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id, Usa,
2004 di Tony Scott, con Denzel Washington, Christopher Walken, Dakota Fanning, Marc Anthony, Radha Mitchell, Giancarlo Giannini, Mickey Rourke Il cinema di Tony Scott (come quello di Adrian Lyne) si è sempre rivestito di una patina modaiola ma moderna ed efficace. Uno stile vigile, veloce e intenso ma sempre sorvegliato e necessario al racconto, a volte pioniere teso verso la sperimentazione linguistica. Anche in Man on fire si respira quest'aria, anche se le soluzioni estetiche non mostrano alcuna innovazione. A parte, forse, l'uso di scritte in sovrimpressione che "doppiano" il dialogo in momenti particolarmente intensi, un espediente direttamente prelevato da consuetudini della pubblicità (campo molto frequentato da Scott) che è qui sfruttato intensamente, senza paura di sbavare - come qualche volta avviene - verso il ridondante. Lo stile di Scott è al servizio di una favola di vendetta (come già in Revenge) assoluta e spietata, condotta con un'intensità, una violenza e delle pretese narrative di realismo raramente viste su uno schermo cinematografico. E da una posizione morale priva di ambiguità, chiara come una tragedia greca, inaccettabile come una condanna a morte, compiuta come un percorso di vita. In poche parole, pienamente catartica. Il racconto imbastito da Brian Helgeland (già sceneggiatore di L.A. Confidential e Mystic River) è basato sul romanzo omonimo (1980, di A. J. Quinnell, uno pseudonimo che tuttora nasconde la vera identità dell'autore) originariamente ambientato in Italia e legato ai rapimenti mafiosi. Nel film la storia viene spostata in Messico, dove il rapimento è una delle imprese illegali più diffuse e organizzate. Qui l'ex soldato Creasy (Washington) recupera un po' della sua umanità attraverso il rapporto con la sensibile Pita (Fanning), giovanissima figlia di ricchi del luogo, di cui è la guardia del corpo. Solo per vedersela rapire sotto gli occhi. "Ora è una faccenda personale": l'assunto classico del vendicatore da grande schermo ha così la possibilità di essere esplorato fino in fondo, con un carico di violenza e rabbia privo di freni e misura. E, naturalmente, di giustizia civile. Ma profondamente catartico, grazie all'attento lavoro di costruzione dell'empatia fra Creasy e Pita, dell'ambientazione degradata, del cinismo e opportunismo da cui sono costruiti tutti i legami interpersonali. Tranne quello tra Creasy e Pita. E se sulla opportunità della vendetta Man on fire rimane profondamente ambiguo, sulla sua morale e sulla responsabilità che tale viaggio comporta è assolutamente chiaro e inappuntabile. Il dolente finale, nella sua quadratura narrativa, descrive l'inevitabile prezzo dell'estrema catarsi personale con commozione e precisione, con un afflato quasi biblico nel mostrare quale sia l'unica evoluzione possibile di un violento debito di sangue. |