la Macchia umana
L'amore nero
di Luca Persiani


Venezia 60 - 2003
  the Human stain, Usa, 2003
di Robert Benton, con Anthony Hopkins, Nicole Kidman, Ed Harris, Gary Sinise.


Così come nella traduzione italiana del titolo the Human stain viene stemperata la sfumatura che ha la parola “stain”, (“macchia”, ma anche “onta”), la parola chiave per il racconto “spook” (“spettro”, ma anche “negro”) perde l’ambigua intensità dell’originale per diventare un più generico “zulù”. "Stain" ha anche il significato di "impronta", come viene chiarito in un passaggio del romanzo di Philip Roth da cui è tratto il film, passaggio assente dalla versione cinematografica: l'impronta che ogni essere lascia nella sua vita sul mondo e sugli altri.
"Spook", la parola che da il la alla rovina il vecchio professore universitario Coleman Silk (Hopkins), è il simbolo dell’ambiguità della condizione di Coleman: un fantasma sociale, un uomo che ha cancellato la sua identità per assumerne un’altra più conveniente, meno spettrale, meno minacciosa e più accettata dalla società. Una scelta che è un'onta, una macchia così vasta nell’anima dell’uomo che l’ingloba completamente, portando all’identità tra l’essere umano e la sua scelta. Ogni sentimento di quest’essere è contagiato da questa chiazza incancellabile, magari in modo sotterraneo, quiescente, solo per tornare a galla dopo molto tempo. Una scelta che è un'affermazione precisa di sé, un'impronta generata da una assurda determinazione e da un desiderio di integrazione sociale dalle sfumature perverse. L'incontro di Coleman con la giovane Faunia Farley (Kidman) è miracoloso e profondo per la semplicità con cui avviene e si evolve in una relazione solida, mettendo ordine in questa selva di sfumature, in quest'eccesso di significati. Che, con piglio estetico opposto ma stesso risultato narrativo di Mullholland Drive di David Lynch, precipitano da parole a stati di realtà troppo ingombranti, il cui peso prima li porta sul fondo della vita di un uomo, poi, quando l'effetto serra della vecchiaia prosciuga il lago, li espone alla vista di tutti come detriti sul fondo.
Faunia è la persona adatta per correggere questi macigni lessicali trasformatisi in ferite profonde: semi-analfabeta, il ritratto della disillusione, è guidata solo da un istinto lineare e disperato, nutrito dall'esperienza di una vita la cui fragilità si concentra nel grande errore di aver sposato e poi lasciato Lester Farley (Harris), un uomo violento con precedenti penali che torna da lei pretendendola indietro come una proprietà personale. Faunia decifra con l'amore l'intrico "letterario-decadente" della vita di Coleman, mentre il professore si pone come figura maschile solida e presente nel panorama emotivo desolato e quasi animalesco della custode notturna della scuola. Ed è proprio il personaggio della Kidman, con la sua statura di esegeta istintivo, uno degli elementi che restituisce al film una credibilità dolorosa e intensa, che altrimenti la storia avrebbe fatto fatica ad affermare, tanto è paradossale e rischioso l'assunto che è alla base delle scelte "macchiate" di Coleman - assunto svelato, fra l'altro, solo a narrazione parecchio inoltrata. Così la storia di Coleman può essere raccontata liberamente, e soprattutto, ritornare ad essere racconto, attraverso la figura del romanziere in crisi a cui Coleman si avvicina, Nathan Zuckerman (Sinise). Nathan è il testimone dello svelamento della vita del professore, e l'unica figura che la possa riportare, attraverso la sua visione di narratore, ad una dimensione di racconto drammatico. Nathan, in altre parole, filtra, attraverso la sua semplice testimonianza, la vita del professore, reinterpretandone il realismo ai limiti della credibilità, per restituirla a noi come storia, con tutte le forzature e la carica emozionale che l'operazione comporta. L'amore semplice di Faunia si immerge nella macchia nera di Coleman, uscendone trasfigurato ma, contemporaneamente, dando senso e sollievo alla vita stessa della macchia umana, mentre lo sguardo di Nathan rilegge le due vite inquadrandole in una prospettiva di finzione che fa, paradossalmente, risuonare di intensa verità le situazioni più incredibili.