguistica, pur non affermando (limitatamente a questo film) nulla di innovativo. Woo è sul momento, sul divenire, sull'azione come pochi si possono permettere, mantenendo contemporaneamente una lucidità stilistica e una prospettiva di fruibilità mainstream internazionale che spesso manca a molti suoi colleghi di Hong Kong (che non per questo fanno un cinema meno interessante, ma magari meno universale) e che quasi nessun regista occidentale possiede. Il suo è un cinema che si svolge con precisione, lucidamente, momento per momento, totalmente affidato all'azione in divenire, incarnando quella coscienza attiva che è la base del lavoro creativo e l'essenza di una originale prospettiva umanistica su personaggi e narrazione.