Mare dentro
Quando si lotta per la morte
di Paola Galgani


Venezia 61 - 2004
  Mar adentro, Spagna, 2004
di Alejandro Amenábar, con Javier Bardem, Belén Rueda, Lola Dueñas, Mabel Rivera.


Il sorprendente regista di The Others e Apri gli occhi stavolta cambia totalmente genere anche se, ancora una volta, emergono il rapporto tra la vita e la morte, la situazione dell’uomo in una situazione estrema alle prese con qualcosa di misterioso e di troppo grande per lui. Il film narra una storia vera, quella dell’uomo-simbolo della lotta per la legalizzazione dell’eutanasia in Spagna, Ramón Sampedro, che dopo aver pubblicato un libro di poesie si suicidò, destando molto scalpore nel suo paese.
Nel momento in cui iniziamo a seguire la sua vicenda, Ramón vive da trent’anni paralizzato dal collo in giù in seguito ad un terribile tuffo contro gli scogli; interamente dipendente dai suoi familiari, stanco di quella vita-non vita, è deciso a morire e lotta duramente per ottenere il diritto all’eutanasia, iscrivendosi ad un’associazione di attivisti e cercando di fare scalpore sul suo caso tramite i mass-media. Due incontri saranno fondamentali per lui in quest’ultimo periodo, e lo faranno riflettere in direzioni opposte: quello con Julia, il suo avvocato, vittima anche lei di gravi problemi di salute, che costituirà un richiamo alla vita anche dal punto di vista sentimentale, e quello con la rustica e semplice Rosa, che lo avvicina dopo averlo visto in TV, e che con la sua dolcezza e caparbietà saprà prenderlo dal verso giusto e fargli scoprire le sue contraddizioni, rimanendogli amica per sempre. Le due donne simboleggiano anche i due sentimenti opposti che si agitano nel suo cuore: il desiderio di lottare per quello che ritiene un suo diritto, e la tentazione di scegliere, nonostante tutto, la vita.
Ramón non è affatto come ci immaginiamo un uomo che desidera morire: la sua forza, la sua caparbietà e la sua vitalità emergono nei momenti in cui non è torturato dal dolore e dai ricordi della vita prima dell’incidente. Così, si sforza di scrivere poesie con enorme fatica, sebbene non possa usare nessuna altra parte del suo corpo che i muscoli del viso; ed i suoi rapporti con gli altri sono caratterizzati da una non comune ironia e da grande disponibilità e gentilezza, niente affatto scontate da parte di una persona sofferente. Il punto è, come ci viene chiarito sin dalle prime parole, che questa non vuol essere una storia sui tetraplegici, ma solo quella di una persona, di Ramón Sampedro: e questo vale per tutte le riflessioni e le discussioni che seguiranno la visione del film. Riguardo a questo, Amenábar ha tenuto più volte a dichiarare di non aver voluto prendere esplicitamente una posizione politica o giuridica su un tema così importante, anche se la sua opinione nei confronti della Chiesa emerge chiaramente nel surreale dialogo del prete che tenta di dissuadere Ramón parlando da un piano all’altro della casa con il tramite di un chierichetto. Nonostante la drammaticità dell’argomento, il regista è riuscito a non cadere nel moralismo o nel sensazionalismo, come tanti hanno fatto affrontando temi così difficili, ma conserva dall’inizio alla fine grande sensibilità, equilibrio e delicatezza, ed una leggerezza analoga a quella del volo che il protagonista sogna di fare nel cielo, tentando ogni volta di arrivare fino al mare, agognato punto di arrivo, elemento che ha segnato tutta la sua vita.
Nonostante tutto, dunque, un film positivo, che paradossalmente ispira serenità e speranza. La malattia e la sofferenza sono appena accennati con pudore: ciò di cui si parla veramente sono questioni che coinvolgono direttamente ognuno di noi: la dignità umana, la libertà di decidere, i nostri diritti. La morte è concepita e raffigurata come un evento naturale, una tappa dell’esistenza: per Ramón, che tanto ha amato la vita, è un segno di rispetto per la vita stessa, che in quelle condizioni considera privata di dignità. E in questo laicismo di fondo il film (e in particolare la parte sulla morte del protagonista) ricorda molto Le invasioni barbariche, che trattava lo stesso argomento con lo stesso tono apparentemente neutro e con la stessa delicatezza.
Passione ed originalità anche nelle scelte di regia, sia che si tratti di volare per gli splendidi e sterminati paesaggi della Galizia sia di farci penetrare nell’angusta realtà in cui vive il protagonista, in pratica una stanza, ma intorno a cui la macchina da presa gira con movimenti fluidi e senza sosta.
Eccezionale l’interpretazione di un appena riconoscibile Javier Bardem, per la quale è stato premiato al 61° Festival di Venezia con la Coppa Volpi (l’attore, tra l’altro, aveva ricevuto lo stesso premio anche nel 2000), mentre il film, considerato tra i possibili vincitori, ha ottenuto il Gran Premio della Giuria.