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Cold Creek Manor,
Usa, 2003 di Mike Figgis con Dennis Quaid, Sharon Stone, Juliette Lewis Attenzione: questa recensione contiene numerose anticipazioni sulla trama del film. Fuga dalla città di una famiglia benestante newyorkese, una coppia in difficoltà coniugali: lui documentarista (Cooper Tilson\Dennis Quaid), lei donna in carriera (Sharon Stone\Leah) con due bimbi. Lasciano la Grande Mela per proteggere i loro pargoletti dai pericoli del traffico, anche se i veri pericoli sono poi altri, annidati nei rapporti mediati dal successo che si stabiliscono in città. Comprano una grande villa con parco in campagna per pochi soldi poiché la villa è ipotecata. Chiaramente cadranno dalla padella alla brace perché in campagna non cè traffico ma cè il cuore nero dellamerica profonda, quella che dentro le torte al mirtillo nasconde odi, pregiudizi, armi da fuoco e alcool a torrenti. Mike Figgis tenta di farci vedere le due facce del gotico americano. Quello della città: il gotico sfornato dai cunicoli virtuali di Wall Street, il potere corruttivo del denaro, gli orari impossibili che dividono la coppia, la consunzione del tessuto della famiglia. E Leah che accetta di farsi fare dal capo per diventare vice capo. Poi ecco il gotico della campagna, con lostilità verso il forestiero (unaltra coppia che racconta ai Tilson che sono lì solo da cinque anni e quindi non possono ancora dirsi integrati con la collettività), lalcool unico sollazzo, le cameriere a pezzi, una Juliette Lewis\Ruby con la faccia sempre più sfatta del suo sedere, quello sì, sempre in ordine. Poi cè la casa. Casa marcia dalla commistione dei due gotici, lipoteca della banca che la rende acquistabile ad un prezzo irrisorio - ipoteca scaduta perché Stephen Dorff\Dale Massie non può pagare perché finito in prigione, risucchiato dal cuore di tenebra della campagna. Ecco dunque le casa violata dai cittadini, le presenze, i fantasmi del passato che tornano col fisico scolpito di Stephen Dorff che sinserisce come un tarlo, o meglio come un serpente nella sua ex proprietà. Peccato si evinca subito che sia il cattivo dal fatto che fuma con gusto, tipico ormai del colpevole, (una volta era, si sa, il maggiordomo ). Ci sono dei buoni spunti quando i newyorkesi arrivano con liniziale mistero strisciante, le strane foto sboccate, il figlioletto che subisce la sinistra influenza di armi e vestiti militari indossati dal ragazzino che abitava nella villa prima di lui, i martelli mai visti prima, dalluso incerto ma dallaspetto inquietante. Poi arriva Dale Massie, e porta un prevedibile brivido erotico nella coppia di cittadini Tilson. Cooper comincia a temerlo e da buon documentarista scava nel passato della casa. E noi scoviamo la storia che vi si annida. Agnelli bimbi bang un colpo e via un buco dritto nel cervello niente pallottole, sangue poco o nulla. Ecco a cosa servono quei martelli, ad uccidere agnelli. O altro nel caso. Ecco la gola del diavolo. Leco di quelle pecore che belano a morte nella bocca del bizzarro padre malato di Dale (Christopher Plummer), vecchio goloso di ciliegie al cioccolato, ciliegie che caccia nella gola del diavolo. La gola del diavolo dove cadono bambini, agnelli e ciliege. Ma ormai il thriller ha il fiato corto. Non serve a tirarlo su il cavallo morto in piscina, citazione a metà strada tra Il padrino e Viale del Tramonto. Veniamo a sapere, ma è come se lo avessimo sempre saputo, che Dale ha ucciso la sua famiglia e ha gettato i corpi nella gola. Mancano gli approfondimenti, in compenso non mancano scene inutili. Un film che si perde. Attorno alle foto sboccate, attorno agli agnelli, alle filastrocche andava costruita la tensione ed alimentato mistero. Ma Figgis perde le fila della matassa. Saltano agli occhi le incongruenze: perché il padre di Dale, Massie, sembra un ottantenne rimbambito? Perché Dale viene lasciato a piede libero dopo aver picchiato la sorella dello sceriffo davanti agli occhi di questultima? Perché, diamine, il figlio di Dale ha scritto la filastrocca sulla gola del diavolo prima di precipitarvi insieme alla madre e alla sorellina? Premonizione forse? Perché nessuno si è preoccupato di sapere che fine avesse fatto la famigliola di Dale? Solo perché in America se uno vuole sparire, sparisce? E non che fossero spariti tanto distante visto che la macchina è rimasta abbandonata nel parco della villa. Oscure presenze a Cold Creek è un thriller con la scadenza. Una volta giocate quelle carte si va a precipizio nella gola del diavolo del consunto finale. Stephen Dorff che fa la faccia da assassino squilibrato, il pozzo - quasi quello di the Ring - la lotta sul tetto che regala la tensione dellepico scontro finale di Fracchia contro Dracula. E lhappy end da copione. |