Melinda e Melinda

Difficile apologia di un Woody che non c’è
di Claudia Russo

 
  Melinda & Melinda, Usa, 2004
di Woody Allen, con Radha Mitchell, Will Ferrel, Chlöe Sevigny


Melinda e Melinda è una commedia sulla tragicità del vivere.
Melinda e Melinda è il mediocre esercizio di stile di uno dei più grandi, intelligenti, brillanti e amati registi statunitensi da mezzo secolo a questa parte.
È il 1952 quando Woody Allen, che ancora era solo uno studente, è ingaggiato da Earl Wilson per scrivere battute a 75 dollari l’ora.
Scritturato dalla NBC, si dà da fare in televisione, scrive per spettacoli, talk-show e perfino per dei politici, finché i produttori Joffe e Rollins lo fanno debuttare come stand-up comedian. Nasce così il personaggio dell’ebreo nevrotico Woody Allen: un mito.
Nasce e letteralmente “si espande” (“The universe is expanding” dice un Allen bambino dai capelli rossi e dagli occhiali spessi in Annie Hall) un talento comico che non ha avuto eguali per molti anni.
Che ora il sessantanovenne newyorkese, che ha scritto battute rimaste celebri per la loro spudorata e irrefrenabile schiettezza, venga a Roma a confessare in conferenza stampa che lui preferisce la tragedia alla commedia non ci stupisce affatto. Lo sapevamo già e lo adoravamo per questo; per quella invidiabile capacità di trovare, cucinare e servire la profonda tragicità della vita nelle sue più intime sfumature coperta di quella salsa gustosissima e irresistibile che è la battuta pungente e la situazione elegantemente paradossale.
L’eleganza. Se è vero che si possono cogliere elementi ricorrenti nell’ampia filmografia del cineasta, andando dalla parodia della comunità wasp newyorkese all’ironia pungente con cui affronta le tematiche religiose e la cultura ebraica ( Zelig racconta: “Ho 12 anni. Vado alla sinagoga. Chiedo al rabbino qual è il significato della vita. Lui mi dice qual è il significato della vita. Ma me lo dice in ebraico. Io non lo capisco, l’ebraico. Lui chiede 600 dollari per darmi lezioni di ebraico”), passando per la disincantata analisi delle dinamiche di coppia, è però la cifra stilistica della commedia elegante e sofisticata a caratterizzare il suo sentire (pensiamo a Manhattan, a La rosa purpurea del Cairo, ad Hannah e le sue sorelle… solo per citare i primi e più noti).
Il punto è però un altro. Dove è finito Woody?
Ormai da qualche anno, sarà l’età, saranno i tempi, sarà che il linguaggio cinematografico attuale vuole di più di una pièce teatrale ben scritta ma incapace di spiccare il volo (stesso discorso vale per il precedente Anything Else), ma il genio alleniano è in grosse difficoltà!
Abbiamo visto praticamente tutte le opere del regista: da quelle psicologico/intimiste (Interiors, Alice…) a quelle di riflessione metacinematografica e personale (Stardust Memories, Harry a pezzi) e anche quelle considerate minori e che a volte erano dei piccoli capolavori (cito per tutti Accordi e disaccordi in cui Allen si priva del piacere della recitazione e cede il posto ad uno Sean Penn indimenticabile)… e ci sono piaciuti. Perché?
Perché fanno ridere nel loro modo assolutamente tragico e pessimista e paranoico di guardare e vivere il reale (esempio:“Domattina alle sei sarò giustiziato per un crimine che non ho commesso. Dovevo essere giustiziato alle cinque, ma ho un avvocato in gamba”. Oppure “Non è che ho paura di morire. è che non vorrei essere lì quando questo succede”; e ancora “Le parole più belle al mondo non sono “Ti amo!” ma “è benigno!”)
Ah, già… dovevo parlare di Melinda e Melinda, ma non ne voglio parlare perché il film è già, ahimè, troppo parlato.
Uno stesso incipit con due diverse e opposte possibilità di sviluppo.
Gli interpreti, prima tra tutti Radha Mitchell che si fa in due, poi Will Ferrel, icona del cinema demenziale che questa volta interpreta la brutta copia del miglior Allen, si muovono all’interno di appartamenti bene in un’atmosfera che puzza un po’ di già visto, un po’ di già detto.
Certo, alcune situazioni e alcune gag ci ricordano che stiamo guardando un film d’autore, ma mi ha davvero infastidito il modo didascalico che il vecchio Allen ha usato per imbeccare il pubblico. Un pubblico che lui stesso ha creato e a cui ha dato tanto… fino forse ad essere ora un po’ a corto. Peccato!
In breve, pur apprezzando e condividendo gli intenti del regista e soprattutto la tesi secondo cui la vita è profondamente tragica anche se l’unico modo per sopravvivere è riderci sopra, il film non è abbastanza brillante e non fa onore ad un cineasta che ci auguriamo fortemente, in vista della prossima pellicola che avrà per protagonista l’avvenente Scarlett Johansson e si ambienterà a Londra, abbia ancora qualcosa da dire… E soprattutto lo dica nella forma che l’ha reso unico.