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id, Usa,
2003 di Peter Weir, con Russel Crowe, Paul Bettany, James D'Arcy, Edward Woodall. Il sottotitolo originale di Master and Commander è "The far side of the world", "La parte remota del mondo", in riferimento ai luoghi più irraggiungibili dell'oceano navigabile in cui si spinge la nave del capitano Jack Aubrey, la "Surprise". Ma togliendo l'enfasi da "far" e mettendo l'accento su "world", otteniamo la prospettiva che il regista Peter Weir impone su questa storia di navi inglesi che inseguono pirati francesi. La nave di Weir e del capitano Aubrey, come lui stesso afferma, rappresenta - quindi è - l'Inghilterra. L'Inghilterra, nell'accesa tradizione patriottica dell'esercito e nella visione anglocentrica degli abitanti dell'isola britannica, è il mondo. Master and commander svolge semplicemente questa tesi con piglio hitchcockiano, ambientando tutto il racconto quasi esclusivamente su una nave, per giunta spesso avvolta nella nebbia. Il microcosmo dell'imbarcazione diventa un luogo esemplare la cui forza risiede nella capacità di riflettere e incarnare il macrocosmo del mondo con una scelta che è insieme metafora e racconto di una realtà specifica, tragedia e melodramma, storia corale e particolare. Mentre si fatica ad attribuire al capitano Aubrey la qualifica di protagonista assoluto, e il racconto va decisamente verso quella polifonia definita perfettamente dal protagonista collettivo de L'attimo fuggente, Master and Commander naviga efficacemente sull'insidiosa rotta del film ad alto budget dal profilo fortemente personale, oggetto apparentemente impossibile ma la cui esistenza è stata ultimamente affermata in modo vigoroso (un titolo per tutti: Hulk). Lo fa, appunto, limitando i luoghi dell'azione, sbilanciando la figura dell'eroe protagonista verso le necessità del gruppo, usando il mare come una tabula rasa in cui spingere il racconto verso terreni quasi fantascientifici. Se la Maledizione della prima luna era una scatenata fantasia picaresca patinata, se Cantando i paraventi era uno schermo di velluto visivo che ovattava le capacità narrative della storia, Master and commander è la ricostruzione di un mondo che rispecchia il nostro ma è contemporaneamente altro, sospeso nella nebbia ma vulnerabile alle cannonate. Un mondo in gran parte da scoprire, come sintetizza la figura del tredicenne apprendista comandante/naturalista Lord Blakeney, che da una parte aspira a comandare una nave e a combattere, dall'altra trova in se un talento scientifico praticamente incompatibile con il mestiere della guerra. Proprio questo personaggio è il ponte che unisce Aubrey al medico di bordo, suo fraterno amico, Stephen Maturin. L'uomo di guerra e l'uomo di scienza, l'azione e filosofia, il bene della patria e il bene dell'uomo: una contrapposizione semplice ma fondamentale che il microcosmo della "Surprise" rende credibile e intensa. È, comunque, una società imperfetta quella della "Surprise", tanto quanto può essere un mondo senza donne, che il racconto sembra scientemente dimenticare nella tensione alla sfida e all'onore. Wier sottolinea questa mancanza in un paio di inquadrature, le poche in cui si veda della terra: il capitano Aubrey ha uno scambio rapidissimo di occhiate con una donna sudamericana che assiste al rifornimento della nave da una barca. Una sequenza che ridà solo l'eco del vuoto d'affetti a cui la ciurma di una nave fa fronte attraverso l'unità inossidabile del gruppo, anche nella follia (come nell'episodio dell'allievo accusato di portare sfortuna alla nave). I rapporti di questo gruppo di uomini sono l'ossatura di una grande storia di mare (tratta dai romanzi di Patrick O'Brian) che sintetizza in se i temi weiriani del racconto di formazione, di scoperta della natura e della civiltà attraverso le maestose movenze narrative di due navi e di un gruppo di uomini che mentre tentano di conquistarsi, con l'ambiguità e l'arroganza che l'operazione comporta, il diritto di essere chiamati campioni della propria civiltà, vivono tensioni ed emozioni universali. |