Il nascondiglio del diavolo

Ambient horror: variazioni sul tema
di Emanuele Boccianti

 
  The Cave, Usa / Germania, 2005
di Bruce Hunt, con Cole Hauser, Morris Chestnut, Lena Headey, Marcel Jures


Secondo checkpoint per il nuovo trend della stagione, questo The Cave; perché lo sappiamo, se c’è un genere cinematografico che sa indulgere nel discreto fascino del “filone”, questo è il cinema “di paura”. Dopo The Descent, la vena fertile dello “speleo-horror” ci aspetta al varco con Il nascondiglio del diavolo, e noi, viziosi anche di queste preconfezionate voluttà, non ce lo facciamo sfuggire. Dicono che il regista sia uno in gamba, e che benché trattasi di opera prima nel campo dei lungometraggi, tale Bruce Hunt si sia fatto più che valide ossa con la pubblicità, girando spot che sembrano film in miniatura (tra i suoi protagonisti risultano anche Liv Tyler, il Bayern di Monaco e Lara Croft, quella di "Tomb Raider"), e soprattutto come second unit director per i Wachowsky e Alex Proyas. Si deve ammettere che c’è del garbo, una buona dose di tecnica, e finanche della dedizione in questa storia di avventure sotterranee e subacquee. L’ambientazione, prima di tutto: la Romania; Hunt vuole fare le cose in maniera canonica, e sceglie come location una terra di mostri assolutamente d.o.c., di cui ha premura di servirsene fondamentalmente per evocazioni storico-antropologico-folkloristiche, visto che a parte un preambolo boscoso, tutta la vicenda si svolge parecchio sotto il livello del suolo. Però le suggestioni mitologiche fanno presa, aiutano lo spettatore a calarsi nel mood giusto, e soprattutto a comprendere esattamente cosa dovrà aspettarsi; infatti si fa un gran parlare nel primo atto di cavalieri e di battaglie contro certi demoni nascosti nella tenebra, e la nota favolistica crea un funzionale contrasto con lo spirito hi-tech dei protagonisti, un team specializzato in esplorazioni subacquee che arriva fin lì dal Sud America solamente per l’ebbrezza di scoprire nuovi abissi mai contaminati da umana presenza.
Accade poi che, per nostra fortuna, qualcosa vada storto. Ci sono presenze nelle sterminate grotte sottomarine, a cui una fotografia di mestiere rende giustizia; i demoni cessano di essere parte del background e scendono in campo a fare scempio degli avventurieri. Ad uno ad uno, come di prammatica. Una menzione di merito va senza dubbio al concept design originale delle creature, ad opera di Patrick Tatopoulos; il demone di turno si rivela presto una figura in netto contrasto rispetto al suo omologo di The Descent, decisamente più minimalista. Ci troviamo di fronte ad una creatura che mixa con efficacia stilemi presi in prestito dall’idea gigeriana di Alien, con una struttura ossea molto articolata, quasi barocca, ed elementi che rimandano chiaramente - e doverosamente - all’iconografia classica del vampiro, che qui in Romania gioca in casa. La nota sicuramente più interessante è l’escamotage della testa cava, che dimostra una certa inventiva nello sviluppo dell’idea di base di un mostro adattato ad un ambiente totalmente buio, e quindi cieco. Proprio come un vampiro, esso visualizza gli oggetti circostanti grazie ad un sistema di ecolocazione, sparando ultrasuoni in ogni direzione che ritornano nello spazio vuoto del suo cranio e vi riverberano. Il film ci regala interessanti soggettive “audio” della bestia, incorniciate anche da suggestioni sonore che rappresentano i flussi del suo radar, e che hanno lo scopo di annunciare, tanto ai personaggi quanto agli spettatori, l’imminente entrata in scena dei predatori. Soggettive sensoriali aliene di questo tipo pur non essendo del tutto una novità (si pensi al perfetto Predator) hanno l’effetto di rendere il gioco di caccia più interessante, grazie ad uno switch ben calibrato tra punto di vista di vittime e di carnefici. Ma la dialettica dei rimandi cinematografici potrebbe continuare ad libitum, visto che la sceneggiatura tira in ballo ad un certo punto (e forse in maniera un tantino gratuita) un non meglio precisato parassita, che si insedia – veicolo la creatura stessa- nei malcapitati speleologi e innesca una mutazione che avrebbe il fine di tramutare tutti in mostri carnivori (ricordate Leviathan, di un altro felice filone, quello dello "scuba-horror”?).
In ultima analisi, The Cave non ci regala alcuna emozione che non sia desunta da una sorta di bignami del fanta-horror, cosa che fa sicuramente la felicità del pubblico più faziosamente di nicchia, ma desta pochi brividi in chi sia andato in cerca di qualcosa di ulteriore. Ciò che meglio funziona, ancora una volta, è la sontuosità del setting, che una regia comunque intraprendente e una fotografia tecnicamente all’altezza ci fanno apprezzare. Alcune scene si rivelano decisive, come quella del duello a mezz’aria tra uno dei demoni e una sventurata free-climber: montaggio concitato, ottimo senso del ritmo e inquadrature impostate secondo un’asse verticale che rende mirabilmente il senso di vertigini e di vuoto, quasi facendoci dimenticare che siamo sottoterra, e che un attimo prima soffrivamo con i protagonisti il loro stesso senso di claustrofobia. Tutto questo per concludere con la riflessione che, probabilmente, il rapporto originario di certo cinema tra l’ambiente e il mostro si è in certo senso ribaltato, ed è adesso il secondo a svolgere una funzione di supporto. Ma forse è sempre stato così, almeno in linea di principio, e forse ogni horror è sempre stato, prima di tutto, un “ambient-horror”.